A Copenaghen tre porcellini messi a morire di fame (poi salvati in extremis). L’installazione shock di Marco Evaristti

L’arte deve avere dei limiti? È una domanda che torna prepotentemente al centro del dibattito ogni volta che un’opera suscita indignazione e polemiche. L’ultimo caso è quello della controversa installazione artistica di Marco Evaristti, esposta a Copenaghen, in Danimarca, dove tre maialini sono stati rinchiusi in una gabbia improvvisata senza cibo né acqua, destinati a morire di inedia. L’opera, intitolata And Now You Care, aveva l’intento dichiarato di denunciare le condizioni estreme degli allevamenti intensivi danesi. Tuttavia, il metodo scelto dall’artista ha sollevato una forte ondata di indignazione, sia tra gli attivisti per i diritti degli animali che nell’opinione pubblica.

Secondo Evaristti, l’installazione aveva lo scopo di scuotere le coscienze e far riflettere sulla sofferenza inflitta quotidianamente ai milioni di suini allevati per l’industria della carne. L’artista ha sottolineato che ogni giorno in Danimarca muoiono oltre 25.000 maialini in condizioni estreme, e che la sua opera intendeva rendere visibile una tragedia che avviene lontano dagli occhi del pubblico. Ma il confine tra denuncia e crudeltà si è rivelato labile: se l’intento era nobile, il mezzo utilizzato per veicolarlo ha suscitato orrore e indignazione.

L’associazione Animal Protection Denmark ha denunciato l’installazione come un atto di maltrattamento e una violazione delle leggi sulla protezione degli animali. Sui social media, il dissenso è stato unanime: “Non si denuncia la crudeltà con altra crudeltà”, ha scritto un utente su Instagram. “Se l’obiettivo è sensibilizzare sulla sofferenza, perché infliggerne altra?”, ha aggiunto un altro commentatore.

Nella notte successiva all’inaugurazione della mostra, i tre maialini sono stati sottratti dalla galleria da ignoti, forse attivisti per i diritti degli animali (o, magari, anche la liberazione in extremis faceva parte della performance?). L’artista ha denunciato il furto alle autorità, ma il gesto è stato accolto con favore da molte persone che hanno visto in esso un atto di salvataggio più che un’azione illegale.

Questo episodio riporta alla luce una questione più ampia: è giusto esporre animali vivi nei musei o nelle mostre? E fino a che punto un artista può spingersi per sensibilizzare su un tema scottante? L’arte è, per sua natura, provocatoria e spesso intende suscitare reazioni forti, ma può e deve avere dei confini etici.

Molti sostengono che l’arte debba essere espressione di immaginazione, interpretazione e creatività, senza ridurre esseri viventi a meri strumenti di una performance. Gli artisti hanno il potere di denunciare le ingiustizie attraverso la loro opera, ma senza infliggere ulteriore sofferenza.

Non è la prima volta che Marco Evaristti si rende protagonista di opere controverse: in passato ha esposto acquari con pesci rossi in frullatori funzionanti, lasciando ai visitatori la possibilità di attivarli, e ha persino cucinato e mangiato polpette fatte con il proprio grasso corporeo per criticare il consumismo estremo.

L’arte ha sempre avuto il compito di far riflettere, spesso attraverso messaggi forti e scioccanti. Tuttavia, quando il mezzo scelto per trasmettere un messaggio comporta sofferenza per altri esseri viventi, è lecito interrogarsi sulla sua eticità. La vicenda dei maialini di Copenaghen ci impone di riflettere su come possiamo sensibilizzare senza diventare parte del problema. Forse, la vera sfida dell’arte contemporanea non è superare ogni limite, ma trovare nuovi modi per comunicare messaggi potenti senza ledere il diritto alla vita di chi non ha voce per difendersi.

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