Gibellina, “Portami il futuro” è una richiesta di rivalutazione della Sicilia

È trascorso quasi un mese dalla ufficiale proclamazione di Gibellina a Capitale dell’Arte Contemporanea 2026. La notizia, istantaneamente e capillarmente diffusa in rete e nella comunità dei social, così come nelle varie emittenti televisive e nelle testate giornalistiche, ha consentito al comune siciliano di essere situato – finalmente – al centro di una grande attenzione mediatica.

La giuria, composta da Sofia Gnoli, Walter Guadagnini, Renata Cristina Mazzantini e Vincenzo Santoro, presieduta dalla collezionista d’arte Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, ha attentamente studiato le proposte progettuali avanzate da ventitré comuni italiani, giungendo alla selezione finale delle cinque località di Carrara, Gallarate, Gibellina, Pescara e Todi.

Il dossier stilato per la candidatura del comune trapanese a “Capitale italiana dell’arte contemporanea 2026” ha convinto all’unanimità i componenti della commissione, i quali, riportando le parole della Presidente, hanno constatato oltretutto “la straordinaria capacità progettuale di tante città, piccole e grandi, del nostro Paese”.

Il Direttore generale Creatività Contemporanea, Angelo Piero Cappello, ha sottolineato, infatti, la consapevolezza di una più accentuata difficoltà a fare interagire il pubblico con i linguaggi, non sempre pienamente accessibili, dell’arte contemporanea. Il progetto vincitore, dal titolo “Portami il futuro”, vanta tra i suoi obiettivi quello di esortare lo sviluppo di una partecipazione attiva dei visitatori, specie della nuova generazione, coinvolgendoli in un programma di eventi culturali e artistici dalla forte capacità attrattiva.

D’altronde, Gibellina incarna il valore sociale dell’arte dalla sua fondazione: vittima del violento sisma che tra il 14 e il 15 gennaio 1968 ha colpito numerosi comuni della Valle del Belice, il centro urbano, grazie soprattutto al poderoso impegno dell’allora sindaco Ludovico Corrao nelle vicende artistiche che riguardarono Gibellina in quei critici anni, è da interpretare come simbolo inequivocabile di rinascita.

Lo sviluppo edilizio della nuova Gibellina ha avuto il suo avvio contestualmente alla messa a punto di un piano organico di impronta artistica, in cui i più noti esponenti dell’arte degli anni Sessanta e Settanta hanno fatto convergere le proprie ricerche espressive. Corrao, in questo senso, è stato capace di intuire prontamente il corretto meccanismo da adottare per conferire vita nuova e nuovo valore al paese. Se infatti la vecchia Gibellina è stata consacrata a opera d’arte grazie alla suggestiva operazione di Land Art di Alberto Burri (Grande Cretto, 1985-1989; 2015) – sorta di sudario di cemento bianco che restituisce ancora oggi ai visitatori la topografia della città distrutta – il nuovo tessuto urbano sorge allo stesso modo come espositore a cielo aperto di opere d’arte contemporanea.

Artisti come Pietro Consagra, Mirko Basaldella, Emilio Isgrò, o ancora Arnaldo Pomodoro, Mauro Staccioli e Toti Scialoja, introducono nelle strade della città in costruzione, e nelle aree limitrofe, lavori dal carattere avanguardista, consegnando alla comunità gibellinese un multiforme e ubiquitario patrimonio artistico. La strenua esigenza di seppellire il ricordo delle macerie, facendo crescere al suo posto un’insospettata abitudine al bello, alla forma estetica che racconta della storia sociale di una civiltà, ha determinato quindi la realizzazione di una piccola città sui generis. Realtà espositive come la Fondazione Orestiadi e il Museo d’Arte Contemporanea Ludovico Corrao, che ospitano nuclei di opere importanti, descrittive di quelle correnti espressive in voga appunto tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta del Novecento, esemplificheranno i centri propulsivi da cui deriverà una catena di eventi culturali nei limitrofi comuni del trapanese.

“Portami il futuro” è allora una richiesta, oltre che un legittimo auspicio, a riconsiderare la Sicilia come regione dal potenziale inespresso, che offre un patrimonio culturale che contraddice quell’idea, ancora consueta, di realtà regionale inattiva.

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