Creatività sociale, patrimonio vivente, cultura popolare e sopravvivenza. Queste sono alcune delle assonanze che legano i tessuti antropologici di Napoli e Cuba, dove l’essere umano non soccombe mai, ma resiste e si adatta alle circostanze. Una resistenza che “si manifesta attraverso l’arte lungo quei contesti socioeconomici depressi, così come in altri in cui, senza avere una condizione economica sfavorevole, le pratiche creative sono diventate abitudini. Cuba e Napoli dimostrano che esistono e prolificano alternative creative”.
Ce lo racconta Giacomo Zaza, curatore di “Cuba Performativa”, una mostra di cui è impossibile parlare senza menzionare gli elementi di connessione sopra citati. E proprio come istituzione di resistenza e difesa, il Maschio Angioino si presta a location dell’esposizione, la quale resta accessibile sino al 20 Dicembre in un contesto di grande visibilità. Da un lato le opere dell’artista cubano Tonel. Dall’altro, videoarte cubana, con più di dieci installazioni video che sperimentano il racconto della realtà dell’isola caraibica. Questa è l’essenza di Cuba Perfomativa, che, proseguendo il discorso intrapreso poc’anzi, si ritrova composta di due corpi fatti della stessa anima.
È impossibile parlare de “La historia en paños rojos”, titolo della personale di Antonio Eligio Fernández (Tonel), senza fare riferimento alla (quasi) omonima opera presente in mostra. I personaggi di Cappuccetto Rosso, Superman e Stalin ci vengono mostrati come mere narrazioni e artisticamente descritti con lo stesso stile. Senza sforzo interpretativo, sia Storia che Finzione ci appaiono quindi sullo stesso piano, mentre l’artista ci suggerisce di dedicare tempo ed energia a capire criticamente – e non in senso negativo, ma al di là della superficialità – il mondo che ci circonda. E chi ha in questo senso un compito intellettuale, spiega Tonel, è proprio l’artista poiché “qualsiasi opera d’arte avrà un ruolo più incisivo e duraturo, come parte di qualsiasi dialogo sociale, quando sarà genuinamente veritiera, sincera e ben realizzata in base agli obiettivi dell’artista e alle sue capacità e competenze. Il compito dell’artista e della sua arte, a mio avviso, non dovrebbe mai essere quello di fare proselitismo, di diventare “educativo” o “istruttivo”. Bisogna lasciare che il pubblico assorba le immagini, le parole, i suoni, in modo che quei suoni e quelle immagini, quei ritmi e quei colori diventino parte dell’esperienza di vita di qualcuno.”
Intellettualismo che compare anche con il fondamentale ruolo di Antonio Gramsci nella vita dell’artista. Nell’opera “Autoretrato 2 Antonios”, due mattoni posti specularmente su una mensola, danno le spalle allo spettatore, che può accedere al contenuto della parte posteriore solo tramite un piccolo specchio posto sul muro, in cui intravediamo in uno il volto disegnato dell’artista, nell’altro quello di Gramsci. Ciò che ruota attorno a questi piccoli altari-lapidi, è un’installazione composta da fotografie, disegni e segni: un chiaro omaggio, quindi, al pensatore italiano, di cui Tonel ha subìto l’influenza sin dalla giovinezza.
Di Gramsci l’artista ha “imparato a conoscere la sua vita, le sue lotte, le sue attività politiche, il suo periodo in carcere. La combinazione tra la sua drammatica biografia e la sua mente acuta e brillante (e il modo in cui riusciva a rendere interessante qualsiasi argomento, scrivendo praticamente di tutto ciò che vedeva intorno a sé […]) lo ha reso un’influenza molto forte nella mia formazione intellettuale”. Gli dedica quindi questa wall of fame, in cui le vite di entrambi si intrecciano e mescolano in un’alternanza di ricordi, informazioni ed intimità, fino a non risalire quasi più a quale dei due Antonio stiamo effettivamente guardando.
Delle nove serigrafie di “Dispatches from the war zone”, che rappresentano alcuni dei momenti storici che più hanno segnato Cuba, una ritrae l’artista tra Gramsci e Lenin. Impossibile non menzionare poi l’opera “El tiempo no es dinero”, un’installazione a parete in metallo, che rifiuta la frase attribuita a Benjamin Franklin: “Il tempo è denaro”. L’impatto visivo di questo lavoro con le sue grandi dimensioni, ci impone di fermarci a riflettere sul senso di queste parole, e sul contesto in cui sono state pronunciate, ovvero gli spazi della vita individuale e sociale completamente colonizzati dal capitalismo. Abbiamo sottovalutato il peso di una tale frase iconica sulla nostra psiche, abbiamo modificato il nostro incedere quotidiano mentre il tempo che abbiamo a disposizione non solo non è infinito ma non è affatto quantificabile in denaro.
Appare estremamente coerente a tal proposito menzionare l’opera di Glenda Leon, presente nella sezione della videoarte. “Inversión II” rafforza l’idea del tempo che non è denaro e anzi, capovolge completamente le convenzioni sociali ad esso legate. Nel video, una banconota da cento dollari viene grattata via affinché di essa resti solo l’inchiostro con l’intento di poterlo inalare. Non è solo uno sguardo critico sulla società del profitto, ma è anche un acuto quesito sul ruolo dell’artista, che in questo caso usa il suo tempo per distruggere qualcosa che gli altri lavorano per ottenere.
E ancora, Tonel pensa “all’arte che tende a godere di minore visibilità, che tende a essere meno favorita dai mercati e dalle grandi istituzioni artistiche” poiché “ci sono tanti artisti e intellettuali, oserei dire soprattutto (ma non solo), che lavorano lontano dai centri di potere del mondo di oggi, che lavorano e vivono in luoghi che possono essere definiti marginali, se si considera il grande circo della nostra attuale “cultura dello spettacolo”, e che continuano a perseverare e a creare. L’errore più grande oggi potrebbe essere che le nostre società non prestano abbastanza attenzione, o ignorano l’effetto positivo della bellezza (in qualsiasi modo venga definita) e del piacere estetico sulla salute generale dei singoli esseri umani e quindi delle società“.
La bellezza chiama dunque bellezza, e Cuba Performativa è l’occasione di intercettare quello sguardo che seppur lontano continua con perseveranza a creare. Nella sezione videoarte, emergono le opere di artisti che hanno lavorato a Cuba per Cuba, indagando debolezze, incongruenze, inefficienze e anche degrado, al fine di suscitare – tramite l’energia performativa dell’arte – una reazione critica eppur carica di fascinazione: i murales propagandistici ripresi da Ernesto Leal, in “Diglosia”, lungo le strade dell’isola, si rimescolano dando vita a nuove composizioni che discutono l’ideologia comunista della massa, in favore di una ritrovata individualità, senza cui non vi è crescita; e ancora la musicalità, il ritmo, il ballo come rituale insieme al concetto di etnia e appartenenza, estremamente forte nell opere “Habana Solo” di Juan Carlos Alom e “Rito de Iniciación. Baño Sagrado” di María Magdalena Campos-Pons. E poi “El beso de la patria” di Javier Castro, che immerge la sua telecamera nei quartieri popolari cubani, riprendendone anche le sfaccettature più scomode.
Stilisticamente distanti e apparentemente divergenti, tutte le opere citate hanno in comune la consapevolezza della luce ma anche e soprattutto del buio di cui Cuba è composta: tenebre che solo chi, come sostiene Tonel, sa tenere gli occhi critici aperti, può osservare. La Cuba performativa non è solo quella delle mani di chi sa creare, ma anche degli occhi di chi si impegnerà a vedere.