Il ristorante Golden View di Firenze ha inaugurato la stagione autunnale con una nuova mostra a cura di Thierry Morel, Disclosures, della fotografa documentarista e artista narrativa Grace Lambert Phillips, che si terrà fino al 17 novembre.
Disclosures è la prima di una serie di mostre voluta dal proprietario del ristorante Tommaso Grasso, in cui Lambert-Phillips presenta per la prima volta al pubblico alcuni scatti che ritraggono la città di Firenze. Due sono le tematiche affrontate in questo progetto: la comprensione del passato attraverso racconti e testimonianze e la proiezione verso il futuro. L’esposizione ospita, inoltre, due opere su tela dell’artista Jack Vettriano, che evidenziano il legame di Grance Lambert-Phillips con l’arte non solo in qualità di produttrice, ma anche di musa ispiratrice dell’artista scozzese.
A prima vista, le fotografie della serie Disclosures, sei scatti in bianco e nero che danno il titolo alla mostra, non sembrano tanto diverse da quelle che ognuno di noi potrebbe produrre visitando la città di Firenze: opere d’arte del centro cittadino e delle ville circostanti danno l’impressione di una rappresentazione abusata nel circuito di consumo di immagini turistiche.
Ma è proprio qui che lo sguardo si apre a una valutazione insolita: l’artista, infatti, ha un occhio ingenuo, in quanto la prima volta che è giunta a Firenze ha coinciso con il secondo lock-down dovuto al Covid. Lambert-Phillips si è trovata isolata, in una città che non conosceva, ma di cui ha deciso di esplorare gli spazi solitamente più frequentati per mostrare nella loro purezza – e solitudine – le opere che popolavano la città. Da qui il titolo della serie: disclosures, rivelazioni. Di fronte a così tanta disponibilità di spazio e tempo, gli angoli di Firenze sono diventati punti ideali per realizzare scatti privi della massiccia presenza umana che ne modifica la fruizione.
L’immobilità cittadina è il riflesso delle statue fotografate, simbolo del ricordo immutabile. L’artista riprende questi scorci da angoli nascosti, come se non volesse disturbare l’illibatezza della situazione di cui si trovava partecipe. L’occhio sta dietro le quinte e osserva uno spettacolo fatto per altri: fantasmi, forse, che popolano le strade e le piazze e conoscono il dialogo che si instaura tra le opere.
Il burbero e geniale Cellini contro l’iper-michelangiolesco Bandinelli e il suo protetto, l’Ammannati, formano un triangolo di tensioni che comprende l’Ercole e Caco, il Perseo e il Nettuno della fontana accanto a Palazzo Vecchio. Di queste opere Lambert-Phillips non ritrae necessariamente gli aspetti più consumati dallo sguardo: la posizione della fotografia è defilata per mostrarne elementi che spesso sfuggono alla vista. Ne è un esempio lo scatto della fontana del Nettuno, di cui vengono rappresentati in primo piano i cavalli che circondano il basamento della statua. Chi non vede quotidianamente queste opere, spesso coperte dai corpi dei turisti, trova difficile contestualizzare un’immagine del genere.
Dai sei scatti emerge un problema che si apre anche all’esterno della città: qual è il passaggio da una visita consapevole a un abuso dato dalla fruizione in massa di spazi teatralizzati?
Le tre fotografie della seconda serie presentata in mostra, Grand Tour, riflettono su questa condizione, sottolineando l’intimità di una visione che può diventare fruizione consapevole solo se effettuata con spazi e tempi dilatati, quali appunto quelli di un viaggiatore.
Il progetto del Grand Tour – viaggio di formazione attraverso l’Europa e l’Italia dei giovani delle classi elevate – aveva, infatti, risvolti educativi e sociali, in cui il viaggio era palestra per un vero e proprio scambio culturale con l’obiettivo di arricchire se stessi e la propria società di origine con idee, mode e influenze artistiche e politiche, alla ricerca del canone da seguire o da riformulare, creando “un senso di identità condivisa”.
Il contrasto tra i temi del passato e del presente è dato anche dalla scelta, per questa serie, del colore con cui emergono i rosa, i verdi e gli azzurri pastello tipici del Rococò negli interni di Villa Geggiano, dimora storica tappa del Grand Tour della Toscana. Un invito a diventare nuovamente viaggiatori, riformulandone il concetto, storicamente relegato a una classe sociale ben precisa, in uno spazio e un tempo dominato dall’iper-efficienza e dal consumo attraverso un semplice sguardo.