Rumori disturbanti, che colpiscono nel fastidio. Quadri meccanici di vecchie macchine elettriche riassemblate. Luoghi tra ludico e tragico. Attenzione a cultura cyberg, al cinema, alla pittura. Non c’è dubbio che, per Bertoli, l’arte non sia lontana dalla vita. È la vita nel frattempo, il tempo con il prefisso: uno spazio tra i due fatti, pensava Bertoli. Fra-tempo implica dei mentre, delle simultaneità, degli ordini sovrapposti che si influenzano reciprocamente fra le nostre idee, i nostri sentimenti, gli ordini della nostra vita.
La Fondazione Palazzo Magnani ospita, dal 21 settembre al 24 novembre 2024, presso la sede di Palazzo da Mosto a Reggio Emilia, una retrospettiva dedicata a Luciano Bertoli, artista ermetico. Curata da Martina Corgnati, la mostra porta il titolo Frattempo. Le curve di Mandelbrot, un omaggio alla serie pittorica omonima realizzata a partire dagli anni Novanta e mai esposta al pubblico, finora custodita dalla famiglia.
L’omaggio alla dimensione umana è la cifra di Luciano Bertoli, il quale cercava la quadra in un mondo interconnesso e filamentoso; e, forse, Bertoli nel suo essere fra-tempo, si è aperto lo spazio tra un tempo umano e lineare e uno trascendentale, cercando connessioni tra fili invisibili. Il suo punto di vista e la sua esperienza soggettiva giustificano le presenze più o meno evidenti di volti non sempre riconoscibili, corpi, sagome di donne da una morbida sensualità e citazioni, più o meno evidenti, di autobiografie.
Una dimensione umana che sembra essersi bloccata in lastre di plexiglass che, in parziali trasparenze, si fanno ghiaccio ai nostri occhi e contengono città futuristiche e futuribili, forme pseudo umane che sembrano disgelarsi da un momento all’altro o forse mai. È un Luciano Bertoli che gioca con le paure più umane, quelle della morte, e d’altra parte le utopie della medicina dell’immortalità.
Ma Bertoli è sempre stato attratto anche dalla scienza. E infatti, dalla metà degli anni Ottanta, mette davanti a noi la rappresentazione delle curve di Mandelbrot, che danno il nome alla stessa mostra. È un’immagine che impressiona molto lo stesso artista che dedica gli ultimi vent’anni di ricerca attraverso un ritorno alla pittura. Un mondo non più meccanico, ma scientifico.
“È impossibile uno stato quantico – ci dice Martina Corgnati, curatrice della mostra – A mio parere, per tentare di muoversi in queste configurazioni fluide e seducenti, è utile lasciarsi guidare da alcune parole-chiave, selezionate dall’artista stesso, e ricorrenti nei titoli, nei testi e nei pensieri affidati alla scrittura: “sintropia”, “entanglement” e, il più difficile di tutti, ‘frattempo'”.
Sono forme che si autogenerano in un susseguirsi inesauribile, infinitamente scomponibili e riproducibili. Bertoli cercava intrecci di forme geometriche, libere e curve, di particelle in continuo movimento. Il suo desiderio era quello di trasformare l’intuizione artistica e la quantistica in natura visiva, portandola sul primo piano delle sue opere. Così ha scomposto progressivamente le forme percettibili e impercettibili di un realtà dell’infinitamente piccolo e dell’immensamente lontano, con un colore dinamico ed esplosivo, apparenze materiche come solo l’olio riesce.
Luciano Bertoli ha intuito, nella sua carriera artistica, il potenziale di una tale rappresentazione visiva: capisce il virtuosismo di un oggetto matematico che, intrecciato con un approccio sensoriale e artistico, restituisce suggestioni di forme visibili e invisibili che non assomigliano alla realtà più immediata che ci circonda. L’arte rende evidente e tangibile la vita, e di questo Bertoli ne era convinto.