Art Basel: evoluzione di un brand globale dell’arte (pt 1)

Si è appena conclusa Art Basel Miami Beach, l’appuntamento che dal 6 al 9 dicembre 2024, è ormai una delle tappe fondamentali del brand fieristico che ha ridefinito il concetto stesso di fiera d’arte. 

Art Basel è oggi sinonimo di eccellenza, innovazione e dialogo a livello globale: un appuntamento irrinunciabile per le gallerie, i collezionisti, i dealer e i brand più importanti, che si incontrano ogni anno tra Basilea, Miami, Hong Kong e, più di recente, Parigi.

Dire “Andiamo a Basel” è ormai una frase entrata nel linguaggio comune di chi lavora nel mercato dell’arte, che non evoca più solo la città svizzera, ma identifica un preciso modus operandi, uno specifico ecosistema culturale e commerciale. Non si tratta semplicemente di una kermesse, ma di un luogo di scambio internazionale dove si anticipano tendenze, si misura il mercato e si scoprono nuovi linguaggi artistici.

Dalla sua nascita a Basilea nel 1970 fino all’espansione globale, Art Basel ha saputo evolversi, diventando un catalizzatore di innovazione e un termometro del mercato dell’arte mondiale. Oggi vi raccontiamo come questa fiera iconica è diventata un vero e proprio brand globale.

L’incontro che cambiò tutto: l’inizio di Art Basel

Era l’estate del 1970. Basilea, con il suo fascino austero e il ritmo tranquillo delle città svizzere, si preparava a un cambiamento che nessuno poteva prevedere. In un salone silenzioso, con il sole che filtrava dalle grandi finestre, tre figure erano riunite attorno a un tavolo. Trudl Bruckner, Balz Hilt ed Ernst Beyeler erano tre galleristi, tre visionari con un’idea che li agitava.

Beyeler, con i suoi capelli argentei e lo sguardo attento, era il più rispettato tra i tre. La sua galleria a Basilea aveva già ospitato opere di maestri come Picasso e Kandinsky, e lui conosceva il mercato dell’arte come pochi altri. Ma qualcosa non lo convinceva più. Beyeler temeva che le nuove fiere d’arte, come la Kunstmarkt Köln nata tre anni prima, rischiassero di “volgarizzare” l’arte se non avessero mantenuto standard altissimi.

“L’arte deve essere compresa, non solo venduta”, disse Beyeler, con un tono fermo ma pacato. Trudl Bruckner annuì, mentre Balz Hilt, il più pragmatico dei tre, aggiunse: “Se non la facciamo noi, qualcun altro lo farà. Ma deve essere qualcosa di unico, di necessario”.

Quella fu la scintilla. Nasceva Art Basel.

A settembre, quando le porte si aprirono per la prima volta, 16.000 tra appasionati d’arte e collezionisti varcarono la soglia della fiera. Il brusio di voci, i passi che riecheggiavano sulle piastrelle e il profumo di carta nuova mescolato a quello della vernice fresca: tutto questo era Art Basel nel 1970. Le gallerie partecipanti erano 90, provenienti per lo più dall’Europa, come la londinese Marlborough Fine Art.

David Juda, giovane gallerista londinese, camminava lungo i corridoi con un sorriso stupito. Non c’erano allestimenti sofisticati: quadri appoggiati a terra, pareti ricolme come in una wunderkammer. Eppure, dietro quella semplicità, si avvertiva qualcosa di rivoluzionario.

“Qui l’arte non è solo mercato. È dialogo”, pensò David mentre osservava un collezionista svizzero discutere animatamente con un giovane artista.

Art Basel nel 1970

Ernst Beyeler girava per le sale, scrutando tutto con l’occhio del gallerista esperto. Aveva vinto la sua scommessa: Art Basel era partita.

Negli anni ‘70 e ’80, la piccola fiera di Basilea crebbe a vista d’occhio. Ogni edizione era un successo, ogni anno un passo in avanti. Le gallerie partecipanti passarono dalle 90 iniziali a più di 300 entro la fine degli anni ‘80. Collezionisti americani cominciarono ad arrivare in numero sempre maggiore, attirati dalla qualità delle opere esposte.

Erano anni frenetici, eppure Ernst Beyeler non perdeva mai il controllo. Al suo fianco c’era un giovane dinamico, ambizioso e pieno di idee: Samuel Keller. “Dobbiamo portare Art Basel oltre i confini. Dobbiamo fare di questa fiera un evento globale”, disse Keller un giorno a Beyeler.

Beyeler, ormai in procinto di ritirarsi, gli sorrise. “Vai, Samuel. Fallo”.


Il tocco di Samuel Keller e il glamour di Miami

Samuel Keller fissava fuori dalla finestra della sua piccola stanza d’ufficio. Fuori, il cielo svizzero era grigio e piatto come una tela non ancora dipinta. Le mani stringevano una matita, ma i suoi pensieri erano altrove: lontani, oltre l’oceano. Aveva una visione chiara di Art Basel. La vedeva più grande, più luminosa, più globale. Ma soprattutto, la vedeva a Miami Beach.

«Una fiera a Miami?» avevano domandato i più scettici, con sopracciglia inarcate e occhi pieni di dubbi. Era un’idea rivoluzionaria, quasi folle: portare Art Basel, simbolo della sobria e raffinata Europa, in una città di mare dove l’arte si sarebbe mescolata al glamour, al sole e alla mondanità, in una sola parola, al Lifestyle.

Keller sorrideva di fronte ai dubbi altrui. “Non è solo una questione di arte», spiegava ai suoi collaboratori più fidati. “È l’esperienza. È offrire ai collezionisti qualcosa di cui non sanno di avere bisogno: un evento dove l’arte non si contempla, ma si vive.”

Fu così che nell’inverno del 2002, con una precisione degna di un’orchestra, Keller e il suo team sbarcarono a Miami Beach. Gli stand vennero allestiti sotto un cielo limpido, il mare sembrava già parte della scenografia. Le 160 gallerie arrivarono puntuali, le opere sussurravano storie di mondi lontani, e quando i 30.000 visitatori iniziarono a riempire gli spazi, Keller capì che aveva vinto la sua scommessa.

Una donna dai capelli biondi, un collezionista di New York con tacchi che echeggiavano sul pavimento lucido, si fermò davanti a una scultura monumentale e sussurrò al marito: “Questo è un sogno.” E Keller, che passava di lì quasi per caso, sorrise. La parola sogno era esattamente ciò che aveva in mente.


Il successo di Unlimited

Le idee migliori, a volte, arrivano in silenzio. Samuel Keller stava camminando tra gli spazi espositivi di Basilea quando si fermò. “Non è abbastanza”, mormorò a se stesso. L’arte contemporanea richiedeva spazio: spazi enormi, audaci, che potessero abbracciare installazioni monumentali e opere che sfidavano i limiti della percezione.

Fu così che nacque “Unlimited”, la sezione che oggi tutti riconoscono come il cuore pulsante di Art Basel. Quando venne presentata, il pubblico rimase senza parole. «È come entrare in un altro mondo», commentò un critico francese, con gli occhi che brillavano di stupore. In una sala lunga e senza tempo, installazioni gigantesche convivevano con opere site-specific, trasformando la fiera in un’esperienza sensoriale.


Il passaggio di testimone

Nel 2012, Keller posò lo sguardo su Basilea una volta ancora. La città, con il suo ritmo quieto, aveva sempre accolto l’arte come un’amica di lunga data. Era arrivato il momento di salutare. Davanti alla Fondazione Beyeler, che lo avrebbe accolto come nuovo direttore, Keller pensò alle migliaia di visitatori che, negli anni, avevano popolato le sue fiere. Art Basel era cambiata, sì, ma in meglio: più globale, più luminosa, più necessaria.

Al suo posto, venne scelto Marc Spiegler, un uomo pragmatico e con una determinazione di ferro. Spiegler aveva un compito tutt’altro che semplice: traghettare Art Basel in un mondo che stava cambiando rapidamente. Fu lui a portare la fiera in Asia nel 2013, con l’acquisizione di ArtHK.

La prima edizione di Art Basel Hong Kong fu un successo straordinario. I nuovi collezionisti cinesi si aggiravano tra gli stand con un misto di curiosità e entusiasmo, le voci in mandarino e inglese si mescolavano nell’aria. Un giovane collezionista di Shanghai, appena ventenne, si fermò davanti a un dipinto astratto. Non disse nulla, ma quando lo acquistò con un gesto deciso, un gallerista sussurrò: “L’Asia è pronta. E Art Basel è qui.”


Parigi, la città eterna

Nel 2022, il mondo era cambiato ancora. La Brexit aveva riscritto le regole del mercato europeo e Art Basel fece la sua mossa. Parigi divenne la nuova protagonista, una scelta tanto romantica quanto strategica. La città si risvegliò sotto una nuova luce, i corridoi della fiera si riempirono di francesi e internazionali, di voci giovani e sguardi esperti.

A guidare questa nuova era Noah Horowitz, un uomo dalle idee chiare e dalle parole misurate. «L’arte deve andare oltre», ripeteva, mentre Vincenzo de Bellis, il nuovo direttore delle fiere, sognava spazi sempre più dinamici e aperti. Art Basel, ormai, non era più soltanto una fiera: era una rete globale di scambio, un palcoscenico dinamico dove l’arte contemporanea si raccontava al mondo.


Da un piccolo salone di Basilea nel 1970 fino alle spiagge di Miami, ai grattacieli di Hong Kong e alle location incredibili di Parigi, Art Basel ha scritto una storia che parla di visione, coraggio e innovazione. Una storia che continua a trasformarsi, come l’arte che ospita e celebra.

E mentre le luci si sono ormai spente sull’ultima edizione, il mondo dell’arte sa che non si tratta solo di una fiera. Art Basel è un punto di incontro, un palcoscenico globale dove l’arte trova sempre nuovi modi di esistere e di sorprendere.

Nella seconda parte analizzeremo quello che è stato chiamato “Basel Effect” – l’Effetto Basilea – un fenomeno territoriale che coinvolge a vari livelli tutte le attività economiche legate al turismo, alla cultura, all’ospitalità e non solo che si ritrovano ad ospitare la kermesse fieristica più importante nel mondo…

Photo Credits: Artbasel.com

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