Norvegese, nata a Londra nel 1990, Constance Tenvik è una delle artiste più giovani e più promettenti sulla scena artistica contemporanea di Oslo. La sua pratica si contraddistingue per una complessa multimedialità che unisce con entusiasmo ed esuberanza mezzi espressivi diversi, dalla pittura alla performance, dalla installazione al disegno, dalla tessitura alla danza vera e propria, con cui spesso si esibisce nei post del suo profilo Instagram.
Il suo stile, umoristico e quasi caricaturale, si caratterizza per un vibrante uso di colori accesi e brillanti e per una destrezza nella cesellatura dei materiali, che siano esse scultore metalliche oppure grandi arazzi. I suoi soggetti sono spesso amici e familiari a cui chiede di inscenare personaggi allegorici all’interno di drammi dal sapore antico e teatrale.
Attualmente Constance Tenvik è in mostra a Oslo, presso il MUNCH Museum, con una grande installazione che fa parte del programma SOLO OSLO, attraverso il quale il museo supporta la nuova generazione di artisti della città. In precedenza ha esposto la sua arte presso la Loyal Gallery a Stoccolma, l’Astrup Fearnley Museum, UKS e Kunstnernes Hus a Oslo, e la Anat Egbi a Los Angeles.
“L’uso promiscuo di diversi mezzi artistici da parte di Constance Tenvik, un approccio ossessivo al limite della ricerca e una curiosità intellettuale onnivora la rendono un’artista con la capacità di mobilitarsi a molti livelli diversi” ha affermato la curatrice della mostra Tominga O’Donnell.
Abbiamo incontrato Constance Tenvik a Milano, in occasione della Milano Fashion Week, per la presentazione della sua prima Artist Edition, interamente progetta e disegnata a mano dall’artista e presentata nella cornice della mostra di “Edvard Munch: Il Grido Interiore”, presso Palazzo Reale.
Vorrei partire dalla tua pittura. Oggi si avverte un ritorno o una rinascita della pittura perché molti artisti sono sempre più interessati a dipingere. Quando hai iniziato a utilizzare il pennello e quali sono le tue intenzioni nei confronti di questo mezzo?
Ho sempre disegnato, ma la pittura credo sia iniziata nel 2018 quando, durante una conversazione con un’amica, ho deciso di volerle fare un ritratto. E così ho fatto per tante altre persone che ho incontrato nel mio studio.
Alla Yale School of Art ho studiato scultura e, in generale, sarei più interessata allo spazio e all’ambientazione tridimensionale, ma tutte queste conoscenze si possono abilmente veicolare anche nella pittura, con la consapevolezza del limite della tela.
C’è quindi tanta teatralità scenica nelle tue opere?
Sono teatrale. Mi piace il dramma dell’esistenza umana. La mia mostra al Munch Museum prende spunto dall’antica commedia greca Gli Uccelli di Aristofane, una commedia che in realtà è un po’ tragica.
Aristofane è il padre della commedia, di cui ci sono pervenute undici opere complete.
Gli Uccelli è una commedia ovviamente divertente, ma in un certo senso è anche un po’ triste, perché parla di questi due uomini, Pisthetaerus ed Euelpides, che stanchi di vivere sulla terra, vogliono fuggire dal mondo umano di Atene e vogliono scappare in paradiso. Chiedono aiuto agli uccelli, in particolare a Hoopoe, un ibrido uccello-umano, per conquistare il dominio dell’aria. Alla fine ci riescono, ma lo faranno con le proprie forze.
Quindi, questa è stata la premessa del mio progetto.
Quello che mi hai raccontato è la storia della commedia di Aristofane, ma quali sono i significati profondi sottesi a questo testo che ha quasi 2500 anni?
Penso che questo sia un buon momento per prendere in giro il pensiero imperialista, trovando gioia nell’evasione e riconoscendo il desiderio umano. Ci sono molte preoccupazioni con cui ci stiamo confrontando anche oggi, esattamente come ai tempi di Aristofane. Nella commedia Gli Uccelli c’è un modo di pensare colonialista, perché gli umani, quando arrivano dagli uccelli, non fanno domande (non chiedono ad esempio: Come vivete? Cosa mangiate?). Vogliono solo costruire la civiltà. Vogliono essere più forti, più potenti, più grandi. Vogliono diventare re e governare.
Quindi, penso che nella storia ci sia un significato più profondo. E penso che la cosa buona della commedia è che puoi giocare con le idee senza che diventino così pesanti da annegarvici dentro. Così è anche per il mio lavoro: in superficie è colorato, divertente, un po’ dandy. Ma se vai in profondità, trovi altri livelli di significato.
Quale è stata la connessione tra il tuo progetto espositivo e il Museo Munch che ospita la mostra?
Ho abitato il vecchio studio di Edvard Munch da gennaio, quindi da quasi nove mesi. È stato fantastico e super stimolante perché c’è molta luce naturale che entra direttamente dal soffitto a vetri (a Oslo!) ed è uno degli spazi più alti del museo. Volevo quindi sfruttare e utilizzare questa altezza e ho pensato agli uccelli e a quanto sarebbe stato interessante muoversi attraverso mondi diversi, dal mondo umano al mondo degli uccelli al mondo divino.
Così nella mia mostra è possibile muoversi attraverso sculture di metallo (come un cancello ornato e multicolore all’ingresso dell’installazione), quattro grandi tessiture jacquard digitali appese al soffitto (ogni pannello tessile è una traduzione digitale di un mio dipinto); infine un video, girato nello studio di Edvard Munch a a Ekely (una sorta di arazzo digitale programmato al computer) in cui ho messo in scena ballerini del balletto dell’Opera di Oslo e alcuni attori che interpretano gli dei dell’Olimpo.
Dunque, quale sarà l’esperienza che dovrà vivere lo spettatore della tua mostra?
Le persone dovranno muoversi attraverso questa esperienza, dovranno percepirne la narrazione senza esserne vincolate, per poter seguire liberamente la parola, il personaggio o il filone espressivo che preferiranno. Ora il pubblico non dovrà più capire il mio processo creativo, ma potrà pienamente vivere un’esperienza sinestetica e multimediale.
Quindi, anche i foulard di seta e i di guanti con motivi jacquard che hai presentato a Milano, presso Palazzo Reale, in occasione della mostra “Edvard Munch. Il Grido interiore” sono collegati alla tua intenzione di rimanere connessi con le persone?
Questo è il motivo per cui ho iniziato a disegnare e progettare. La cosa bella del disegno è che può diventare una casa oppure può diventare un vestito. È il modo più diretto per passare dalla testa alla mano, ed è di solito il punto di partenza. Ed è anche il modo per comunicare le tue idee ad altre persone, creare connessioni e relazioni.
Anche l’abito che indossi lo hai disegnato tu?
Progetto un abito su misura per ogni grande apertura di mostra, e ho collaborato con produttori tessili nel Nord Italia e sulla costa occidentale della Norvegia per diversi progetti. È l’attenzione ai dettagli e la qualità del tessuto e delle rifiniture che mi attraggono in queste collaborazioni, dove posso tradurre la mia pratica pittorica in una diversa materialità, in questo caso, in un’estensione corporea della mostra di Oslo.