L’instancabile documentarista inglese e investigatore del kitsch approda a Bologna con “Short & Sweet”, una mostra antologica che espone 250 scatti arricchiti da un’intervista inedita, attraverso cui conoscere uno dei più grandi fotografi contemporanei. Il Museo Civico di Bologna presenta, dal 12 settembre 2024 al 6 gennaio 2025, l’esposizione curata dallo stesso Martin Parr (1952) e realizzata da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, con il patrocinio del Comune di Bologna e in collaborazione con l’agenzia Magnum Photos.
La rassegna è divisa in nove sezioni, corrispondenti ai suoi progetti principali, e ripercorre dalla metà degli anni Settanta a oggi la produzione dell’artista britannico, connotata da un acuto senso critico e una grande abilità nello scandagliare la società contemporanea. Massificazione, consumismo, omologazione e sfruttamento eccessivo delle località turistiche sono i temi trattati tramite un grande abilità di sintesi, un intelligente uso del colore e un’ironia crudele e tenera allo stesso tempo, che riconosce una certa similitudine tra soggetti e artista. Come chiariscono le parole di Parr stesso: “Cerco di fotografare la mia ipocrisia e quella della società”.
In questi scatti dal taglio socio-antropologico riscopriamo le contraddizioni della modernità, assistiamo alla trasformazione dei riti collettivi in parate carnevalesche e dei luoghi dello svago e del turismo divenuti simili ad un circo umano dove cibo, vestiti e rifiuti si accumulano per poi essere dimenticati.
Il progetto “The Non-Conformists” apre il percorso espositivo trascinandoci lontano dalla metropoli londinese per giungere a Hebden Bridge, cittadina dello Yorkshire dove, dal 1975 al 1980, Martin ha documentato la quotidianità dei residenti, a cui assiste con sguardo curioso.
I protagonisti della serie sono i Non Conformisti, dal nome delle cappelle metodiste e battiste che stavano diventando numerose nella zona. Parr, insieme alla moglie Susie Mitchell, ha registrato l’ambiente nel suo insieme: le vite dei colletti blu, degli operai, dei minatori, degli agricoltori, dei devoti e degli allevatori. Osservazione che ha dato corpo ad un’indagine in parte storica e in parte scientifica, che restituisce a pieno le dinamiche che regolano questa piccola comunità.
Segue l’ultima serie sviluppata in bianco e nero, “Bad Weather”, un’irriverente finestra sulla fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, pubblicata nel 1982. Le immagini si prendono gioco di una delle ossessioni dei britannici, il meteo, che come è ben noto rende il Regno Unito una terra assediata da acquazzoni, pioggerelline e tempeste di neve.
Il brutto tempo, documentato rigorosamente tra Inghilterra e Irlanda, diventa il perno attorno cui costruire una divertente raccolta delle espressioni e delle reazioni irritate della gente costretta a patire basse temperature e un clima eternamente uggioso. Preludio perfetto per “The Last Resort”, progetto realizzato tra il 1982 e il 1985, caratterizzato da una vena ironica e pungente che illustra le giornate in spiaggia degli inglesi a Brighton, popolare sobborgo balneare di Londra. Parr mette in mostra le contraddizioni di quella che dovrebbe essere una località di villeggiatura estiva, ma che ha l’aspetto di una tetra zona industriale.
Sono immagini dissonanti, disarmoniche, che illustrano situazioni paradossali, aspetti del nascente consumismo che normalizzano un abbandono della morale operaia che aveva caratterizzato gli anni Sessanta. Nostalgia, umorismo e un certo disappunto sono gli ingredienti che danno vita ad una vetrina sulla decadenza della società odierna. Non esiste un nesso logico tra una scavatrice e una donna spaparanzata su un telo da mare, eppure sono lì di fronte alla telecamera pronte a regalarci il paradosso della cosiddetta “epoca del benessere”.
Prosperità illusoria che ritroviamo in “Common Sense” sezione che ospita 250 fotografie stampate a buon mercato su carta A3, selezionate tra le 350 esposte in occasione della mostra omonima del 1999, che traducono visivamente uno studio del consumismo di massa e della cultura dello spreco tipica dei Paesi occidentali. Il fenomeno del kitsch si esprime in scatti raffiguranti pose volgari, giocattoli, fast food e accessori “immancabili” del periodo tra la fine degli anni ’90 e gli inizi degli anni 2000.
Una perfetta colonna sonora di questo tripudio della superficialità glitterata potrebbe essere la celebre “Baby one more time” di Britney Spears, uscita proprio nel 1999, il cui videoclip riflette la moda e gli atteggiamenti eccessivi della cultura pop di inizio secolo. Materialismo tradotto in immagine attraverso inquadrature dinamiche e frettolose, scattate adoperando prospettive al tempo insolite per la fotografia d’autore. Dettagli rivelatori, allestiti come pezzi di un puzzle che rappresenta una realtà scintillante, attraente, fatta di piaceri e vizi, che nascondono un pericolo insidioso.
Oggi consumiamo persino i luoghi. Sembra dirci questo Martin Parr nella serie “Small World”, prodotta tra il 1989 e il 2008, che riflette ancora una volta la volontà del fotoreporter di condurre delle ricerche in sito recandosi nelle località più frequentate e famose, per destrutturare la visione idealizzata di siti, città e luoghi. Il fotografo porta alla luce i retroscena oscuri del turismo di massa, sogno reso possibile dall’omologazione e dallo sviluppo di aerei di grandi dimensioni e compagnie aeree di basso costo. Così il turista medio, ritratto davanti alla torre di Pisa nel classico gesto di sostenerla, assume il ruolo di commediante mentre un espositore per cartoline nelle innevate Alpi svizzere si erge a monumento del consumo.
Oltre al turismo, un altro tema di ricerca caro a Martin Parr è la danza, che ha esplorato nella serie “Everybody Dance Now”, ideata tra il 1968 e il 2018. Parr considera la danza una delle forme di espressione più democratiche e, per oltre trent’anni, da San Paolo in Brasile fino alle più remote isole scozzesi, ha fotografato una vasta gamma di stili di ballo. Il progetto rappresenta una riflessione approfondita sui corpi, le loro forme e movimenti, sui vestiti, il trucco, le scarpe e le espressioni facciali, rivelando quanto il ballo sia un’attività che mescola elementi ancestrali e culturali definiti. I suoi scatti catturano un’energia dirompente, dove il collettivo corporeo si esprime senza inibizioni.
L’amore per il Regno Unito è una costante della sua produzione, non sorprende quindi la presenza in chiusura della mostra di alcune fotografie satiriche nelle quali ritrae l’alta società inglese. La serie intitolata “Establishment” (2010-2016), esplora le abitudini dell’élite britannica, rendendo sorprendenti i dettagli più banali della routine delle classi agiate. In queste immagini, trasforma i luoghi comuni dell’identità inglese in provocazioni visive, mettendo in risalto i rituali ripetitivi e noiosi, gli atteggiamenti, gli abiti, le espressioni e le tradizioni che si riflettono in ambienti e oggetti.
Un altro tema caro all’artista è quello della spiaggia, a cui lascia ampio spazio attraverso la sezione “Life’s Beach” (2013), accompagnata da un allestimento originale che accoglie i visitatori sulle sdraio da mare per invitarli ad assistere all’intervista, a cura della storica e critica della fotografia Roberta Valtorta.
Le fotografie mettono in scena una soap opera, animata dai corpi e dalle dinamiche sociali che emergono in quegli spazi. Sensualità e ironia si fondono nei colori saturi e nelle pose sfacciate dei soggetti che popolano le spiagge, offrendo uno scorcio sul modo in cui la moda e le convenzioni sociali influenzano l’apparire, adottando però un approccio lontano dai soliti canoni del glamour, ma al contrario uno sguardo divertito, curioso, e mai troppo severo.
D’altronde, come ammette l’artista: “Avere una macchina fotografica al collo è una buona scusa per essere ficcanaso”.