Donald Trump: riflessioni sull’immagine e il potere nell’arte

Se l’arte è veramente lo specchio del suo tempo, Donald Trump non poteva che essere uno dei soggetti più iconici e controversi del XXI secolo, incarnazione della profonda frattura tra potere e verità. Nella sua figura, così come nella sua presidenza, si riflettono le enormi disparità che affliggono le società occidentali, diventate una fonte primaria delle riflessioni artistiche. L’atteggiamento pubblico e l’agire politico di Trump hanno alimentato progetti provocatori, sarcastici e pungenti, che non hanno semplicemente analizzato e presentato il suo personaggio, ma hanno messo in discussione l’intero sistema politico ed economico che ha permesso e incoraggiato la sua ascesa ai vertici delle istituzioni statunitensi. Artisti contemporanei come Ai Weiwei, Erich Fischl e persino il padre della Pop art, Andy Warhol, hanno catturato e interpretato la sua figura come uno degli emblemi dell’epoca odierna, oltre che come cruda dimostrazione di una progressiva erosione dei valori della modernità. 

Il giuramento di Donald Trump come 45° presidente degli Stati Uniti, il 20 gennaio 2017, non è stato solamente l’inizio regolare di una nuova amministrazione, ma l’entrata in scena di un attore destinato a dominare la scena politica mondiale con una retorica spesso improntata alla divisione e alla disinformazione. La sua presenza scenica, basata su anni di intensa visibilità mediatica e un attento culto dell’immagine, ha plasmato la politica fino a trasformarla in una sorta di spettacolo, in cui le urgenze del nostro tempo sono continuamente sovrastate da esigenze elitarie o dettate dalla paura dell’altro. Si ergevano muri mentre si ignoravano le questioni ambientali, immergendosi in uno scenario in cui intellettuali e artisti si sono ritrovati a dover criticare o presentare non solo un uomo politico, ma un fenomeno di massa che riguardava la relazione dell’essere umano con il potere, l’apparenza e la realtà. Oggi, giunti all’ufficializzazione del suo secondo mandato, è doveroso diffondere i prodotti di questi eventi nel mondo della cultura, illustrando i lavori che hanno colpito i media e sono stati al centro di scandali e proteste in tutto il globo. 

A partire da Ai Weiwei, l’artista e attivista cinese noto per il suo impegno contro la repressione e la censura all’interno della Repubblica Popolare Cinese, che ha scattato una fotografia simbolica davanti alla Trump Tower di New York. In quell’istante, ha ritratto il proprio dito medio alzato contro un baluardo del potere e della ricchezza, immortalando un’immagine simbolica quanto dissacrante, entrata a far parte del progetto “Study of Perspective”, serie fotografica realizzata tra il 1995 e il 2017, che restituisce la volontà dell’artista di sfidare importanti istituzioni, organizzazioni, luoghi simbolici e monumenti famosi con il suo atto provocatorio.

Geniale, audace e ironico, questo lavoro prende ispirazione dalla banalità delle foto turistiche, copiandone lo stile amatoriale per concentrare l’attenzione dell’osservatore su luoghi segnati irreversibilmente dall’ingiustizia. Queste immagini sono un invito al fruitore, obbligato a riflettere sulla propria innegabile complicità, sull’accettazione passiva delle sovrastrutture e dello stato delle cose. La serie è un atto di resistenza e resilienza che ha affascinato milioni di persone, ottenendo il riconoscimento internazionale, fortuna che ha spinto l’autore a coinvolgere i suoi numerosi sostenitori in una serie divenuta un’azione partecipata.

Courtesy Eric FischlSkarstedt

Il presidente degli USA è stato protagonista di una critica feroce anche da parte dell’artista americano Eric Fischl, noto per il suo particolare stile figurativo e la sua abilità nel narrare e scomporre le psicologie retrostanti alle dinamiche di potere e conflitto. Fischl ha scelto Trump come soggetto di una delle sue opere più dirette e taglienti, che lo ritrae come un pagliaccio, un “buffone”, preoccupato solo di alimentare il suo ego e completamente indifferente di fronte ai reali problemi del Paese.

In un dipinto del 2017, Donald è rappresentato con le sembianze grottesche di un clown, con tanto di trucco e sorriso sforzato a nascondere un sentimento di frustrazione, un teatrante capace solo di gesti frivoli, vuoti. Un uomo disperatamente in cerca di attenzione che nasconde le proprie fragilità dietro una mascolinità tossica e retrograda che, senza rendersi conto, è la caricatura di se stesso. 

Tornando indietro nella storia, se c’è un artista che avrebbe goduto nel raffigurare Trump e il suo “imperialismo mediatico”, quello è Andy Warhol. Vi chiederete come sia possibile: come sempre, il maestro della Pop art ha anticipato i tempi e, come un veggente, ha realizzato un dipinto della Trump Tower, al tempo simbolo del successo monetario e della brama di visibilità che da sempre caratterizzano la figura di Trump. Nell’opera, l’edificio assume i connotati di un feticcio del consumismo, un’icona dell’assurdità del capitalismo, rispecchiando a pieno il pensiero warholiano sulla cultura del potere e dell’immagine. Elogio e intento provocatorio si fondono nell’opera, considerata dal presidente semplicemente un “simpatico scherzo”, neppure degno di essere acquistato. Nel disinteresse per questo lavoro ritroviamo tutta la chiusura culturale di Trump, sordo a qualsiasi pensiero a lui non affine. 

Fin dal suo insediamento, Trump ha agito come se la realtà fosse un gioco di specchi fatto di fake news, tweet provocatori, e continui deliri pronti a confondere il confine tra verità e menzogna. Le sue politiche, basate su una retorica divisiva, hanno minato le fondamenta della democrazia americana, eppure, nel mondo dell’arte, questi eventi non sono passati inosservati.

Un processo di mistificazione culminato nei tragici eventi del 6 gennaio 2021, quando i più accaniti seguaci del pensiero trumpiano assaltano Capitol Hill, tentando di stravolgere i risultati delle elezioni presidenziali. Questo episodio ha avuto un impatto notevole non solo sulla sfera politica globale, ma anche sulla cultura. Le terribili immagini dei manifestanti, agghindati con copricapi assurdi o cappelli con il celebre slogan “Make America Great Again”, mentre trasportavano bandiere effigiate con il volto di Trump, hanno riassunto il pericolo della deriva populista, che distorce la realtà mettendo a rischio l’autorità democratica con la violenza. L’arte contemporanea si è sentita quindi in dovere di rispondere tempestivamente con opere che hanno cercato di evidenziare le crisi identitarie e sociali da cui deriva una tale insubordinazione. Alcuni artisti hanno utilizzato immagini di Capitol Hill per creare collage provocatori, sovrapponendo il volto di Trump a scene di caos e distruzione, come a suggerire che il suo potere non fosse altro che il catalizzatore di una guerra tra verità e finzione. Altri, come Barbara Kruger, si sono chiesti: “Quando la verità è una minaccia, cos’è la libertà?”, forse solo un miraggio?

Le proteste contro questo affronto ai valori democratici sono state animate da un pallone gonfiabile conosciuto come “Trump Baby”, ideato dal designer Matt Bonner, e raffigurante il presidente come un infante arrabbiato e piagnucolante monito di pannolino. Apparso per la prima volta durante le manifestazioni del luglio 2018 a Londra, il famoso pallone alto sei metri è diventato uno strumento per ridicolizzare e screditare la figura di Trump, ridotta a un bambino capriccioso e sprovvisto di razionalità, un uomo inadeguato e immaturo al timone della prima potenza mondiale. 

Nel 2025, Donald Trump continua a lasciare un’impronta indelebile nella storia, costituendo il fenomeno di massa più interessante e preoccupante sulla scena globale. Con un contesto geopolitico ancora più tormentato e instabile, è pronto a lasciare ulteriormente il segno, agendo come un ingegnoso stratega in un mondo che sembra sfuggirgli di mano. La celebre frase di McLuhan, “il medium è il messaggio”, si concretizza nel suo modo di comunicare, dove ogni mossa sembra studiata per catturare l’attenzione e manipolare le emozioni collettive. Trump rimane, a suo modo, un’icona della contraddizione e della fragilità del sistema contemporaneo. 

Ancora oggi, il suo impatto non è limitato alla politica, ma si estende all’arte, alla cultura, e alla comunicazione visiva, dove l’analisi critica delle sue azioni diventa un terreno fertile per l’espressione creativa. In un mondo che sembra sempre più precario, l’arte continua ad avere un ruolo fondamentale nel decostruire e riflettere sui mutamenti che la politica, e in particolare il fenomeno Trump, stanno imponendo alla società. In definitiva, mentre la sua immagine continua a dominare le narrative globali, l’arte resta uno degli ultimi baluardi in grado di sfidare, rivelare e restituire una visione più complessa e sfaccettata di ciò che stiamo vivendo.

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