“Andrà tutto bene”, ma “Niente sarà più come prima”. Le profezie, enigmaticamente semplici, di qualche anno fa, cominciano a prendere forma e significato, in molti aspetti della vita dell’umanità, in ogni luogo. Uno dei segni nuovi, ora intelleggibili, è il controesodo storico, o la “controrivoluzione” pure, dei modelli produttivi e sociali: dai grandi centri metropolitani ai piccoli borghi. Come si adatta l’uomo nuovo ai rischi delle agglomerazioni post pandemiche? Anche disaggregandosi in particelle minori che a loro volta formano nuclei neonati di esperienze umane inedite, innovative, pregne di energia creativa rinnovata. Creativa, si, perché il risultato produttivo atteso, ovvero il progresso economico percepito ed effettivo, è oggi sempre più strettamente collegato all’arte e alla cultura. Tant’è vero che, in alcuni casi esemplari, come l’iniziativa nominata “Creartiva”, a Pietrasanta, si gioca linguisticamente, sloganisticamente anzi, proprio attorno a un mix semantico nuovo, che indica l’oggetto nuovo del vivere sociale virtuoso: la riscoperta, la valorizzazione dei mestieri dell’arte e della cultura attraverso processi istituzionali, pubblici e privati, di installazione sul territorio decentrato dei piccoli borghi d’arte e cultura di attività permanenti, quotidiane, lungo tutto l’anno e non solo durante i periodi di vacanza, di attrazione al lavoro artigiano, artistico, culturale, sociale.
Il debutto di “Creartiva Pietrasanta” si terrà proprio nell’antico villaggio versiliano dell’arte e dell’artigianato scultorei nei giorni che vanno dal 22 al 24 novembre, come già segnalato da Artuu con una intervista a Nicola Lattanzi (Nicola Lattanzi: “Vi racconto CREARTIVA PIETRASANTA, motore di innovazione per il futuro dei piccoli centri”), docente di strategia e management per i sistemi complessi a Lucca e promotore organizzatore dell’evento che mira a stendere le linee programmatiche di una virtuosa integrazione funzionale di arte, tecnologia e economia a partire dalla elaborazione di un progetto valido per tutti i borghi italiani accomunati da una tradizione simile a quella di Pietrasanta. Piccole “città intelligenti”, nel senso naturale, e magari anche “artificiale”, di capacità logica di connessione di saperi diversi e omologhi, coerenti con lo scopo di mantenere salde le radici investendo in innovazione, creatività e crescita consapevole.
Non è, insomma, il laboratorio di Pietrasanta, la manifestazione originale di un nuovo corso umano e umanistico che si configura come una ritirata anticiclica dalle città alle campagne, almeno non lo è nel senso strettamente recessivo della metafora. Anche perché i grandi centri urbani medesimi, per parte loro, si adatteranno al modello, in parte svuotandosi alquanto, in parte ridistribuendo residenze e funzioni urbanistiche. Non è dunque nemmeno un riflusso, né un ritorno al passato tout court (sebbene pur sempre inquadrato nel piano guida più ampio della cosiddetta “decrescita felice”), è certamente una sfida e una scommessa di matrice positiva. Positivista pure. Considerato, soprattutto, l’importante fattore di trasformazione nelle relazioni sociali e politiche, addirittura, poiché alla funzione pubblica è richiesta una notevole cessione di competenze e poteri a favore di una iniziativa privata, quantunque intesa come risorsa collettiva della cittadinanza, che si dovrà tuttavia organizzare in maniera complessa per gestire, in tale visione futuribile, il beneamato “Bene pubblico”. Un pubblico-privato esteso, dalla dimensione occasionale, puntualmente finalizzata, della collaborazione in “project financing”, come si diceva all’inizio del millennio, alla dimensione, ancora sperimentale, dell’integrazione totale del territorio con il cittadino in chiave economica, nel senso originario di gestione delle leggi della casa, del luogo che si abita, come si torna a dire oggi, dopo un paio di millenni.