50 momenti che cambiarono l’arte

Dall’incontro tra Cimabue e Giotto all’apertura del Louvre, dal furto della Gioconda alla Fontana di Duchamp: il libro di Lee Chesir racconta in 50 capitoli i 50 momenti che cambiarono l’arte… per sempre.

Siamo in molti a chiederci se il coronavirus e la pandemia da covid-19 porterà degli stravolgimenti nel piccolo mondo dell’arte. Esperti del settore, ma anche gli appassionati, stanno considerando quanto e in che modo questa pandemia continuerà ad impattare sul lavoro delle gallerie, delle fiere, delle biennali e se influenzerà direttamente il lavoro degli artisti affermati o di coloro che stanno iniziando il loro percorso. Per non parlare dei musei, delle fondazioni private e dei collezionisti. Sicuramente nel breve periodo abbiamo visto e vedremo molti cambiamenti: spazi espositivi che chiudono, mostre a ingressi contingentati, semi-lockdown per sfavorire le varie ondate ma anche sovrabbondanza di offerta digitale con gallery tour, Instagram stories e dirette, a volte senza senso, per il puro gusto di far qualcosa in streaming. Jerry Saltz, parlando del primo lockdown di New York sulle pagine di Volture, vaticinava la fine di un’epoca e fotografava la situazione, raccontandola come se sul mondo dell’arte si stessero spegnendo i riflettori. Luca Beatrice in un’intervista rilasciata online mesi fa, ha affermato che sicuramente il sistema dell’arte cambierà ma che il futuro non è Internet, o almeno non sarà solo Internet. Francesco Bonami  ha detto che con il distanziamento ci sarà più ossigeno nei musei e che comunque cambierà l’economia di un mercato “piccolo ma molto intenso”. Ad essere onesti bisogna essere consapevoli che il cambiamento, non sono nel mondo dell’arte, è sempre in atto. Saremmo degli sprovveduti se pensassimo che le cose siano immobili. Che lo vogliamo o no tutto è in continua mutazione. Sempre. La pandemia sarà un acceleratore della trasformazione. Potremmo quasi dire un catalizzatore. Il mondo dell’arte deve decidere se farsi trovare pronto, se accoglierlo e farne parte perché il cambiamento è già dietro l’angolo e ci chiede di assecondarlo.  

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All’inizio della pandemia, la casa editrice 24 ORE Cultura, ha pubblicato il libro “50 momenti che cambiarono l’arte” (vai al libro) e dopo averlo letto si può affermare con sicurezza che non sarà il coronavirus a cambiare l’arte. O almeno se la Storia ci può insegnare qualcosa, stando al libro, nessuna pandemia sembra aver cambiato direttamente le sorti dell’arte. Approfondendo i 50 capitoletti del libro e ammirando le opere proposte, si intuisce che i momenti chiave del mondo dell’arte siano stati altri. Gli eventi storici sicuramente influenzano la fruizione, il mercato e anche i soggetti raffigurati nelle opere. Ma volgendo lo sguardo al passato si può affermare che per cambiare l’arte ci vuole ben altro. Sembra proprio che gli artisti vivano su un altro pianeta, capace di farsi influenzare ma non farsi sconvolgere dai grandi avvenimenti della Storia. 

Per Lee Chesire, autore del libro e senior editor della Tate, tra gli eventi che hanno cambiato la storia dell’arte ci sono l’apertura del Salon des Refuses a Parigi nel maggio 1863 e il rilascio del brevetto per il tubetto di colore in metallo l’11 settembre 1841. Lo conferma Auguste Renoir che disse “senza i tubetti di colore non ci sarebbero stati Cézanne, Monet, Pissarro, e non ci sarebbe stato l’Impressionismo”. Anche il furto della Gioconda a Parigi il 21 agosto 1911, ha probabilmente rappresentato l’inizio della popolarità di quel dipinto e ha cambiato la percezione di alcuni capolavori nell’immaginario collettivo così come il rifiuto dell’opera di Duchamp “Fontana“ nel 1917 che ha innescato qualcosa nella produzione dell’arte contemporanea. L’autore, inoltre, inserisce tra i momenti chiave anche l’inaugurazione della “Mostra d’arte degenerata” nel luglio 1937 e la pubblicazione dell’articolo su Pollock pubblicato su ‘Life’ magazine. I due eventi rappresentano il primo l’inizio della fuga di molti artisti dall’Europa verso gli USA – e la fine dell’egemonia europea nell’ambito dell’arte occidentale – e il secondo l’ascesa della scena artistica americana. 

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Questi e altri dei 50 avvenimenti raccontano in maniera originale la storia dell’arte da Cimabue che incontra il giovane Giotto mentre dipingeva sui sassi fino al Rinascimento e passando dall’apertura del Louvre come museo nel 1793 arriva ai nostri giorni. L’autore precisa che non sono fatti isolati, ma sono tutti parte di un’infinita catena di causa ed effetto, potrebbero non essere quelli più decisivi però potrebbero aiutarci a discernere qual è il peso della grande Storia nella storia dell’arte. L’ultimo capitolo del libro è dedicato all’opera “The Weather Project” di Eliasson realizzato nel 2003 alla Tate.  Quell’opera ha confermato sia l’ambizione dei nuovi musei di diventare moderne agorà e ha indicato una nuova “generazione di artisti che lavora su scale inedite, con nuovi materiali e che non creano solo oggetti, ma anche situazioni sociali”. Olafur Eliasson è uno degli artisti più impegnati sul tema del cambiamento climatico e questo sarà probabilmente l’evento che può davvero impattare sulla storia dell’arte e non solo. Se il coronavirus potrà essere, speriamo presto, sconfitto con un vaccino e la crisi economica sarà tamponata con fondi e investimenti, il cambiamento climatico potrebbe avere effetti devastanti sulla vita dell’intero pianeta e sull’uomo che è il vero animale in pericolo di estinzione. Senza uomini non c’è arte. Ma questa è un’altra storia. La nostra.

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