Angels. Cinquant’anni di storie del Pastificio Cerere in un battito d’ali

Roma, 15 dicembre 1983. Una folla si raduna nello studio bianco di Ottavio Celestino. C’è chi sorride e chi rimane serio, chi guarda l’obiettivo davanti a sé e chi si gira dall’altra parte, ma tutti sono consapevoli di star scrivendo una nuova pagina della storia dell’arte contemporanea. È “il miracolo di San Lorenzo”, scriverà Paolo Balmas poco più avanti. Sono “la generazione di mezzo”, una sessantina tra artisti, collezionisti, fotografi, critici e scrittori, compresi due cani e qualche bambino. Il volto consapevole di Achille Bonito Oliva spicca tra gli altri, punto di convergenza di tutto il fermento che lo circonda. Lo sguardo è fisso, si insinua in chi lo guarda, è una freccia che fa centro.

Pastificio Cerere Roma 15 dicembre 1983 Foto storica scattata al civico 3 di Via degli Ausoni a San Lorenzo in occasione dellinaugurazione della mostra Ateliers © Fondazione Pastificio Cerere

È una foto diversa da quelle di rito che consacrano i gruppi di artisti. Non c’è manifesto che proclami l’uccisione del chiaro di luna, nessuna rivista che rivendichi un’opera d’arte totale. L’“elemento che costituisce un collante – scrive Achille Bonito Oliva – è l’assoluta libertà verso i recuperi di linguaggi appartenenti ad esperienze precedenti ed inoltre l’azzeramento di ogni differenza tra astratto e figurativo”. È questa l’immagine che accoglie chi varca la soglia della mostra Angels. Cinquant’anni di storie del Pastificio Cerere, a cura di Marcello Smarrelli, allestita nel nuovo spazio della Fondazione Pastificio Cerere. È una scatola in valigia come quelle di Duchamp, un’opera a sé che condensa al suo interno mezzo secolo di ricerca, innovazione e sperimentazione, ma anche di incontri, mostre, residenze d’arte e laboratori.

Angels Cinquantanni di storie del Pastificio Cerere a cura di Marcello Smarrelli © Fondazione Pastificio Cerere

Angels è l’erede diretta di due mostre, forti presenze che vegliano in silenzio. La prima è Ateliers del 1984, curata da un giovane Achille Bonito Oliva, che forse già intuiva quale sarebbe stato il futuro degli spazi dell’ex Pastificio. Una mostra esemplare che apre al pubblico gli studi dei sette prescelti (Bianchi, Ceccobelli, Dessì, Gallo, Nunzio, Pizzi Cannella, Tirelli), riconsacrando quel vincolo necessario che lega l’artista a tutte le figure cardine del sistema dell’arte, a partire da critici, storici e collezionisti. È invece con la mostra Residenti (2005) che il Presidente Flavio Misciattelli inaugura la Fondazione Pastificio Cerere: uno spazio comune dove gli artisti possono esporre le loro opere e farsi presenti al pubblico, ma anche un luogo in continuo sviluppo creativo e produttivo. Tanta è la strada percorsa fino ad oggi e altrettanti sono i personaggi che hanno accompagnato e ancora accompagnano la Fondazione in questo lungo viaggio. Venti sono gli anni effettivi da festeggiare, ma il bagaglio che si portano dietro è immenso ed è proprio in Angels che possiamo percepirlo nella sua interezza, scoprendone alcune parti.

Landscape n 2 2021 Agostino Iacurci a sx Centro tavola con fiori 2024 Giuseppe Stampone a dx © Fondazione Pastificio Cerere

Visitando la mostra sembrerà di sfogliare le pagine di un album di famiglia, dalle foto più vecchie a quelle più recenti, sono tutti presenti. Lo spirito di Francesca Woodman vigila dall’alto a partire dal titolo, un omaggio alle sue celebri fotografie “angeliche” realizzate negli spazi dell’ex Pastificio Cerere. Le tracce lasciate da Giuseppe Gallo, Bruno Ceccobelli, Domenico Bianchi e Claudio Givani omaggiano il gallerista Ugo Ferranti in un lavoro inedito realizzato nei primi anni Ottanta. Senza titolo (1990) di Elisabetta Benassi è la sagoma di una delle finestre dell’edificio, opera perduta per molti anni e qui esposta per la prima volta dopo il ritrovamento. Le sculture di pietra del Cardoso di Helena Hladilová camminano nello spazio insieme al pubblico, abbracciato dalle morbide coperte dipinte da Thomas Berra in A letto (2024).

Angels Cinquantanni di storie del Pastificio Cerere © Fondazione Pastificio Cerere

Sui ballatoi, tra un edificio e l’altro, la luce a neon delle scritte Black Hole Sun (2010) di Riccardo Previdi illuminano il cortile, mentre l’eco della voce di Kollaps, Aufstieg (2012) di Francesco Fonassi risuona dal sottosuolo e lo sguardo si perde tra le piante e i fiori di Whole Wheat (2010) di Francesco Simeti. Giuseppe Stampone sembra racchiudere tutta la mostra in Centro tavola con fiori (2024), una sorta di atlante warburghiano che racconta la storia del Pastificio Cerere. Materiali d’archivio, interviste e storie si intrecciano con le assonometrie dell’edificio, opere simbolo in miniatura e i ritratti di coloro che hanno abitato e vissuto il palazzo. Nomi di artisti, intellettuali, poeti, critici, collezionisti e mecenati fluttuano come ricordi lontani ma sempre presenti. Sembrano angeli scesi dal cielo, alcuni solo di passaggio, altri sono rimasti. Eppure sono persone comuni, ma necessarie, perché ci permettono di guardare il mondo per quello che è, libero da pregiudizi e costruzioni mentali, nell’istante di un’opera d’arte: un battito d’ali.

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