La paura della contaminazione deriva dalla incapacità del controllo dell’insorgenza di un morbo d’infezione. La trasmissione della malattia avviene se il corpo è in uno stato di suscettibilità, ovvero senza difese specifiche contro l’agente infettivo. Il concetto di contagio è applicabile non solo in ambito medico, ma anche in altri ambiti come la politica, l’economia, la tecnologia informatica o in agricoltura. Nella parola in sé è quasi sempre implicito un giudizio morale che ha che fare con la responsabilità sociale e individuale.
Nella video-installazione “Truly Rural” dell’artista Eoghan Ryan (2019) l’immaginario isterico del timore che normalmente precede il momento dell’intuizione della cura o della prevenzione di una malattia infettiva si mescola all’atmosfera di follia festiva legata alle celebrazioni del carnevale tedesco. Il cocktail surreale servito dalle immagini getta addosso allo spettatore un senso di ansia inaspettato. E se pensiamo che la produzione dell’opera risalga a solamente un anno prima della pandemia mondiale di COVID-19, l’inquietudine che assale è tremendamente simile all’essere pazzo (peggio delle mucche).
Questa è l’opera che ha introdotto l’omonima collettiva in mostra negli spazi della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Guarene, in cui 12 artist* si sono chiesti come poter raffigurare le implicazioni contemporanee degli ecosistemi agricoli.
Nella riscoperta del legame tra essere umano e natura, nel sistema della campagna, esistono contemporaneamente fattori di codipendenza e determinazione reciproca.
Così, se nella campagna toscana di Massimo Bartolini può accadere il miracolo a chi vive la terra, lo “spaventapasseri” di Marko Lehanka fuma rassegnato al susseguirsi delle sue giornate di fatica nei campi.
Le stesse attività lavorative quotidiane sono gli scenari attraverso cui le storie popolari e di folklore contadino accadono e diventano il materiale grezzo per la rifigurazione dell’iconografia del paesaggio agreste. Le fotografie di Mauro Ledru e Wilhelm von Gloeden provano come la comunità rurale – vista come custode dei segreti della relazione essere umano-natura – sia stata lo strumento preferito nella pratica di decostruzione della vita.
In mostra, dunque, non solo temi di riscoperta individuale, ma anche di interesse politico e sociale: Athi-Patra Ruga è la “pecora nera” nella messinscena fotografica di una campagna elettorale xenofoba svizzera e Carol Rama esplora la relazione tra malattia, desiderio e pazzia nella serie di raffigurazioni della sindrome della mucca pazza sui bovini, con l’accuratezza di un manuale illustrato di medicina.
In definitiva, le opere in mostra ripercorrono i cambiamenti a cui il paesaggio naturale è costantemente costretto dalla presenza umana. Assistiamo da secoli alla massiccia attività colonizzatrice dell’essere umano nei confronti della natura, di cui tenta invano di domarne l’istinto per la paura di perderne il controllo. Lo svelamento di questa pratica porta lo spettatore a riflettere sull’apparenza di autenticità nella sua vita quotidiana.
Gli artisti provano ad intuire il potenziale di rigenerazione dell’immaginario rurale, sebbene identifichino nella prosecuzione dei sistemi di relazione attuali un’inevitabile e brutale caduta (l’implosione del mondo) senza che nessuna azione umana possa essere in grado di evitarla.