Il corpo come mezzo espressivo multiforme: le fotografie di Cortona On the Move

Il vento e una pioggia leggera mi accompagnano mentre passando per Porta Sant’Agostino salgo a passi lenti verso il cuore di Cortona. Il borgo sembra essere avvolto in un’atmosfera sospesa, che amplifica la sensazione di trovarsi in un luogo senza tempo. Qui, tra vicoli stretti e scalinate ripide e nascoste, prende vita una mostra fotografica diffusa, parte delle iniziative del festival “Cortona On The Move”.

Giunto alla sua quattordicesima edizione, questo progetto culturale ed espositivo si propone di esplorare la connessione tra corpo e fotografia attraverso un tema di grande impatto: “Body of Evidence“. Decine di fotografi, provenienti da ogni angolo del mondo, portano la loro visione unica e personale sul corpo, trasformando la città stessa in una galleria a cielo aperto. Tra le stradine intrecciate del centro tutti sembrano muoversi in cerca di qualcosa, e di tanto in tanto qualcuno sparisce intrufolandosi nello spazio di una porta aperta. Dietro ciascuna di queste porte segnate sulla mappa, mi ritrovo a muovermi attraverso veri e propri racconti. Porta dopo porta e strada dopo strada, il corpo è il mezzo espressivo multiforme che fa da filo conduttore tra esiti riflessivi tanto eterogenei quanto profondamente legati tra loro. Il corpo: teatro di sofferenza, scelte, espressione, amore, violenza, desiderio, autodeterminazione, fragilità, forza, movimento e morte. 

Alcune serie fotografiche esplorano il corpo come uno spazio intimo, un rifugio dove si intrecciano introspezione e desiderio di libertà che si scontrano o si relazionano col mondo esterno. Attraverso questi scatti, ciascuno dei soggetti ritratti diventa mezzo espressivo dell’io più profondo, con le sue paure e i suoi aneliti. Ne sono esempio “Sexual Fantasies”, di Myriam Boulos e “Restraint and Desire” di Ken Graves ed Eva Lipman. In modo quasi simbolico, entrambi i lavori sono esposti in spazi dove si accede scendendo, dopo salite ripide, rispetto al livello della strada.

Le fotografie di Myriam Boulos, esposte nel contesto magnifico della Fortezza del Girifalco che sovrasta il borgo, aprono una riflessione sulla donna e sulla sua rappresentazione. I ritratti esposti sono accompagnati da didascalie, citazioni riguardanti le fantasie sessuali raccontate da ciascuna delle partecipanti e permettono al visitatore di entrare con esse in un rapporto empatico di vicinanza e intimità. Il progetto vuole sottrare i corpi delle donne arabe dalla narrazione di dolore e oppressione, riportandoli ad una dimensione di forza, resistenza ed autoaffermazione.

Diverso è il focus su cui è incentrato il lavoro di Ken Graves ed Eva Lipman, che insieme hanno esaminato attraverso lo studio fotografico dei rituali sociali il tocco, le norme che lo guidano e le relazioni interpersonali. Il duo artistico crea una narrazione coinvolgente attraverso contrasti e parallelismi tra gesti opposti, come l’abbraccio affettuoso di una coppia e l’incontro di due opponenti su un ring da boxe.

Regula Tschumi This is the End Press

In altri progetti esposti, possiamo invece notare un intento quasi più documentaristico, che apre gli occhi su contesti lontani ed estranei e su temi che, se anche ben noti ai più, raramente ci vengono mostrati con una tale forza ed evidenza. La guerra, la violenza, il cambiamento climatico, ma anche storie di usanze diverse dalle nostre e talvolta incomprensibili, come alcune usanze legate al culto dei morti nella serie “This Is the End”, a cura di Paolo Woods e Irene Opezzo (non adatta a spettatori particolarmente sensibili). Si tratta di questioni che, per chi vive in condizioni privilegiate, possono sembrare lontane e astratte, trattate spesso con distacco.

Qui, però, attraverso le immagini, ci viene presentata una realtà concreta e ineludibile. Così accade ad esempio nella serie fotografica della giovane artista egiziana Rehab Eldalil dal titolo “From the Ashes, I Rose نهضت الرماد من” realizzata nell’ospedale di Medici Senza Frontiere in Giordania coinvolgendo i pazienti ritratti nell’intero processo creativo. E ancora nel progetto “Atrapanieblas (Fog Nets)”, dove Alessandro Cinque ha documentato le tecniche di approvvigionamento idrico nelle zone periferiche di Lima, che prevedono la raccolta d’acqua attraverso la sublimazione della nebbia densa per mezzo di reti a maglia stretta.

Le fotografie ci costringono a vedere oltre le parole, a riconoscere l’umanità che si nasconde dietro ogni tragedia, e a confrontarci con una realtà che non possiamo ignorare. Qui, l’attenzione si concentra sulle dinamiche delle relazioni sociali e ambientali: il corpo si rimodella, si fonde o si contrappone agli elementi che lo circondano, rivelando una danza costante tra vulnerabilità e resistenza. Le immagini suggeriscono che l’interazione tra un corpo e ciò che è al di fuori di esso (che sia un’altra persona o un ambiente specifico) non è mai neutra, ma piuttosto il risultato di una complessa rete di relazioni, reazioni, scelte, forze, che spingono a ridefinire continuamente i confini dell’identità e del proprio posto nel mondo.

History fog nets Lima Peru

Visitare una mostra che ha il corpo come fulcro ci coinvolge su più livelli. In una mostra diffusa, dove le opere sono disseminate tra vicoli e piazze, non siamo solo spettatori passivi, ma ci muoviamo, ci spostiamo, ci perdiamo. Ogni passo che facciamo diventa una decisione, un atto consapevole che ci mette a confronto non solo con le immagini esposte, ma con il nostro stesso corpo. Camminando tra le strade di Cortona, siamo chiamati a sentire la fatica e il ritmo del nostro movimento, a sviluppare un forte senso di empatia verso l’altro, a porci domande su noi stessi, su chi ci è vicino e su chi invece è assolutamente distante. Una semplice passeggiata tra le strade di un borgo diventa allora occasione per un dialogo silenzioso tra persone, diventa punto di contatto tra l’opera d’arte e la fisicità di chi la osserva, un invito a essere presenti e consapevoli del corpo, non solo come oggetto di osservazione, ma come parte integrante del viaggio.

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