Tarquinia, culla di antiche civiltà, continua a essere un crocevia di cultura e innovazione artistica grazie al lavoro della STAS (Società Tarquiniense d’Arte e Storia), da oltre un secolo custode del patrimonio artistico cittadino, e a iniziative come la mostra “Orizzonte Terra” e il Premio “Vasco Giovanni Palombini”. In questa intervista doppia, Alessandra Sileoni, Presidente della STAS, e Lorenzo Fiorucci, curatore della mostra, ci offrono uno sguardo privilegiato sulla visione che guida il loro impegno: da un lato, la missione della STAS di tutelare e promuovere il patrimonio culturale e artistico della città; dall’altro, l’ambizione di far dialogare tradizione e contemporaneità attraverso l’arte ceramica.
Sileoni e Fiorucci discutono delle sfide e delle opportunità legate alla promozione dell’arte ceramica e alla valorizzazione del patrimonio storico. Ci raccontano come il Premio “Vasco Giovanni Palombini” sia diventato un catalizzatore per la creatività contemporanea e un simbolo di come la tradizione fittile possa continuare a evolversi, arricchendo il panorama artistico internazionale.
Insieme, esplorano le dinamiche della collaborazione tra istituzioni culturali e artisti, offrendo una riflessione profonda su come la STAS stia costruendo un percorso che non solo preserva il passato, ma lo trasforma in un trampolino di lancio per nuovi talenti e sperimentazioni. Attraverso la lente della loro esperienza, emergono le visioni complementari che stanno plasmando il futuro artistico di Tarquinia, unendo radici antiche e nuove voci creative in una sintesi affascinante e innovativa.
Intervista a Lorenzo Fiorucci, curatore della mostra
Che cosa l’ha ispirato a scegliere il tema “ORIZZONTE TERRA” per questa edizione della mostra?
Vedendo la tendenza degli ultimi anni, mi pare che la cosiddetta scultura di Terra, sia oggi poco rappresentata nei contesti ufficiali, espositivi e di mercato, dove si parla di scultura ed in particolare di scultura ceramica. Si tende infatti a privilegiare oggi, più che mai, sculture più appariscenti, fatte di colori cangianti in un certo senso più “cosmetiche”, che catturano in modo retinico l’osservatore. La scultura di terra è più difficile da cogliere eppure è la più genuina, senza infingimenti è nuda e cruda, quasi tautologica si palesa per ciò che è. Per cui mi sembrava urgente porre l’attenzione su questo tema, tanto più che ci sono validissimi artisti a livello internazionale come ad esempio Gabriel Chaile che nella Biennale di Venezia del 2022 ha dato prova di quante possibilità tecniche e formali può avere ancora questo medium.
Ma soprattutto l’Italia dimentica che ha una lunga tradizione in questo ambito che nel solo novecento coinvolge artisti come Arturo Martini, Lucio Fontana, Leoncillo, Nanni Valentini, Amilcare Rambelli, Pino Spagnulo Giancarlo Sciannella e via di seguito fino agli artisti invitati ad esporre: Marta Palmieri, Victor Fotso Nyie, Samantha Passaniti e Michele Rava che rappresentano un punto nodale di attualità su questo particolare ambito di ricerca.
Può spiegare come la mostra crea un dialogo tra l’antico e il contemporaneo, soprattutto attraverso l’uso della terracotta?
La terracotta è forse la materia che l’uomo ha manipolato e cotto ancor prima di ogni altra cosa, forse anche ancor prima del cibo e questo la elegge in qualche modo a Materia prima per eccellenza, ma al di la di questo il legame antico-contemporaneo, si configura proprio in relazione al luogo della mostra: Tarquinia. La città etrusca custodisce nelle proprie viscere l’arte antica, greca soprattutto, fatta proprio di vasi in terracotta ed anche bucchero etrusco, che ogni tanto la terra rigurgita dalle proprie viscere, attraverso le scoperte di tombe o aree archeologiche. Mi sembrava dunque inevitabile, anche per questo motivo, scegliere la terracotta come oggetto critico della mostra proprio per riallacciare un filo con la storia arcaica di questo territorio che ospita i Premi Marziano e Palombini.
Qual è il significato dell’omaggio a Luigi Mainolfi all’interno della mostra e perché ha scelto di includerlo?
Come illustravo poco sopra, l’Italia ha una lunga tradizioni di scultori di terra, che sono stati innovatori e protagonisti dell’arte italiana ed europea già dagli anni trenta del novecento. Mainolfi si inserisce in questa lunga scia e ad oggi è senza dubbio tra gli artisti maggiori che con costanza e determinazione portano avanti almeno, da quarant’anni un discorso consapevole e innovativo attorno alla scultura non solo di Terra, ma anche.
Quali sono le sfide e le opportunità nel curare una mostra che unisce elementi storici e artisti contemporanei?
Ogni mostra è un atto critico già solo per le scelte degli artisti che si è chiamati a fare, ed ogni atto critico è di conseguenza una sfida. Lavorare sul doppio livello storico – contemporaneo è un ambito che mi piace molto e che abito frequentemente. Credo che sia un rapporto simbiotico che non danneggia quasi mai nessuno, ma che arricchisce entrambi. Fare i conti con la storia ci fa acquisire conoscenze e consapevolezze utili, soprattutto oggi, anche per vivere e capire il tempo nostro e forse dovrebbe servire a fare salti in alto, più che in avanti, avendo ben saldo a terra un trampolino che ci viene dal passato.
Come vede l’evoluzione della scultura ceramica nel contesto attuale e quale posto occupa Tarquinia in questo panorama?
La scultura ceramica ha una grande caratteristica che è forse la tecnica che a diversi livelli, dal popolare artigianato all’aulico artistico, coinvolge tutte le civiltà della terra. Non c’è un paese in cui non ci sia un artista o artigiano che cuoce la terra. Anche nelle Township del Sud Africa dove i problemi sono ben altri, mi è capitato di trovare la botteghina con le signore che decorano e cuociono la ceramica. Questo sta a significare che la ceramica, sia scultura che artigianato o design, offre una possibilità di dialogo e di scambio a tutti i livelli e questa opportunità va perseguita. Quasi che la ceramica può avere un ruolo non solo nella cultura o nell’economia di un paese ma anche nella politica estera e a pensarci bene anche nella geopolitica.
C’è un articolo uscito quest’estate, battuto da una delle agenzie stampa più accreditate, che recita come a Gaza una piccola bottega di ceramica, ha trovato il proprio sostentamento grazie alle commissioni che gli arrivano dall’estero, mentre fuori si scatena l’inferno, la dentro si immagina un possibile futuro facendo fronte ad un presente difficile. Tarquinia dal punto di vista artistico ha tantissime possibilità, intanto ha l’esperienza dell’Etrusculudens di Sebastian Matta che negli anni 70 ha tentando una spinta di rinnovamento della tradizione proprio con la terracotta. Da quella esperienza sono nati direttamente o indirettamente, tanti bravi artisti come Bruno Elisei, Nino Calandrini, Luigi Belli, Marco Ferri, Marco Vallesi e tanti altri che conducono con passione e perseveranza una valida ricerca ceramica e non solo, come Massimo Luccioli, che sta portando avanti da anni un’interessante ricerca sulla scultura di terra. Per cui direi che Tarquinia, essendo inoltre diventata Città della Ceramica, può insistere su questo fronte candidandosi, grazie anche ai Premi che la STAS e la sua presidente Alessandra Sileoni va portando avanti, come un avamposto di ricerca sperimentale al di fuori di logiche mercantili o tendenze maggioritarie.
Intervista ad Alessandra Sileoni, presidente STAS
Può parlarci del ruolo della STAS nella promozione dell’arte e della cultura a Tarquinia, in particolare riguardo al Premio “Vasco Giovanni Palombini”?
La STAS è un’associazione che fin dalla sua fondazione, nel febbraio del 1917, ha avuto un ruolo fondamentale per la tutela del patrimonio storico artistico di cui Tarquinia è tenutaria. Nell’ultimo ventennio di attività, abbiamo voluto proiettare la nostra progettualità verso l’arte contemporanea e in particolare verso la scultura ceramica.
Il premio parte, infatti, dalla volontà di promuovere la produzione ceramica contemporanea sul posto, quale sviluppo innovativo di una tradizione fittile peculiare, che fa di Tarquinia una realtà produttiva basata su sperimentate tecniche manipolatorie, di cui un eccezionale patrimonio storico e archeologico rimane testimonianza. Basti pensare agli originali vascolari sia etruschi che greci, e più propriamente alla coroplastica, di cui il gruppo dei Cavalli alati è tra le massime espressioni, per passare poi alle ceramiche medievali e rinascimentali, fino a divenire con la fine dell’800 ceramica di imitazione, ancora oggi eseguita a fini commerciali nelle botteghe di abili artigiani locali.
Un percorso millenario e continuativo quindi quello della lavorazione fittile sul posto, che pertanto deve essere intesa come volano sia culturale che turistico per la nostra cittadina. Tra le finalità del premio vi è sempre stata quella di ufficializzare questa forma d’arte come identificativa del territorio, non a caso poco dopo l’istituzione è venuto il riconoscimento da parte della AiCC e del MISE di Tarquinia come centro di antica produzione ceramica.
Qual è l’importanza di dedicare un premio a Vasco Giovanni Palombini e come riflette il suo contributo sulla comunità artistica di Tarquinia?
Il contributo di Vasco Giovanni Palombini verso l’arte contemporanea non si è limitato favorire il lavoro di molti artisti in qualità di collezionista. Divenuto presidente della STAS nel 2008, è stato lui ad avviare una serie di iniziative che rappresentano un viatico per la nostra associazione, come ad esempio l’istituzione del Museo della Ceramica a Palazzo dei Priori, nostra sede sociale, iniziative mirate a promuovere con maggior attenzione che non in precedenza l’arte ceramica a Tarquinia. Una passione la sua che inizia dall’amicizia con lo scultore cileno Sebastian Matta che a Tarquinia fonda con fini prettamente formativi l’Etruscu-ludens, laboratorio d’arte prevalentemente ceramico e non solo, ma in quel momento la nostra cittadina non era ancora pronta.
Quel laboratorio è stato comunque fucina di artisti che hanno raggiunto una certa fama, come Giovanni Calandrini, Marco Ferri e Marco Vallesi, ai quali in seno ai premi d’arte abbiamo dedicato delle personali, anche per rivitalizzare doverosamente la memoria del loro contributo alla sperimentazione di Matta, che li ha poi portati poi ad incanalarsi verso nuove modalità del fare ceramica.
In che modo la STAS supporta gli artisti partecipanti al Premio “Vasco Giovanni Palombini”?
Al momento il supporto prestato si limita agli aspetti logistici di ospitalità e di allestimento, facendoci carico delle scelte espositive di ciascuno degli artisti in mostra, così come concordate con il curatore. Ma il maggior contributo risiede nella promozione d’immagine che il premio offre, essendosi dimostrato in queste due edizione un’ottima vetrina sia per gli operatori che per le loro creazioni. Senza dimenticare che al vincitore spetta il premio in denaro di € 5.000, erogato dalla famiglia Palombini.
Può descriverci il processo di selezione dei vincitori del premio e l‘importanza della giuria composta da personalità così illustri?
Il ruolo basilare è svolto proprio la giuria, in base al regolamento del premio, costituita da esperti del settore, critici d’arte, direttori di musei, artisti o meglio scultori ceramici, direttori di riviste specializzate, la cui autorevolezza da forza e risalto al premio. A Flaminio Gualdoni, Marco Tonelli, Tommaso Cascella, Attilio Quintili, Giovanni Mirulla e Maria Elisabetta De Minicis si sono affiancati Paola Palombini, la cui presenza si lega alla figura del padre e rimarca il legame con il territorio, così come quella del sindaco di Tarquinia, Francesco Sposetti: la partecipazione del Primo Cittadino a tutte le fasi di selezione fino al conferimento, è un nuovo traguardo raggiunto in questa edizione del premio che lo istituzionalizza.
Ai giudici viene in via preliminare presentata l’idea progettuale, accompagnata da un profilo dei protagonisti, per metterli in condizione di cogliere al momento della valutazione, l’artista e quindi l’opera che ha meglio interpretato la volontà del curatore della mostra. Il criterio seguito dai giudici è in via prioritaria volto a valutare gli aspetti tecnici, la perizia esecutiva, l’uso delle materie prime e in secondo luogo estetico, quindi la qualità dell’opera e l’allestimento come elemento di valorizzazione della stessa.
Come vede l’interazione tra il patrimonio storico-archeologico di Tarquinia e l’arte contemporanea esposta nella mostra “Orizzonte terra”?
Sicuramente in questa edizione, Lorenzo Fiorucci ha voluto e saputo sottolineare maggiormente il legame con l’antico o meglio con l’antichità del territorio, il titolo stesso della mostra richiama al concetto atavico di “terracotta” ma è soprattutto la sezione a Palazzo Vitelleschi, sede del Museo Archeologico Nazionale, prestigioso contesto in cui si è svolta la cerimonia di assegnazione del premio, che caldeggia il dialogo tra antico e contemporaneo. Un’interazione affidata a un maestro come Luigi Mainolfi che, in maniera ironica, riesce ad irrompere con le sue “meteore” nell’immobilità ancestrale dei reperti esposti nelle vetrine del museo, e fa affacciare i volti a lui familiari di Torino dal loggiato del palazzo che guarda il mare.
Di questo, oltre a Mainolfi e al curatore della mostra, non possiamo non ringraziare il direttore del Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia, Vincenzo Bellelli. Ritengo questa apertura verso la contemporaneità, di uno dei più prestigiosi musei archeologici del nostro Paese, un valore aggiunto alla progettualità del premio, poiché consolida il punto d’unione tra passato e presente.