“Ogni storia ha la propria storia, il proprio corpo e il proprio essere. L’arte si nutre delle storie che le intessiamo attorno, cosi come una persona ha la sua storia fondatrice e che cosi la inscrive nel tessuto degli incontri passati e futuri” – Slimen El Kamel.
Ci troviamo a Tangeri, in Marocco, alla Galerie d’Art Contemporain Mohamed Drissi, già Museo d’Arte Contemporanea o Musée d’Art Contemporain, inaugurato nel 1986 e restaurato nel 2007.
Con una molteplicità di artisti visivi – libanesi, palestinesi, iracheni, libici e siriani – la Galerie d’Art Contemporain Mohamed Drissi restituisce la storia araba degli ultimi decenni fatta di conflitti, violenze, migrazioni, esili. Gli artisti in mostra portano le cicatrici subite, come Paul Guiragossian, figlio di sopravvissuti al genocidio armeno e testimone della guerra civile in Libano. Nei suoi dipinti, come La Festa (1990) esposto in Galleria, il corpo esprime malinconia e drammaticità attraverso una pasta densa influenzato dall’arte del mosaico bizantino.
Gli artisti vogliono dare forma ad mondo arabo come specchio di tradizioni ispiranti: rifiutano i cliché orientalisti e folcloristici del proprio Paese e si riappropriano delle vere tradizioni popolari, con la creazione della prima Accademia di Belle Arti nel 1908 al Cairo che si fa trampolino di lancio per una nuova generazione di artisti alla ricerca di una propria autenticità locale.
Se all’inizio del XX secolo l’adozione della cultura plastica europea ha consentito per la prima volta agli artisti arabi per acquisire il vocabolario visivo, la padronanza tecnica e le strategie competitive, gli artisti arabi contemporanei si rivolgono questa volta alla loro eredità per ancorarsi a una realtà libera da ogni occidentalismo. Traggono ispirazione dalla loro vita in campagna, per le strade, con i loro spettacoli, la loro musica, i loro riti, volti a ricostruire e restituire una figurazione moderna e specifica del mondo arabo nella sua pluralità di stili.
La modernità artistica araba è, dunque, costruita attraverso la rivalutazione delle arti “extraoccidentali” – cosiddette da una storia dell’arte eurocentrica. Secondo alcuni critici e artisti arabi l’astrazione appartiene all’Oriente che l’Occidente ne na preso in prestito. Mentre in Europa costituisce il culmine di una riflessione sull’arte in rottura con i tradizionalismi, alla Gallerie d’Art Contemporain Mohamed Drissi si considera, forse per la prima volta, l’attrazione dell’eredità, soprattutto quella plastica, musulmana della scrittura.
Come nel caso di Rafa Al Nasiri che nel 1980 fonda il gruppo New Vision con altri artisti iracheni, che fanno dell’uso della grafia araba la massima espressione artistica per dare importanza unicamente alle forme anziché al loro carattere letterale.
Ma l’essere artiste e artisti arabi è solo il prodromo di una storia dell’arte contemporanea che si innesta in un contesto mondiale, poiché “nessuno oggi può essere solo questo o quello. Indiano, musulmano, americano, queste etichette sono solo il punto di partenza” – come ci suggerisce Edward Said, scrittore statunitense di origine palestinese (di cui si ricorda Orientalismo).
Le opere degli artisti in mostra non si limitano, dunque, alla sola restituzione di un’eredità in chiave contemporanea, utilizzano l’arte visiva anche per posizionarsi politicamente e pubblicamente: l’arte è una lotta militante, sul fronte della lotta contro tutti gli imperialismi – i manifesti di propaganda e l’arte ufficiale sono talvolta sostenuti da alcuni stati arabi.
Conflitti e violenze si susseguono in questa regione del mondo: conflitto arabo-israeliano, guerre del Golfo, rivolte e massacri civili come quelli in Algeria, Iraq, Libano solo per citarne alcuni. Abderrahmane Ould Mohand, pittore algerino, con Il giardino dei monaci del 1997, ci ricorda il massacro dei sette monaci di Tibhirine (Algeria) del 1996, i cui nomi sono sparsi sulla tela.
Sconvolti dai cambiamenti politici e sociali, molti artisti furono coinvolti nel prendere parte agli schieramenti politici.
Come nel caso di Samia Halaby, artista attivista e scrittrice nata a Gerusalemme e esiliata negli Stati Uniti dove vive tuttora, impegnata nella causa palestinese, che fa dei corpi e dei territori strumenti di creazione, espressione e liberazione aderendo agli elementi tipici di un’arte astratta.
A seguito di una storia araba conflittuale, la condizione umana, l’introspezione esistenziale sono campi di indagine ricorrenti. Danno uno sguardo critico all’identità individuale rispetto all’identità collettiva e manifestano collettivamente il desiderio e il principio di libertà.