Da sempre la natura è stata fonte d’ispirazione per gli artisti di tutte le generazioni, dalle nature morte dell’arte fiamminga del ‘400, ai paesaggi degli impressionisti francesi, fino alla land art e alle installazioni site specific, immerse nel verde, dei giorni nostri. Senza ombra di dubbio arte e natura, così come arte e scienza, sono un binomio indissolubile e reciprocamente contaminabile.
Il mudaC – museo delle arti di Carrara, celebra questo dualismo attraverso due mostre personali, progetti in dialogo e a confronto tra loro. Si tratta di Pars Caeli di Simone Gori, aperta fino al 9 marzo 2025 e Aliens di Martina Morini, visitabile fino al 5 gennaio 2025.
Entrambe le esposizioni a cura di Cinzia Compalati, storica dell’arte e curatrice nonchè direttrice del mudaC, sono state realizzate nell’ambito della XX edizione della Giornata del Contemporaneo AMACI (Associaizone dei Musei d’Arte Contemporanea italiani).
I due artisti raccontano attraverso una visione personale due diverse sfaccettaure del mondo naturale e di conseguenza anche artistico, una più materiale e concreta, l’altra più spirituale e eterea, come se messi a confronto fossero il cielo e la terra, il pieno e il vuoto, la scienza e la religione.
Simone Gori, architetto e designer di formazione, nasce a Firenze nel 1986 e intraprende fin da giovanissimo la carriera artistica. La sua prima personale risale al 2012, con la mostra Bianco 900, presso lo spazio Warehouse a Prato. Da quel momento si susseguono una serie di progetti, collettivi e personali, che lo vedono coinvolto in importanti istituzioni tra cui la galleria Corte Contemporanea di Firenze e la Collezione di Carlo Palli. Importante è la menzione d’onore al Compasso d’oro che riceve nel 2018.
Pars Caeli, letteralmente parte di cielo, è un vero e proprio omaggio all’incorporeo. Nelle opere di Gori la materia è come se non ci fosse, la leggerezza domina i suoi lavori anche nelle creazioni più imponenti e fisicamente pesanti. Ne è un esempio l’opera Senza titolo, un grande armadio in legno che nasconde al suo interno, come uno scrigno o un guscio protettivo, la vastità del cielo infinito. Di stampo fiabesco, l’opera ci trasporta immediatamente all’interno di un mondo incantato, dove il limite interpretativo è la nostra immaginazione. Il grande armadio che contiene una riproduzione video al suo interno, è stato realizzato dall’artista nel 2019 e la curatrice Cinzia Compalati, lo espone a Carrara nella stessa sala dell’opera in poliuretano espanso Pars Solis, del 2021. Questa scelta è determinante per il racconto che si sviluppa. Esattamente come succede realmente, il cielo accoglie il sole nel suo spazio, il quale a sua volta lo illumina, facendolo risplendere di luce.
Questa dinamica la ritroviamo anche in mostra, nello specifico in questa sala, dove cielo e sole non solo sono due opere in dialogo tra loro, ma sviluppano addirittura una narrazione, il racconto del mondo celeste. Il cielo, sotto il quale le nostre vite procedono, sembra rimanere sempre lì, nostra unica certezza è la sua immutabile presenza che ci sovrasta. In realtà è tutto tranne che immobile e la sua bellezza sta proprio nel poterlo vedere ogni volta in modo diverso. Proprio come Claude Monet, pittore affascinato dall’aspetto mutevole della natura, dipingeva ogni giorno le stesse ninfee per coglierne l’impressione di un attimo, attraverso i cambiamenti dei fiori in base all’ora del giorno, alla luce e alla stagione, Simone Gori porta avanti la stessa ricerca in chiave contemporanea, includendovi anche un punto di vista spirituale-filosofico, decisamente personale ed interpretativo.
Della personale di Gori non si può non citare Pars Lunae. Un’opera spettacolare dalle grandi dimenzioni, realizzata dall’artista nel corso di quest’anno. Si tratta di una mezza luna illuminata che affacciandosi su uno specchio d’acqua, riflette la sua immagine sulla superficie, completandosi in questo modo nella forma. L’installazione occupa quasi tutto lo spazio e lascia chi la osserva in uno stato quasi di riverenza e rispetto verso quello che sta guardando. Un po’ come in chiesa, lo spettatore si ritrova ad ammirarla in silenzio, circondato dal buio della sala che rende la percezione ancora più suggestiva. Dal forte carattere mistico, la temporalità si perderebbe se non fosse per il netto scandire di una goccia d’acqua che come pioggia che cade dalle nubi, rompe la calma superficie sottostante.
L’omaggio alla natura di Simone Gori è decisamente poetico e al mudaC viene messo a confronto con un altro tipo di linguaggio molto più concreto, quasi documentaristico, quello di Martina Morini.
Classe 1985, Martina Morini nasce a Carrara e si laurea all’Università di Padova in Relazioni Internazionali e Diritti Umani. È sempre stata una girovaga, curiosa nello scoprire realtà e stili di vita diversi dai propri. Durante la sua carriera universitaria ha infatti studiato e vissuto tra Roma, Venezia, Bruxelles e le Isole Azzorre. Oltre ai viaggi durante l’università, ha lavorato come project manager in progetti legati ai diritti idrici all’interno di ONG internazionali che l’hanno portata dal Congo alla Mongolia e dalla Palestina all’Iraq. I diritti umani sono da sempre al centro della sua ricerca artistica, è infatti proprio durante queste spedizioni che si avvicina alla fotografia, che concepisce come un mezzo potentissimo di denuncia sociale. Il tema della migrazione, sia umana che non umana è uno dei focus centrali dei suoi lavori e la mostra ALIENS al mudaC non è da meno.
Il progetto della Morini esposto a Carrara, presentato anche al Mese Internazionale del Fotogiornalismo a Padova nel 2022, nonchè vincitore dell’Italy Photo Award nel 2021, indaga una questione di grande impatto ambientale ma scarsamente studiata e addirittura poco conosciuta. ALIENS, il titolo della personale, è anche il nome che viene utilizzato per indicare tutte quelle specie non autoctone come piante, animali o funghi che si insediano in altri territori e che oggi si spostano velocissimi in ogni angolo del mondo, per via dei moderni mezzi di trasporto. L’Aclees taiwanensis o punteruolo nero, è una di queste specie e da quando è arrivato in Italia ne ha inesorabilmente cambiato il paesaggio.
Martina Morini, attraverso un’indagine scientifica e artistica allo stesso tempo, si è accorta di come questa specie invasiva stia distruggendo gli alberi di fico, nello specifico della Toscana, sua terra d’origine. Attraverso un racconto prettamente fotografico, l’artista con la sua personale al mudaC, ci fa aprire gli occhi su una realtà probabilmente sconosciuta ai più e usa questo caso specifico come mezzo per raccontare una storia più grande. Che viviamo in un mondo globalizzato ormai è più che noto ma Martina Morini vuole farci riflettere sull’importanza delle singole azioni. Oggigiorno un piccolo cambiamento alla natura delle cose può portare a situazione devastante dall’altra parte del mondo, il così chiamato effetto farfalla.
Le fotografie esposte sono state scattate dall’artista tra il 2021 e il 2024 e il titolo di ognuna di queste è estremamente puntuale ed esplicativo, esattamente come sarebbe una reale documentazione scientifica: residui di attività delle larve di Aclees Taiwanensis all’interno del tronco di albero di fico, Fosdinovo (MS), 2021 o ultima fruttificazione di un albero colpito da Aclees Taiwanensis, Carrara (MS), 2021.
A coronare la raccolta fotografica è un vero e proprio albero di fico esposto al centro della sala che era di proprietà dell’artista. Questo tronco d’albero, ormai divorato dal punteruolo nero, rappresenta l’origine del progetto. “ALIENS è un progetto in corso iniziato durante la prima quarantena in italia – racconta Martina Morini – quando, costretta a Carrara dopo anni di lavoro all’estero, mi sono accorta che il fico del mio giardino stava appassendo velocemente. Troppo velocemente per essere normale.”