Dodici artiste internazionali espongono le loro opere nello spazio della galleria Monica de Cardenas a Lugano
La Galleria Monica de Cardenas di Lugano (Svizzera) presenta fino al 30 ottobre la mostra “WOMEN”: una selezione di ritratti di donne create da artiste internazionali emerse negli ultimi anni, ideatrici di nuovi linguaggi visivi di grande attualità e vitalità-tra introspezione e condivisione, rappresentazione e sperimentazione.
La mostra inizia con due grandi innovatrici: Marisa Merz (1926 –2019 Torino) unica protagonista femminile dell’Arte Povera, creò ossessivamente testine in argilla e disegni di volti femminili che emergono da una moltitudine di sottili linee tracciate a matita. La sudafricana Marlène Dumas (1953, Kuilsrievier; vive ad Amsterdam), i cui dipinti e acquerelli dagli anni Ottanta sono incentrati sulla figura umana, che occupa prepotentemente l’intero spazio del supporto con la sua presenza fantasmagorica e seduttiva. Le immagini provengono dalla cultura di massa, ma vengono rielaborate e caricate di nuova vita, diventando più umane, vicine, quasi intime.
Per Wangechi Mutu (1972, Nairobi; vive a New York) il corpo è uno spazio controverso e terreno di esplorazione per ripensare le relazioni tra il potere umano e il mondo naturale. Utilizzando diversi media come pittura, collage, scultura, performance e video, indaga temi come la rappresentazione di sé, il concetto di genere, i traumi culturali e i dissesti ambientali.
Chantal Joffe (1969, St Albans; vive a Londra) è conosciuta per i suoi ritratti dipinti in modo fluido, nei quali riesce a catturare le emozioni, le debolezze e la vitalità dell’esistenza umana: ragazze e donne ritratte in diversi momenti della vita, con uno sguardo sospeso tra l’immediatezza di un’istantanea e la distorsione enfatica. L’intensità psicologica dei personaggi rende ambigua la nostra stessa opinione, disturbando e appagandoci al contempo.
La pratica artistica di Camille Henrot (1978, Parigi; vive a New York), Leone d’Argento alla Biennale di Venezia del 2013, unisce video, installazioni, disegno e opere plastiche. Le sue sculture in bronzo hanno forme morbide ed enigmatiche che comunicano una moltitudine di significati e riflessioni.
I dipinti di Silvia Gertsch (1963, Berna) ritraggono in modo quasi fotorealistico momenti di realtà contemporanea, in cui la luce radente e i suoi riverberi smaterializzano in parte visi e corpi, producendo una sorta di trascendenza. La tecnica che utilizza è la pittura ad olio su vetro applicata dal retro: una tecnica antica, usata raramente, che amplifica la luminosità dei soggetti.
Katherine Bernhardt (1975, St. Louis; vive a New York) crea grandi composizioni ritmiche di oggetti quotidiani con uno stile molto diretto e americano. Usa pennellate fluide e veloci, che sprigionano grande energia, ispirandosi ai ritmi dei tappeti marocchini e ai pattern africani. Le associazioni visive ed empatiche create dall’artista, sono precise e di grande effetto, i soggetti sono generalmente beni di consumo quotidiani o personaggi dei fumetti come la Pantera Rosa, delineati e costruiti con forme pure di colore.
Nelle opere di Ella Kruglianskaya (1978, Riga; vive a Los Angeles) stilizzate figure femminili, spesso formose e in abiti succinti, sono colte in scene maliziose e cariche di humour. Nelle sue opere su carta e tela l’artista mostra la propria vena profondamente originale, in parte ribelle, in parte classicista legata alle sue origini russe.
Nei suoi disegni Ebecho Muslimova (1984, Makhachkala, Russia; vive a New York) ha creato un alter-ego che ha chiamato FATEBE: una figura spudorata e libera, che esplora il mondo con il suo corpo. Grazie a questo sotterfugio è in grado di rappresentare stati, sentimenti ed emozioni in modo umoristico, usando il suo alter ego come alibi, toccando temi che possono apparire scomodi, intimi e sorprendenti.
La ricerca di Claire Tabouret (1981, Pertuis; vive a Parigi e Los Angeles) evolve dal tema della memoria, da immagini che appartengono al passato, come fotografie o ricordi d’infanzia, che mutua con inserti di colori acidi o fosforescenti. Le sue figure appaiono familiari e al contempo sottilmente inquietanti.
Tschabalala Self (1990, Harlem) utilizza inserti tessili e varie tecniche di cucito insieme alla pittura e al disegno. Il ricorso a queste tecniche artigianali l’aiuta ad esplorare come il corpo -e in particolare il corpo delle donne di colore -funzioni come simbolo sociale. I corpi che ritrae appaiono come assemblaggi frantumati che interiorizzano nelle loro forme una confluenza di proiezioni culturali.
Grace Weaver (1989, Vermont; vive a New York) ritrae scene di vita contemporanea sature di stimoli con uno stile grafico molto pop, essenziale e personale. Con forme arrotondate e piani di colore monocromo, sintetizza il modo di vivere e percepire di una generazione giovane, creando un linguaggio che è a sostegno dell’estetica della sobrietà, della fantasia e della spensieratezza.
Cover Photo Credits: Grace Weaver