Nel mondo sono nate start-up che permettono di creare dei chat-bot sulla base del materiale lasciato da un defunto. Lo scopo principale è permettere a chi ne sente la mancanza di continuare a conversare con la persona defunta, esplorando magari aspetti della sua vita che non erano stati affrontati in precedenza. Vi è una testimonianza nota di questo già nel 2016, mentre lo storico Jeffrey Sconce, nel suo libro Haunted Media, ci ricorda come già a metà del 1800 con il telegrafo idee circa la possibilità di comunicare con chi non c’è più cominciarono a girare.
Dai commenti sotto il video sulla storia di Eugenia Kuyda, emerge come sia facile etichettare questo comportamento come infantile o addirittura malsano, impedendo l’elaborazione del lutto. Certamente questo è un rischio, tuttavia indipendentemente dalla tecnologia usata vi sono persone che elaborano il lutto in modo più “sano” o più veloce, altri invece fanno fatica a lasciar andare una persona molto cara, soprattutto se la morte è avvenuta in modo inaspettato, prematuro o violento. Esistono catalogazioni di disturbi mentali associati a un prolungato attaccamento a un evento di morte, e non è sempre chiaro il confine tra affetto e attaccamento eccessivo.
Un ‘deathbot‘ è un bot costruito tramite l’AI utilizzando il materiale lasciato dalla persona defunta, concepito per continuare a fornire idee, informazioni e opinioni all’utente in lutto, in linea con la vita vissuta e il sistema di pensiero della persona scomparsa.
Ovviamente si aprono questioni etiche ed una bella rassegna è fornita da Nora Freya Lindemann in Ethics of the Deathbot in un articolo scientifico pubblicato nel novembre 2022. La Lindemann fornisce un quadro di pericolosità di questi bot che potrebbero in generale avere un effetto di favorire un attaccamento tra l’utente e il defunto con una intensità tale da distaccare l’utente dalla vita reale, tuttavia la questione può avere anche risvolti diversi. In alcuni casi, il disordine mentale causato da un lutto può essere estremamente grave; un bot potrebbe offrire un percorso per ridurre gradualmente un legame eccessivamente morboso con il defunto.
Sono i ricercatori Joel Krueger e Lucy Osler in Communing with the Dead Online a ricordarci però come il lutto sia sempre stato supportato dalla tecnologia. Che siano tombe, foto, video, lettere o diari, le civiltà hanno sempre usato tecnologie che permettessero di non perdere il legame con i defunti. Mantenere un legame con un defunto è sempre stato un bisogno umano. Un video, una foto, una tomba con dei resti materici, dovrebbero essere considerati più etici di un bot? Lindemann e i ricercatori citati non affrontano il tema della tutela della privacy del defunto, che pure sarebbe rilevante, ma piuttosto la portata etica dell’uso dell’AI in questo contesto.
Cos’è l’elaborazione del lutto?
Il lutto non è, come si potrebbe pensare a prima vista, un’esperienza passiva. Tutt’altro, è una esperienza molto attiva. Si subisce la perdita, certo, ma il lutto è qualcosa che si vuole e si struttura. Dalla celebrazione, alle tecniche di tumulazione, al modo di organizzare ricordi e ricorrenze, chi resta sceglie come usare le tecnologie per mantenere momenti di intimità con i defunti. Si potrebbe immaginare un utente disperato, morbosamente attaccato a una tastiera, incapace di ricordarsi che sta solo interagendo con un software; tuttavia, a ben vedere, questo può accadere anche nei normali cimiteri. Il disordine mentale che deriva da una perdita violenta è altra questione. La domanda che ci poniamo è se in un caso sano e normale il bot può essere considerato una delle tante tecnologie utili al mantenimento di una intimità con il sistema di pensiero di chi non c’è più. “Cosa avrebbe detto il nonno?”. In educazione e in psicologia vi è il mito del super eroe, immaginare una persona che stimiamo e cosa ci consiglierebbe in una situazione a noi difficile è una pratica utile al miglioramento della vita degli individui e della società, in fondo un bot è una tecnologia che va a supportare tale necessità.
È possibile usare uno strumento in modo buono o cattivo; ciò che è certo è che l’uomo ha bisogno di mettere in atto comportamenti irrazionali (come mantenere una tomba per decenni o percorrere chilometri per visitare un defunto) per realizzare e ampliare un’intimità. Tra questi comportamenti irrazionali ci potrebbe essere (ed in effetti già accade) quello di parlare con un bot. A ben vedere, tuttavia, un bot potrebbe anche fornire una funzione che va oltre l’intimità del ricordo, avvicinandosi all’intimità della scoperta o della reinterpretazione.
Citiamo anche il progetto My wind phone dell’artista Itaru Sasaki, che nel 2010 ha installato una cabina telefonica per lasciare al vento i messaggi per il cugino scomparso. Abbiamo parlato in un precedente articolo della Uncanney Valley e di come una tecnologia troppo vicina alle sembianze umane ci impaurisca, quindi la domanda è: dovremmo rinunciare a creare bot delle persone scomparsi in virtù di questo?
È sempre la Lindemann a segnalare che le tecnologie raccolgono dati e se detenuti da società commerciali potrebbero essere usati per influenzare in modo non etico il comportamento delle persone. Riteniamo che non ci siano comportamenti o tecnologie giuste o sbagliate, è sempre l’individuo a scegliere, certamente i deathbot oggi sono già una realtà consolidata e con cui molti di noi avranno a che fare.
Link web:
– https://www.theatlantic.com/technology/archive/2024/07/ai-clone-chatbot-end-of-life-planning/679297/?utm_campaign=the-atlantic&utm_content=edit-promo&utm_medium=social&utm_source=facebook&sfnsn=scwspwa
– https://www.theatlantic.com/technology/archive/2024/07/ai-clone-chatbot-end-of-life-planning/679297/?utm_campaign=the-atlantic&utm_content=edit-promo&utm_medium=social&utm_source=facebook&sfnsn=scwspwa
– https://restofworld.org/2024/china-ai-chatbot-dead-relatives/
le puntate precedenti di queste riflessioni su coscienza, pensiero filolosofico e intelligenza artificiale le potete trovare qua:
Dio è nei dettagli? No, nei computer. Un’ipotesi sull’uomo, la Natura e l’Intelligenza Artificiale
Ockham ed Intelligenza Artificiale: rasoi per pelo e contropelo a confronto
Il Papa al G7 per parlare di AI, tra auspici, buone intenzioni e forse un poco di rassegnazione
Thomas Hobbes ed il deep learning. AI tra draghi ed algoritmi etici
Intelligenza artificiale, filosoficamente parlando (pt. 1)
76 domande cui non vorresti dover pensare. Tra cui fare l’amore con un robot
Essere o non essere, matematica o non matematica? Questo è il dilemma
Gombrowicz: arte, coscienza ed esistenza per la nostra immaturità
Paura e desiderio ai tempi dell’AI
Il darvinismo universale nell’era della AI
Filosofia islamica e machine learning
Teoria dei giochi: Dente per dente o perdono?
Intelligenza artificiale, filosoficamente parlando (pt. 2)
Urge un metabolismo per l’intelligenza artificiale
Come si misura l’informazione e perché è Dio la fonte di ogni dubbio