Nel 2026 Gibellina sarà la prima capitale italiana dell’arte contemporanea. Il titolo le è stato conferito il 31 Ottobre scorso dal ministro della Cultura, Alessandro Giuli, al termine di una selezione durata un anno che ha visto coinvolte ben 23 città italiane. In un clima euforico, nell’austera sala Spadolini, hanno risuonato le parole, stranamente comprensibili, del ministro: “Gibellina con la sua candidatura offre al nostro Paese un progetto organico e solido (…) un esemplare modello di intervento culturale fondato su valori e azioni che riconoscono all’arte una funzione sociale e alla cultura lo statuto di bene comune”.
Ed eccomi qui, con Enzo Fiammetta, direttore presso la Fondazione Orestiadi del Museo delle Trame Mediterranee, in un’intensa conversazione attorno al fascino ipnotico della valle del Belíce, il gusto per la ricerca e la sperimentazione artistica che da sessant’anni contraddistinguono questa terra e il bisogno nuovo di relazioni.
Portami in futuro è il titolo che avete dato al vostro progetto, penso ad un riferimento implicito a Ludovico Corrao.
È una bella notazione quella che tu fai. Per noi il punto di partenza è quello che è stato fatto a Gibellina fino a quando c’è stato Ludovico, nel 2011. Tuttavia il bando ci chiedeva non quello che è stato fatto, ma quello che noi vogliamo fare, quindi “Portami il futuro” è la domanda che noi oggi poniamo agli artisti e a tutti quelli che pensiamo possano dare un contributo a comprendere la realtà.
Probabilmente anche Ludovico Corrao avrà posto le stesse domande in passato, ma il senso che noi oggi diamo a questa domanda sta nella ricerca di nuove relazioni.
Dunque “Portami il futuro” è la domanda topica, ma è anche un atto di gratitudine, di riconoscenza.
C’è il riconoscimento di un progetto che fino a ieri si è sviluppato con Corrao e che oggi noi speriamo si sviluppi con noi, con le nostre nuove domande, con le questioni che poniamo oggi.
Come l’hanno presa i cittadini e soprattutto i ragazzi delle scuole che saranno coinvolti nei progetti di rigenerazione urbana?
Sono molto orgogliosi anche se, in realtà, questa relazione forte con Ludovico Corrao non ce l’hanno. Se tu gli parli di Corrao come uno dei padri fondatori è come se gli parlassi di Garibaldi o di Cavour, ne più e ne meno.
A maggior ragione, secondo me, bisogna andare oltre, fare un salto in avanti. E questo potrebbe essere il momento per farlo.
Quando è arrivata questa investitura moltissime persone, da più parti, hanno esclamato “finalmente, era ora!”
Certo, sono tutti amici, parenti! (ridiamo) In effetti migliaia di persone ci hanno telefonato per esprimere il loro apprezzamento, però ce ne sono tante altre che evidentemente hanno gradito meno, mi riferisco agli altri candidati per esempio, che avevano presentato dei progetti apprezzabili.
Senza nulla togliere agli altri candidati, Gibellina è un caso unico, un’esperienza di rigenerazione urbana attraverso l’arte contemporanea che ci ha regalato, ad esempio, l’opera di land art più grande d’Europa. Sto parlando del Cretto di Burri ovviamente.
Tutte le città candidate hanno dovuto lavorare per presentare un progetto che presupponesse una visione di futuro. Noi, a differenza di altri, questa visione abbiamo dovuto viverla e costruirla per necessità, quindi adesso riprendiamo un filo che si era più o meno interrotto.
Il museo delle Trame è stato rivisto e riprogettato con un finanziamento del PNRR, con l’abbattimento delle barriere fisiche e cognitive, il museo Ludovico Corrao pure, il Cretto è stato completato. Per una piccola città come Gibellina sono stati fatti degli sforzi sovrumani. Siamo andati avanti e sono contento che i nostri musei sono pronti ad affrontare le sfide dei prossimi anni, che saranno entusiasmanti.
È un testimone importante, una bella sfida. Tuttavia nell’esperienza di Gibellina nuova ci sono state sia luci che ombre.
Costruire una città forse è una delle cose più complicate in assoluto. Gibellina è una città tutt’ora giovanissima, ha solo 60 anni.
Diciamo che ci sono state delle intuizioni da parte di Ludovico Corrao che hanno comportato anche dei rischi. Sono stati fatti degli azzardi, delle cose che si sapeva che potevano riuscire oppure no. Ma questo accade ogni volta che tu sperimenti. Se tu sperimenti sai che il tuo lavoro può andare bene o non andare a buon fine.
Quindi certamente ci sono state delle cose che hanno funzionato meglio di altre. Penso al teatro, per esempio che ha dato una grande risposta a quella comunità, è stato rigenerante, perché gli artigiani e la gente di Gibellina vi lavoravano e tutti si ritrovavano attorno a quel progetto.
La ricostruzione sconta anche una difficoltà dell’architettura e dell’urbanistica di quel periodo a rispondere a delle domande della società. Se tu pensi al Corviale, al Gallaratese, alle Vele, a Scampia, allo Zen di Palermo, ti accorgi che c’è proprio un deficit, non di riflessione, perché poi sono tutti grandi architetti, ma di approfondimento.
L’analisi critica di quanto realizzato è un ottimo punto di partenza per porre nuove basi, anche con una nuova prospettiva.
Certamente quello che è stato già fatto, se analizzato, può essere un punto di partenza importante per individuare alcuni elementi di nuova rigenerazione degli spazi urbani.
Quello che ci interessa è capire le ragioni della crisi delle città. Perché oggi le piccole, in particolare, sono in crisi.
C’è una questione vitale che è legata al loro spopolamento e alla crisi delle relazioni che sono quelle che creano una comunità. Questa, secondo me, è un’occasione importante per riflettere su questi argomenti.
L’impronta di Gibellina, ciò che la rende oggi riconoscibile, è l’arte contemporanea. Considerando che nel ’68 i suoi abitanti erano per lo più contadini, deve essere stata una bella scommessa!
L’intuizione di Corrao fu proprio quella di comprendere che negli anni dopo il terremoto stava cambiando tutto. L’agricoltura era in crisi, tanto che fu deciso di cambiare luogo e di spostarsi in un posto dove quantomeno ci fossero le vie di comunicazione, la ferrovia e l’autostrada. Il mondo contadino era decisamente in crisi, chi è riuscito a riflettere su quei cambiamenti ha avuto qualche chance.
Che tipo di città potrebbe ancora diventare Gibellina?
Gibellina potrebbe diventare la città dei nuovi linguaggi, dei nomadi digitali, della ricerca, delle università.
Che cosa chiederete agli artisti che verranno a Gibellina?
Quando tu incontri una persona che non vedi da molto tempo, la prima cosa che gli chiedi è “che c’è di nuovo? Dimmi cosa c’è di nuovo”. “Portami il futuro” è la stessa cosa. Se ti dico portami il futuro in realtà ti sto dicendo: “tu cosa pensi? Tu come mi puoi aiutare a comprendere quello che sta accadendo”.
Quali artisti dell’epoca Corrao, ancora vivi, ritorneranno?
Tra gli artisti di quell’epoca ci saranno Renata Boero, una grande artista che abbiamo inserito negli atelier, Piero Pizzicannella, Arnaldo Pomodoro Mimmo Paladino che è stato uno dei grandi artisti del teatro delle Orestiadi.
Loro potranno passare il testimone a dei giovani artisti, a chi avete pensato?
Ce ne sono tanti…Per esempio un artista che mi viene in mente in questo momento è Xherri, un’artista albanese che lavora molto con i giovani migranti ed ha una meravigliosa capacità di creare relazioni.
Non dobbiamo dimenticare che viviamo oggi delle contraddizioni molto pesanti. Proprio prima di venire qua è stata con noi un’artista russa che ha lavorato con noi vent’anni fa e adesso è ritornata da un paese in guerra. Ci ha raccontato quanto sia difficile oggi fare l’artista in quei luoghi.BCome lo è in Iran, come è impossibile vivere in Palestina, a Gaza.
Che ruolo avrà il museo delle Trame Mediterranee all’interno del progetto?
La Fondazione seguirà le residenze, mentre il museo sarà il luogo della sperimentazione.
Il logo di “Portami il Futuro” ricorda il dedalo del Cretto di Burri, è una scelta voluta?
Si, è una schematizzazione del Cretto attraversato da una linea che interseca trasversalmente le altre che rappresentano le diverse arti, ovvero il cinema, il teatro la fotografia, la scultura, ecc.
“Portami il Futuro” potrebbe sembrare una richiesta ferma all’idea che il futuro in Sicilia debba essere sempre portato dall’esterno. Che cosa pensi a questo proposito?
Penso che non esista un dentro o un fuori, un qua o la, è la logica che ci porta oggi a vivere in un periodo di guerre, le trame mediterranee sono la capacità di ascoltare gli altri, le altre culture.
Ognuno di noi è portatore di conoscenze e si confronta con gli altri. Che ben venga da ovunque chi ha voglia di ascoltare ed è predisposto al confronto.