Terra di conflitto con una situazione socio-politica complessa, il Medio Oriente è la terra di molti artisti che vogliono farsi ascoltare.
Generazioni di artisti si espongono e provocano, fino ad arrivare sulla scena internazionale del mondo dell’arte. Si pensi al territorio dell’Afghanistan, dove gli artisti, segnati dalle esperienze dei decenni passati e dai recenti sviluppi, cercano emancipazione, nonostante la forte diffidenza nei confronti dell’espressione artistica, soprattutto quando esercitata dalle donne.
Proprio come i singoli Paesi del Medio Oriente, le voci e i mezzi di questi artisti sono radicalmente diversi e rendono il panorama artistico mediorientale ancora più interessante.
In comune, però, c’è la voglia di parlare, partendo dalle proprie esperienze personali, di tutta la società, del modo in cui vive e pensa, del suo territorio e della sua condizione difficile, della politica, ma soprattutto dell’esigenza di cambiare e ricominciare.
Nasce ad Abha, in Arabia Saudita, dove attualmente vive e lavora. Ad oggi, è una delle voci più significative e influenti: tramite fotografia, video, performance e scultura, documenta e analizza senza filtri la realtà della sua terra. Sempre in continuo sviluppo, la sua ricerca si focalizza sulla memoria collettiva. Il suo obiettivo è raccontare storie nascoste e “non ufficiali”.
Nata a Beirut, in Libano da una famiglia palestinese, oggi vive a Londra e manifesta il suo senso di dislocazione con suoi lavori. Tra surrealismo e minimalismo, Hatoum esplora i conflitti del mondo come lo conosciamo e la relazione tra la politica e il singolo individuo.
Viene da Il Cairo, in Egitto, e attualmente vive e lavora a Parigi. Il suo medium è la fotografia, con cui da sempre sperimenta in ogni modo: dai suoi primi soggetti che richiamavano il cinema egiziano alle sue fotografie dipinte a mano. Personaggi famosi della scena araba o autoritratti che raccontano della sua vita lontana dall’Egitto e tanti altri sono i protagonisti dei suoi racconti.
Nata a Kandahar, è una delle più rilevanti artiste afghane viventi. E’ l’autrice degli “scheletri in burqa” comparsi per le strade di Kabul negli anni Duemila e ci tiene a precisare che la sua arte è fortemente politica, per questo considerata “scomoda”. La sua motivazione l’ha portata fino alla Kandahar Fine Arts Association e oggi, dopo una vita in fuga, è in Olanda, esperienza che per lei ha rappresentato un nuovo inizio. Con determinazione, però, cerca di mantenere viva la sua identità e le sue origini, soprattutto adesso, in un momento di forte vulnerabilità per l’Afghanistan, per i suoi cittadini e per il suo patrimonio artistico.
Nasce a Teheran, in Iran, per poi chiedere asilo a Gothenburg, in Svezia, colpita dalla Rivoluzione Iraniana. Ha partecipato alla 51esima edizione della Biennale di Venezia. I suoi lavori si concentrano su temi come l’alienazione, la comunicazione e il gender, come espedienti per costruire legami e dialoghi tra culture.
Da Qazvin, in Iran, si trasferisce negli Stati Uniti per studiare arte, dopo la rivoluzione khomeinista. È famosa in tutto il mondo per i suoi lavori filmici e fotografici, che lega fortemente alla sua biografia e con cui indaga temi come le rappresentazioni di genere nella cultura iraniana. Nota è la serie fotografica Women of Allah: ritratti di donne iraniane, nelle cui parti del corpo lasciate scoperte dallo chador inserisce testi tratti da libri di scrittrici iraniane.
Nasce a Sana’a, nello Yemen, quella che per molto tempo è stata l’unica fotografa donna a lavorare nel suo Paese di nascita. Riconosciuta da subito a livello internazionale per The Hijab Series, il cui obiettivo è sfidare gli stereotipi e la percezione comune della donna che porta il velo, rivolge la sua attenzione alle donne e alle loro esperienze personali.
Cover Photo Credits: Malina Suliman, Scheletri in burqa, Kabul