Botero mette tutti d’accordo: piccoli e grandi, uomini e donne, appassionati di mostre d’arte e occasionali della domenica, studiosi e perdigiorno, mette d’accordo finanche i critici che, concordi, non lo amano e non si interessano alla sua produzione artistica. La sua arte è troppo semplice per essere complessa, troppo tranquilla per essere in tensione, troppo caricaturale per essere artistica, troppo popolare per essere elitaria, troppo vicina al figurativo in un periodo di avanguardie, troppo decorativa per essere poetica e raffinata, troppo grassa per stare in forma. Insomma, è difficile catalogare le sue opere se non nella rotondità del suo nome “Botero”. Chi non lo comprende si chiede perché ingrassa le donne, ma la verità è che ingrassa tutto, gonfia oltremisura forchette e coltelli, tavoli e sedie, pere e pecore, anche l’acqua sembra grassa, ma è la sua arte, proprio come Giacometti allunga e rinsecchisce corpi e teste.
Fernando Botero (Medellín 1932 – Principato di Monaco 2023) ha avuto una vita lunga, un’attività artistica ubertosa, e l’esposizione di Roma, la prima dopo sua morte, visitabile a Palazzo Bonaparte fino al 19 gennaio 2025 curata da Lina Botero e Cristina Carrillo de Albornoz, è poderosa e abbondante con più 120 opere.
Partito da Medellín, scelse l’Italia come sua seconda patria, luogo che amava così tanto da recarsi ogni estate a Pietrasanta in Toscana e che ha scelto come casa eterna. Cominciò a dipingere a quattordici anni e così ha continuato fino a 91, sperimentando tecniche diverse come pittura a olio, pastelli, disegno a matita, carboncino, sanguigne, e poi l’approdo alla scultura, che ha reso palpabili le sue forme, risonanti i suoi volumi, reali le sue curve.
Studioso della forma e del colore, da giovane viaggiò in Spagna, dove frequentò l’Academia de San Fernando a Madrid, e in Italia, dove studiò la tecnica dell’affresco all’Accademia di S.Marco a Firenze. Di sé diceva: “Aspiro a esplorare i problemi fondamentali della pittura” e così si è ritrovato a indagare i problemi della la società, le lotte civili e di classe, l’amore, il potere, la musica, la sua terra e il mondo intero.
Le sue opere arrotondate sono riconoscibili e inconfondibili, questo anche imita capolavori classici rinascimentali come la Camera degli Sposi di Mantegna: in mostra il suo Omaggio a Mantegna del 1958 o il dittico dei Duchi di Urbino del 1998 chiaro omaggio a Piero della Francesca. In mostra a Roma c’è anche suo Autoritratto del 1998, una Pera gigante, un’Anguria esplosiva, delle meravigliose nature morte gonfiate e succulente come la frutta con gli ormoni nei centri commerciali. Inoltre è presente nelle sale una stanza interattiva di quelle per i selfie con certi specchi appiccicosi acchiappa instagrammer e tiktoker.
Interessato alla contemporaneità, che poi coincide con il nostro tempo, l’artista ricorda con le opere in mostra le torture perpetrate in Iraq, nel carcere ad Abu Ghraib del 2005, o testimonia momenti più leggeri della sua vita come il circo e la corrida, quest’ultima ha per Botero qualcosa di profondo, infatti a 15 anni lo zio lo iscrisse a una scuola per banderillero (toreri), ma più che evitare il toro preferiva imparare a ritrarlo. Nella composizione dei quadri dalla forte matrice sociale si vede l’influenzata di artisti come Rivera, Orozco, Siqueiros, mentre nelle scene rappresentate spuntano le radici colombiane, come ad esempio la violenza dei narcos e il ritratto, presente in mostra, di Pablo Escobar del 1997.
Botero rivela che la sua ambizione è essere un pittore, ha dipinto tutta la vita come voleva ed è diventato un grande artista.
Giovanni Negri da Brusciano