Citylab 971 è un complesso multifunzionale situato a Roma, nel quartiere Salario, che si è evoluto nel tempo per diventare un punto di riferimento culturale, artistico e sociale sia a livello nazionale che internazionale. Originariamente costruito nel 1960, ha ospitato vari enti e attività, tra cui l’Istituto Farmaceutico Italiano, una fabbrica dell’Autovox, e un centro di ricerca internazionale.
Nel 1994, l’edificio viene dato in comodato all’Istituto Poligrafico Italiano mentre nel 2003 e fino al 2006 il Ministero del Tesoro destina lo stabile agli Archivi di Stato. Dal 2008 la struttura vive un periodo abbastanza burrascoso tra occupazioni (legali e non) fino a divenire un vero e proprio centro di accoglienza. Nel 2016, per le condizioni inaccettabili riservate agli ospiti, la struttura chiude i battenti.
Poco tempo dopo la realtà subisce una riqualificazione e viene affidata agli esperti di VISIONART che fondano una serie di iniziative di matrice artistica: le quattro pareti della corte nord sono state protagoniste di un monumentale intervento di arte urbana denominato “Agorà” a seguito di una proficua collaborazione tra l’Associazione Kill the Pig e l’artista Emmeu, esponente di arte astratta. In seguito si sono venuti a formare tre macro spazi che hanno dato vita all’Art District: il TAM, il primo museo esperienziale in Italia, dove l’arte entra in stretto contatto con le più moderne tecnologie; i LABS, laboratori e residenze per artisti italiani e non ed infine lo Sharing Space, spazi a disposizione di Accademie, Università, artisti e gallerie. Ad arricchire il progetto si è aggiunta “ITACA” una biblioteca, una specie di Caffè letterario con incontri culturali. Per l’inaugurazione si è tenuto un concerto de Lo Stato Sociale.
Oggi Citylab 971 si configura come un punto di riferimento non solo per la Città di Roma, ma anche su scala nazionale e internazionale. 22.000 mq destinati a tantissime iniziative; oltre a quelle sopra citate e che hanno determinato in un certo senso la nascita dell’istituzione, si annoverano anche: Officina Sociale di Legambiente, The blue hole Art Gallery, Downtown 971, Acca24 Food Court, la Sala di Posa, la Terrazza Panoramica e un’arena estiva per i concerti.
Lo scorso giugno CityLab 971 e il collettivo Biancofiore hanno presentato la mostra personale di Francesca Romana Cicia, Si è seduto il vento, a cura di Gemma Gulisano.
“Con una nuova serie di lavori pittorici, Francesca Romana Cicia esplora i meccanismi della memoria episodica – ha dichiarato la curatrice Gemma Gulisano – L’artista è dedita al tema del ricordo e ai processi di consolidamento e recupero a esso connessi. Dalla sua ricerca scaturiscono immagini atte a descrivere le consuetudini del ricordo nell’esperienza comune. Così, dal blu delle atmosfere sospese, affiorano indistinti luoghi della memoria attraversati da un vento che li accende“.
Francesca Romana Cicia, nata a Roma nel 1994 si è laureata in decorazione all’Accademia di Belle Arti della sua città. Una sua grande passione è l’arte della ceramica. Si mostra molto affascinata dal rapporto tra strutture e spazi vuoti che sono per lei parte integrante del suo lavoro. Ha organizzato più volte dei veri e propri spettacoli di cui il vuoto è uno dei protagonisti principali. Si è seduto il vento è una delle tante mostre che ha presentato nella capitale, riscuotendo ampio successo di pubblico.
Noi l’abbiamo incontrata a CityLab e abbiamo fatto una chiacchierata con lei.
Com’è stato esporre in un luogo come CityLab 971?
È stata una bella esperienza, CityLab 971 è un posto eclettico, ha tantissime realtà al suo interno. Ho avuto il piacere di riscontrare molta collaborazione da parte di tutti. Anche da un punto di vista di allestimento è stato bello.
Alcune delle realtà del cinema, dove ci sono vere e proprie equipe, si sono rese disponibili per aiutarmi per l’allestimento e per l’illuminazione. Avevo un’idea molto particolare per le luci del corridoio: dovevano essere sospese e suggestive. Anche lo spazio in sé è molto bello. È un posto in rovina, certe parti sono abbandonate rispetto ad altre, ma fa parte del suo fascino.
Cos’è per te il ricordo?
È una necessità. Necessità che abbiamo di cercare di preservare qualcosa. E’ anche la paura di poter fare sì che quel qualcosa svanisca. Anche sotto un punto di vista scientifico i nostri movimenti sono essi stessi ricordo.
E invece legato alla tua pittura?
Ci sono tante sfaccettature. A me interessano le dinamiche che abbiamo nei confronti dei ricordi, piuttosto che rievocare un mio ricordo specifico; mi affascina un discorso legato a quelli che sono i meccanismi universali verso i ricordi. Le cose possono essere modificate. Ci affidiamo al nostro ricordo e ci teniamo.
Per noi il nostro ricordo è da difendere, ma a volte ci capita di non ricordare. La realtà è un’illusione. Qual è il ricordo reale? Questo è l’aspetto che ho indagato nella seconda parte della mia ricerca. Il petalo, elemento ricorrente nelle mie opere, è un modo per affrontare il discorso. I petali non torneranno più ad essere quel fiore. Il petalo tende a perdersi in fretta. Ha una vita breve. Li ho realizzati in ceramica per conservare un aspetto illusorio di qualcosa che invece è effimero e si perde.
Anche il suono che ho aggiunto ai petali rappresenta un’ illusione. I cocci che si rompono non sono veramente i petali che si rompono. Ci riportano a pensare di mantenere qualcosa di permanente nella nostra mente.
Nelle tue opere non rappresenti mai soggetti antropomorfi. Come mai, dato che i ricordi hanno a che fare proprio con l’essere umano?
Perché più che realizzare immagini di soggetti specifici mi interessano di più i luoghi. Chi entra in questi luoghi si abbandona. Ho arricchito la mia personale con molti elementi che rimandano ai fondali marini, a dimensioni sommerse perché trovo che ci siano analogie con la mente. Sono tutti luoghi immaginari di cui chi guarda diventa il soggetto. Ci sono solo rovine che ci portano alla memoria, luoghi della mente dove chi guarda riesce a immedesimarsi.
Che impressioni hanno avuto le persone?
Ho avuto un feedback positivo, un bel riscontro. Ho trovato molto interessante confrontarmi con le persone. Vedere cosa può trasmettere il mio lavoro. Con le installazioni lo si vede benissimo. Vedi come reagiscono col corpo. Chi guardava tendeva poi a percepire distacco dal reale. Ognuno si trovava proteso a immergersi in quello che osservava. Il giorno dell’opening ho deciso di fare tutto buio. Un corridoio di 40 m totalmente buio, solo il pavimento era leggermente illuminato (per ragioni di sicurezza).
Le persone non sapevano dove sarebbero arrivate. Entravano direttamente nella mostra. A causa della mancanza di luce si sono sentite disorientate. A me interessa vedere come reagiscono a questo. Alcuni mi hanno riferito di essersi spaventati per l’incombere di una sensazione di sommerso ovattato, rispetto al reale di quando uscivano.
Qual è stata la molla che ti ha fatto fare questo tipo di ricerca?
È una cosa molto intima. Per motivi personali sono stata fin da piccola toccata da quali sono i meccanismi della mente in generale. Avendo osservato bene queste problematiche ho fatto studi sulle neuroscienze. Il nostro ricordo ci consente di mantenere la nostra personalità, seguendo anche il paradosso.
Le connessioni neuronali contengono il nostro vissuto e i nostri ricordi. All’inizio rappresentavo queste connessioni in modo rigido, poi ci sono entrata e ci ho dialogato. Ho aggiunto nuovi elementi e aspetti differenti. Il filo conduttore che è sempre rimasto è il colore blu. Da quando ero piccola ho sempre dipinto di blu. Non so perché.