Una visione non ha mai contorni definiti. Iconologicamente la visione è sempre stata rappresentata come fosse energia pura, avvolta da un’aura di luce a definirne la natura “ultraterrena”. Le idee sono visioni, e come tali vivono di luce propria finché non si cerca di inscatolarle in qualche definizione affinché siano classificabili, riconoscibili e riconosciute dagli altri. A questo processo poche idee sopravvivono, quelle che ci riescono sono forti e arrivano lontano.
No Ball Games di Enrico Rassu è una visione prima di tutto; un modo di vivere che prende diverse forme: una mostra, musica, un progetto fotografico, una festa. L’unica cosa certa è che si tratta di energia pura capace in poco tempo di creare una rete in grado di coinvolgere una lunga serie di nomi celebri dell’ambiente urban e della scena musicale trap, dell’arte e della fotografia, con la partecipazione di marchi di caratura internazionale.
Lo stesso Enrico Rassu è un essere multiforme; nel senso che la sua capacità di servirsi delle arti visive come potente mezzo comunicativo, di stratificare i linguaggi della musica, della fotografia, del marketing e della socialità creando sinestesie continue fra mondi diversi, lo rendono molto di più che uno dei fotografi più cool del momento.
Ernia, Fsk, Gaia, Madame, Tredici Pietro, Fabri Fibra, Club Dogo, Nerissima Serpe, nomi internazionali come Iamddb, Luis And The Yukuza e J Balvin. Marchi come Adidas, Apple music, Diadora, Zegna, Fujifilm, Golden Goose, GQ, Angelini Pharma sono solo alcuni dei nomi della scena italiana, internazionale e delle grandi collaborazioni di questo “creativo multiforme” che ho incontrato per una piacevole chiacchierata nella sua casa-studio di via Malaga a Milano, nell’affascinante contesto di archeologia industriale di una vecchia conceria di pelli, oggi dinamico quartiere residenziale.
La prima domanda di rito è sempre la stessa; chi è Enrico Rassu? Come ti definisci e che tipo di rapporto hai con le definizioni in generale?
Chi è Enrico Rassu è una domanda che ogni volta avrà una risposta differente. Sono, come tutti, un individuo in evoluzione e in cambiamento. Non voglio definirmi in un ruolo né in un‘identità professionale unica, però posso affermare di essere appassionato e incuriosito dai processi artistici e sociali.
Utilizzo la fotografia, il videomaking, la musica e gli happening per scoprire, analizzare e presentare ciò che è di mio interesse, ad esempio la storia di un’altra persona, un luogo, o delle opere artistiche.
E con la fotografia che tipo di rapporto hai?
La fotografia è stato il mezzo che a 16 anni mi ha permesso di entrare in contatto con il mondo ed iniziare a viaggiare e conoscere, di formare relazioni, scoprire e aiutare altre persone nei loro progetti. Mi permette tutt’oggi di essere testimone di tanti avvenimenti.
È stata la miccia per tanti progetti che poi sono diventati dei racconti più complessi e che mi hanno avvicinato anche ad altre arti.
Scovare le potenzialità e il talento negli altri mi sembra una delle tue principali missioni; in cosa consiste il tuo “mettere a terra le idee”?
È così, già dagli inizi, in Sardegna, aiutavo in maniera molto spontanea gli artisti e i musicisti a raccontare e promuovere i loro progetti.Sono cresciuto guardando e cercando di capire i loro talenti, pensando a come presentarli attraverso le immagini e non solo.
Questo background ad oggi mi è sempre utile perché riesco a sviscerare e arrivare al fulcro delle storie aiutando gli altri a mettere in mostra le “parti giuste”, quelle fondamentali, senza sovrastrutture. Arrivare al nocciolo del loro messaggio e di ciò che vogliono condividere.
Nonostante in questi anni abbia lavorato con persone di enorme successo e talento e siano arrivate anche per me tante soddisfazioni, sento sempre la necessità di scoprire e dare spazio agli altri, soprattutto ai più giovani. Diciamo che aiuto chi non ha il coraggio di mettersi in mostra o i mezzi a disposizione per farlo. Poi, da quanto è nato “No Ball Games” è proprio diventato il mio “sport” preferito unire tutto questo.
“No Ball Games” nasce a Londra da un cartello che, in sostanza, vietava ai ragazzi di giocare a palla per strada. Una limitazione della libertà che ti ha fatto riflettere. Ne è nata una serie fotografica che si è evoluta in un progetto multiforme di grande successo. Una mostra, un libro, una festa, cos’altro può diventare? Quale sarà il prossimo passo?
No Ball Games è un mondo. Una grande stanza dove le arti e le persone si uniscono, mischiano e ispirano a vicenda. È la voglia di essere più liberi rispetto al mondo in cui viviamo fatto di interessi, perfezione, denaro e contratti.
È tornare a quello spirito di gioco e leggerezza iniziale da cui nascono sempre grandi cose.
“No Ball games” è far rappare la generazione del 2000 assieme a quella del 1980. Andare sul palco in 20 seguendo il flusso senza una scaletta. Registrare un disco dentro una galleria d’arte. Chiedere a persone arrivate a Milano da 2 mesi di fotografare i propri idoli, dare accesso libero alle feste, fare un block party fuori dalla stazione di una metro. Organizzare una pizzata aperta a tutti. Può essere tutto, senza alcun paletto perché “No Ball Games” non ha paura di essere giudicato.