Nelle metropoli internazionali SoHo è il nome comunemente utilizzato per identificare un determinato quartiere come sede degli spazi espositivi più in tendenza. Siano questi prestigiose gallerie d’arte, vetrine di negozi di lusso, locali notturni all’ultimo grido, negozi shabby-chic di antiquariato, ognuno di essi concorre alla formazione di un circuito non solo dei trend più contemporanei, ma un propulsore di primi contatti e sperimentazioni.
Questo è quanto accaduto a Torino, precisamente nel quartiere Vanchiglietta, quando a partire dagli anni ’80, sette artisti hanno scelto di colonizzare fortuitamente con la propria opera gli spazi interni del Loft Uno, un’ex sede industriale Michelin ormai in disuso e pericolante. Con il tempo l’intuizione del torinese Giorgio Griffa ha fatto sì che da residenza riposta di alcune delle figure più iconiche del panorama contemporaneo dell’arte, diventasse luogo di relazione, scambio e confronto con il pubblico.
La Fondazione Giorgio Griffa non è esclusivamente custode di un’eredità individuale, bensì si fa promotrice e art space per personalità di rilievo che hanno saputo ampli(fic)are la riflessione dell’Arte Povera fino ai giorni nostri. È da queste premesse che è nata la mostra INSIDE, a cura di Sébastien Delot: una collettiva di opere di artisti quali Marco Gastini, Luigi Mainolfi, Nunzio, Elisa Sighicelli, Grazia Toderi, Gilberto Zorio e lo stesso Griffa, che riflette sulla possibilità di fermare il tempo e lo spazio.
Sebbene l’uno diverso dall’altro per la scelta dei mezzi, essi esprimono la propria necessità artistica attraverso la scrittura del tempo, che è artefice della mutabilità della materia. Il tempo, in quanto astratto, esige una trasfigurazione affinché riesca a raggiungere la memoria dello spettatore. Ecco perchè le opere si configurano negli spazi della sede come l’itinerario di una mappa, che porta alla lettura di un intento comune di rappresentazione.
Ciò che suscita l’emozione dello spettatore è la sensazione di espansione delle dimensioni di spazio e tempo attraverso l’opera fisica: sebbene questa sia materialmente sottoposta all’eventualità del passaggio del tempo, e dunque soggetta al cambiamento, mutabile e transitoria, nel momento in cui è creata sfida le regole di assolutezza trattandosi del tentativo da parte dell’artista di installazione di un pensiero inconscio. L’interesse dell’artista, quasi l’ossessione, diventa la manifestazione della processualità: la materia prima custodisce l’energia in potenza e si fa tramite dell’operatività delle funzioni inconsce dell’essere umano.
Se è vero che l’Arte Povera ha profondamente segnato la cultura e la scena artistica torinese fin dalla sua nascita, riconosciamo più che mai in questa mostra la necessità che questa abbia di permearsi al substrato culturale in cui la pratica degli artisti contemporanei trova ancora necessità di confronto. Così, la tela, la pergamena, la terracotta, il legno, il piombo e il carbone rivelano immagini nascoste e suggestive che si traducono in potenzialità espressiva infinita nella interpretazione dello spettatore.
La prima mostra della stagione espositiva che segna il calcio d’inizio della Fondazione Giorgio Griffa a Torino è a tutti gli effetti una dichiarazione d’intenti dell’istituto, che si presenta al pubblico come promotore di dialoghi non solo nati dalla “convivenza casuale”.