Artist of The Year, parla il vincitore Roberto Floreani: “L’astrazione? Inattuale e rivoluzionaria”

È lui, Roberto Floreani, il vincitore del nostro premio Artist of the Year dell’anno appena concluso, che lo ha portato ad arrivare primo grazie a una vasta ed entusiastica partecipazione popolare, ovvero dei tantissimi lettori della rivista che hanno partecipato alla votazione, quasi a confermare due linee di tendenza che indubitabilmente contraddistinguono il nuovo corso artistico dell’arte contemporanea italiana: da una parte, inequivocabile, un nuovo ritorno di interesse per la pittura italiana (confermato anche dalla recente ArteFiera a Bologna, dove la pittura la faceva nettamente da padrona), dopo un lungo periodo di attenzione, nelle mostre e nelle manifestazioni italiane e internazionali, ai linguaggi extrapittorici e installativi. Dall’altra, un netto e chiaro ritorno dell’astrazione: molti gli elementi che portano a questa conclusione, con un chiaro riferimento anche a quello che l’astrazione, da sempre simbolo di attenzione, più che alla “superficie” della realtà, ai moti interiori dell’animo umano e alle correnti spirituali e filosofiche che sottendono alla realtà fenomenica, implica.

Floreani, in questo, si può a buon diritto dire che sia un simbolo di tutti questi elementi: veneziano d’origine ma vicentino d’adozione, classe 1956, è infatti considerato – come lo definì con felice intuizione Luca Beatrice nel catalogo del Padiglione Italia della Biennale di Venezia del 2009, a cui l’aveva invitato –, un “pioniere” del nuovo corso dell’astrazione italiana, laddove “l’astrattismo contemporaneo”, scriveva sempre Beatrice, “conserva ben pochi rapporti con la nozione teorica dell’avanguardia storica, e risente invece della fluidità e della liquidità delle visioni del terzo millennio”.

Floreani, infatti, benché grande studioso delle avanguardie storiche, e in particolare del futurismo (nel 2017 ha pubblicato un libro estremamente documentato e scientifico su Boccioni, Umberto Boccioni Arte-Vita, pubblicato da Electa, ed è forse l’unico, in Italia, a riproporre, in maniera filologica ma anche con grande coinvolgimento emotivo, le celebri serate futuriste, che continua a portare in giro per i teatri italiani recitando lui stesso con l’accompagnamento di “rumorismi” e “aerodanze”), nel suo lavoro pittorico ha invece innovato profondamente non solo l’immagine stessa della pittura astratta, ma anche il suo stesso statuto teorico: in un altro suo saggio, Astrazione come resistenza, pubblicato da De Piante editore nel 2021, scrive infatti che, come già avvenuto all’inizio del XX secolo, “le stesse rivalutazioni dell’interiorità e dell’analisi introspettiva non possono che rivelarsi salvifiche, in un periodo storico (come il nostro, ndr) incline alla secolarizzazione, all’esteriorità e al materialismo”, al punto che anche oggi, come in passato, “le voci più originali, fondative”, si rivelano ancora oggi quelle degli “inattuali”, coloro che dalla confusione e dall’appiattimento sul presente prendono le distanze, per ritrovare invece, attraverso una presa di distanza in primis dalla riproduzione ossessiva del reale, una ricerca “del silenzio, dell’introspezione, finanche di una benefica sopiritualità”: “tutti aspetti”, annota Floreani, “agognati oggi anche dai rotocalchi di grande diffusione e suggeriti come salvifici, anche verso un pubblico generalista, per potersi riavere dall’assedio della pubblicità, dall’esteriorità forzata, dall’imbroglio dell’eternamente giovani, dallo sfavillìo delle vetrine trionfanti di merce per lo più inaccessibile, dalla frenetica caccia al like sui social media”.

Per capire come un artista a tutto tondo, pittore “puro” ma anche intellettuale nel senso più ampio del termine (oltre a scrivere libri, proprio quest’anno ha curato una grande mostra pubblica, sulla storia della Pop e del Beat italiani, “POP/BEAT – Italia 1960-1979, Liberi di Sognare” alla Basilica Palladiana di Vicenza), viva la relazione con la sua opera rispetto alla contemporaneità, lo abbiamo intervistato. E per farlo abbiamo ritenuto di cominciare proprio da qua, dall’attività multiforme di Floreani: per il quale, per citare ancora Beatrice, “il quadro non è che uno tra i possibili elementi atti a innescare un dibattito culturale ad ampio raggio, incentrato sulla scrittura, prima che diventi senso o significato, bensì codice primario”: “Floreani”, sottolinea il critico appena scomparso, è infatti anche “scrittore, saggista, uomo di teatro”, e in questa sua attività varia e non univoca, benché sia principalmente e soprattutto pittore, si nasconde il segreto della sua ricerca di senso dell’attività artistica.

Roberto, tu da trent’anni sei considerato uno dei più importanti astrattisti italiani,   oltre a risultare Artista dell’Anno 2024 dal nostro sondaggio… In questo 2024 che è appena finito, però, non solo hai iniziato un nuovo corso nella tua pittura, aprendo il concetto di “Soglia”, ma hai anche curato una mostra importante dedicata al Pop e Beat italiana degli anni Sessanta e Settanta. In che modo riesci a conciliare le due cose, e in che modo il tuo ruolo di attento osservatore dell’arte contemporanea e della sua storia si intreccia con quella di artista?

Pietrangelo Buttafuoco, l’attuale presidente della Biennale di Venezia, nel definirmi l’erede di Umberto Boccioni sicuramente alludeva più alla figura dell’artista-teorico che alle sue opere. L’essermi dedicato anche alla stesura di saggi relativi al Futurismo e all’Astrazione ha quindi svariati riferimenti, oltre quello di Boccioni basti pensare a Josef Albers o a Enrico Prampolini, ad esempio.

E perchè hai scelto proprio il periodo della Pop italiana e della scena Beat, che apparentemente sono così lontane dalla cifra che caratterizza il tuo lavoro artistico?

Mi sono dedicato allo studio di quegli artisti perché in buona parte di loro, in Schifano, Mondino, Mauri, Mambor, Marotta, Rotella per quanto riguarda la prima stagione declamatoria, appare evidente (e dichiarata) una forte attenzione al Futurismo, argomento cui tengo molto anche dal versante teorico. Aspetto del tutto sottovalutato dalla critica e che riporta al centro quanto gli artisti hanno da dire circa la loro ricerca.

Prima di venire alla tua attività che maggiormente ti corrisponde e ti qualifica, quella di pittore, vorrei ancora soffermarmi su altre caratteristiche che fanno di te un caso abbastanza atipico nella scena artistica italiana: tu sei sempre stato un grande studioso di Futurismo. Hai scritto un libro su uno dei più importanti autori futuristi (Umberto Boccioni Arte Vita, Mondadori Electa 2017), e hai portato in giro per i teatri di tutt’Italia spettacoli futuristi, riproposti con grande partecipazione ma anche con grande rigore filologico. Come nasce questo interesse e come diventa una parte integrante del tuo percorso intellettuale e lavorativo?

Il Futurismo inaugura la stagione della modernità, della multidisciplinarietà e dell’assoluta libertà espressiva ed è a tutto questo che cerco di riferirmi: alla lezione della prima Avanguardia storica. Ma all’interno del Futurismo si sviluppa anche la formidabile novità dell’Astrazione, inaugurata a livello mondiale da Balla nel 1912 con le Compenetrazioni iridescenti in pittura e con i Complessi Plastici in scultura, preceduti consapevolmente dal testo Tutto si astrae del 1910. La Linea italiana all’Astrazione inizia con Balla allora e arriva fino ad oggi anche nella mia ricerca.

Nonostante si ricordi quest’anno il quarantennale dalla tua prima mostra individuale del 1985, con oltre 90 personali ad oggi, tu non hai fatto studi d’arte, ma di economia. Come sei arrivato all’arte, e come hai sentito che quella sarebbe stata la tua strada?

Cosa che può apparire più normale di quanto si creda: Boccioni e Fontana studiano da periti tecnici, Marinetti da avvocato, Burri da medico, Baruchello sarà imprenditore e così molti altri. In realtà gli studi universitari in Economia sono stati la mia sfida nella razionalità, ma già nell’81, l’anno seguente alla laurea, ho partecipato alla mia prima mostra collettiva, a dimostrazione che l’idea di fondo rimaneva priorità assoluta.

Oltre che su Boccioni, hai scritto anche un altro libro che ha avuto ottimi riscontri di critica, Astrazione come Resistenza (De Piante 2021). È un libro molto articolato, perchè affronta la storia dell’Astrazione dai primi del Novecento (e anche prima) fino al contemporaneo, arrivando anche a teorizzare una sorta di “resistenza” al materialismo dominante, è così? Ci vuoi spiegare che cosa sia la “resistenza” che teorizzi oggi nell’arte partendo da un impianto aniconico?

Avevo constatato con stupore che in ambito astratto, costellato da artisti che avevano puntualizzato la propria ricerca, l’unico testo teorico fosse ancora KN di Carlo Belli datato 1935, in realtà più un tributo sperticato a Kandinskij che aveva esposto a Milano l’anno prima e che gli rivolgerà invece una reprimenda scritta smentendo intenzioni simboliche nel suo lavoro, che una ricognizione teorica sull’Astrazione. Anzi Belli sarà malauguratamente ironico e sprezzante proprio verso la ricerca dei suoi coevi del Gruppo de Il Milione del Gruppo Como, artisti che meritano ben altra considerazione. Astrazione come Resistenza nasce da questa urgenza. Quanto alla Resistenza citata nel titolo del saggio, appare evidente come buona parte dell’Astrazione – e penso anche a Peter Halley e Sean Scully che lo dichiarano apertamente – rivolga la propria attenzione alla componente interiore, alla spiritualità, che rappresenta la sfida naturale al materalismo sociale imperante al giorno d’oggi che antepone il prezzo al valore. In questo senso credo che l’artista possa svolgere un rilevante ruolo sociale, resistendo quindi a tutto questo.

Roberto Floreani mette in scena uno spettacolo futurista

In che modo credi che si inserisca il tuo percorso di artista nella linea di Astrazione che, partendo da Balla, arriva fino a oggi?

Jean Baudrillard afferma che l’Astrazione rappresenta la parte più attendibile del contemporaneo perché attinge ad una storia eroica e in questa meritoria intuizione mi ci ritrovo perfettamente, nel senso che credo che l’Astrazione fin dalle origini svolga la sua funzione in una sorta di situazione critica a se stante,  dove le intenzioni di fondo evolvono con passare del tempo attualizzandosi, pur restando ancorate alla radice originaria. L’Italia in questo senso si trova in una posizione privilegiata potendo godere dell’intuizione originaria di Balla e di un percorso rilevante scandito periodicamente da nomi prestigiosi di grande rilievo.

E oggi, che l’astrazione sta in qualche modo “tornando di moda” (il Centro studi della Bocconi ha preconizzato che il 2025 sarà un anno molto attento all’Astrazione), credi che l’Astrazione abbia le carte in regola per essere considerata il “linguaggio della contemporaneità”?

Ma l’Astrazione ha sempre avuto le carte in regola: non si resiste ben oltre il secolo in ottima salute senza poter disporre di un solido bagaglio e il fatto che, per l’ennesima volta, diventi un ambito di riferimento a livello internazionale non fa che confermare la cosa. Credo che una dicitura più corretta possa essere: se non “il”, sicuramente “un” linguaggio attendibile e duraturo della contemporaneità. Credo ci si sia ormai dimenticati che senza libertà d’espressione si sta parlando d’altro e non d’arte.

Pensi che esista una relazione tra un presente sempre più attraversato da guerre, violenze e paura del futuro e il parallelo ritorno dell’Astrazione? E a tuo parere questo rappresenta unicamente una sorta di “ritorno alla spiritualità”, come mi sembra di capire che teorizzi nel tuo saggio, o si può anche leggere un atteggiamento di “fuga dalla realtà”, di ripiego nella decorazione come rifugio verso una realtà che si sente come sempre più estranea, alienante e inquietante?

Astrazione e decorazione non sono la stessa cosa, anche se la prima può serenamente inglobare la seconda. Umberto Boccioni, che con i suoi 4 manifesti programmatici e il suo saggio Pittura e scultura futuriste ha segnato la via, conferiva molta dignità all’aspetto decorativo dell’opera. Quanto alle guerre ci son sempre state, solo che si dichiaravano, adesso sono diventate missioni di pace o aiuti umanitari in un autentico trionfo dell’ipocrisia. L’aspetto spirituale insito in una parte significativa dell’Astrazione (c’è anche quella completamente avulsa da questo) non credo riguardi la guerra e la pace, quanto il segnale – se non l’alternativa – al materialismo imperante del prezzo sul valore. L’Astrazione difficilmente è una fuga, semmai una dichiarazione d’intenti.

Ci vuoi parlare del tuo progetto delle Soglie, che verranno presentate nella tua mostra Soglie. Tempo del prima – Tempo del poi, che si aprirà il prossimo 8 marzo al Museo Diocesano di Vicenza (fino all’8 giugno) nel quarantennale dalla tua prima personale del 1985?

Il progetto rappresenta anche temporalmente una sorta di crinale – Tempo del prima – Tempo del poi, che ricorda la natura dell’opera che divide il tempo dell’intenzione da quello della sua realizzazione, definita, non casualmente, come “creazione”. Nello specifico, mi rivolgo in continuità con Omaggio al Quadrato di Jodef Albers: là la sovrapposizione dei quadrati, qui il loro attraversamento, evocando quella dimensione interiore cui allude l’Astrazione fin dalle sue origini: ho sempre sostenuto che l’opera possa essere un veicolo per un messaggio di natura spirituale. Soglia che assume anche un duplice significato sia Teologico che filosofico analizzato in catalogo da Monsignor Gasperini, dal filosofo Luca Siniscalco e dal mio dialogo con il prof. Luigi Codemo, direttore del Museo d’Arte Sacra Contemporanea di Milano.

Progetto inserito come evento collaterale del Festival Biblico e già definito come La mostra del Giubileo, importante riconoscimento che premia la profondità e l’attendibilità della tua analisi e che prevederà anche la presentazione installativa della nuova serie di tappeti che hai realizzato con Radici…

La combinazione con altre modalità creative racconta la mia multidisciplinarietà: nello specifico tappeti che avranno una forte valenza installativa.

2 Commenti

  1. Pensato da un non addetto ai lavori come me, sembra che, come capita a tutti i veri artisti, anche Floreani debba alla fine misurarsi con la sfida alla complessità dimostrando di saper aprire uno scenario di complessità anche nelle sue forme più astratte nel momento in cui ne disegna le sue inseparabili forme tramite le differenti articolazioni figurative. Che alla fine riescono a costituirsi in un tutto coerente tramite la rappresentazione di un tessuto interdipendente, secondo me interattivo e inter-reattivo fra le parti e il tutto e fra il tutto e le parti.

  2. Un’intervista che è quasi un saggio. Dell’intervistatore ha l’immediatezza della comunicazione che arriva subito al punto; del saggio ha l’illuminante profondità e il lavoro di scavo.

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