Nei giorni in cui Milano scala le classifiche come prima città italiana per qualità della vita e sostenitori e scettici si scontrano intorno a questo primato, Marcello Maloberti dedica “una dichiarazione d’amore alla città di Milano” con la mostra METAL PANIC, visitabile fino al 9 febbraio 2025 presso il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano. L’esposizione, curata da Diego Sileo, è la più completa finora dedicata all’opera dell’artista e presenta, intrecciandoli tra loro, i principali temi della ricerca e della sua poetica: la centralità della parola scritta, elevata a una dimensione poetica; la sacralità del quotidiano; una sensibilità verso le trasformazioni del paesaggio urbano, nel quale ci si immerge.
Predomina, tanto nelle opere quanto nello spazio espositivo, il grigio del metallo che tutto abbraccia e tutto avvolge, a partire dalla facciata del PAC, ricoperta con elementi in acciaio zincato (ULTIMATUM, 2024), fino ai minimi dettagli, come le didascalie, costituite da due lastre in acciaio incise ricalcando la grafia dell’artista. Tale materiale, che incontriamo a perdita d’occhio lungo le nostre strade e negli spazi urbani, attribuisce così alla mostra lo statuto di cantiere contemporaneo in continua trasformazione, dove tutto pare sospeso e in potenza e dove anche il contributo dello spettatore è cruciale in tale evolvere.
Prima di entrare nello spazio espositivo, lo spettatore – se si impegna a guardarsi in giro e ad alzare il naso nel cortile antistante il PAC – si imbatte CIELO (2024): seguendo il prolungarsi di un braccio meccanico di un camion, si trova un cielo ribaltato e artificiale nella sua luminescenza. Fin da questa prima opera, incontriamo uno dei numerosi tributi ad artisti italiani, e soprattutto milanesi, che costellano la mostra: Maloberti, ispirandosi a Piero Manzoni, capovolge il punto di vista dell’osservatore creando un monumento/anti-monumento.
Anche l’ingresso nella Milano di Maloberti – e nella mostra – è indicato da un segnale stradale ribaltato, un oggetto quotidiano e apparentemente inerte che, con la titolazione e il capovolgimento, si carica di significato politico: il titolo, M (2024), richiama infatti Mussolini, così come la posizione capovolta del cartello emula il corpo del dittatore esibito in Piazzale Loreto il 29 aprile 1945. Poco più avanti, si incontra SIRONI (2024), il cui titolo trae spunto da una figura centrale per l’arte del periodo di “M” e nella quale ancora oggi ci imbattiamo nello spazio cittadino. L’opera viene attivata da una performer che, ritagliando alcune immagini appartenenti all’universo sironiano, sovverte i ruoli tradizionali tra artista uomo e modella donna.
Un po’ per volta, nel visitare la mostra, si mettono insieme i pezzi della storia e dell’estetica del capoluogo lombardo, ricostruita dal personale e politico punto di vista dell’artista. Il viaggio urbano continua con TILT (2024): un guardrail irrompe nello spazio espositivo e poggia su basamenti in marmo “Bianco Altissimo Henraux”, in una polarità tra materiali pregiati e materiali quotidiani, tra il marmo grezzo e il metallo tagliente, tra poesia e forza. Una antitesi simile si riscontra in CHANCE DI UN CAPOLAVORO (2024), dove le punte delle forbici vengono neutralizzate con delicate piume d’oca bianche, e ancora in PETROLIO (2024), dove dei coltelli fungono da segnalibro a uno stuolo di libri aperti a metà. È un susseguirsi di oggetti trasformati e rifunzionalizzati, come nel caso del video che dà il titolo alla mostra, METAL PANIC (2024), in cui le canne di un fucile diventano una sorta di flauto e nello spazio espositivo riverberano suoni improvvisi e inaspettati, ai quali si sommano alcune parole di Carmelo Bene sussurrate nell’orecchio dei visitatori da una performer (LA SUGGERITRICE, 2024; la performance si tiene solo nei fine settimana).
Carmelo Bene, in particolare con l’autobiografica Sono apparso alla Madonna (1983), ha ispirato anche IN SEARCH OF THE MIRACULOUS (2024), una grande statua della madonna che ci dà le spalle e gira il volto (forse stanco) contro il muro: il simbolo di Milano appare disinteressato alle sorti umane. L’autore e attore teatrale è uno dei riferimenti fondativi di Maloberti, il quale ha più volte affermato che “Ho tra le mani una moneta antica greca, da un lato c’è Pasolini, dall’altro Carmelo Bene e sul profilo c’è Kafka. Pasolini rappresenta il mio sporcarmi con la realtà, Carmelo Bene il mio sporcarmi con il divino e Kafka il mio balbettare con il linguaggio”. Incontrati in mostra l’insozzarsi dell’artista tanto con il reale quanto con l’ultraterreno, si procede ora a conoscere il suo lavoro sul linguaggio: nel parterre otto neon danno forma a MARTELLATE (2024), un assaggio di un progetto che negli ultimi trent’anni ha raccolto slogan filosofici, aforismi onirici e poesie di Maloberti, piccoli frammenti della sua personalità, “parole pensate, sentite o addirittura rubate, sono quasi delle frasi A VOCE SCRITTA”.
Sulla balconata sopra al parterre, si dispiega una lunga tovaglia a scacchi bianchi e rossi, accostata alla bandiera tricolore, simboli di un’Italia contemporanea che fatica a costruirsi, ancorata a tradizioni e stereotipi. LA VERTIGINE DELLA SIGNORA EMILIA (2024), questo è il titolo, introduce alla Project Room, dove Maloberti torna alle proprie radici presentando una selezione di lavori significativi per il suo percorso artistico. Alle pareti sono appese le fotografie FAMIGLIA METAFISICA (1990-2015), CASA (1993-2019) e FAMIGLIA REALE (1993), ritratti intimi e familiari della madre e della nonna dell’artista, alle quali è dedicata l’esposizione, che si chiude simbolicamente con l’opera KASALPUSTERLENGO (2015), un altro segnale stradale, questa volta divelto adagiato per terra, un reperto archeologico di un passato che si riverbera ancora sul presente.
Esplode così, in chiusura, l’importanza che nella produzione artistica di Maloberti ricoprono il rapporto tra provincia e città e il transito fisico e sentimentale tra questi due poli, dalle radici alla dimensione metropolitana, che ha accompagnato l’artista nella definizione della sua pratica. La mostra è sì un omaggio alla città di Milano, ma anche a tutto ciò che l’artista ha incontrato e vissuto prima di raggiungerla, alle figure e alle opere – tra gli altri – di Carmelo Bene, Pier Paolo Pasolini, Pier Vittorio Tondelli, qui chiamati a dar forma a un pantheon culturale e formativo. In mostra, proprio come le vie dei centri urbani, si assiste così alla commistione di storie, voci, persone, trasformazioni e significati, che, riuniti qui dall’artista, danno forma a un riuscito ritratto (volutamente in fieri) dell’Italia contemporanea.