Nel terzo millennio, a far seguito ad anni di sperimentazioni e apertura a nuove possibili dimensioni, tra installazioni e tecnologie digitali, torna in vita l’iconografia religiosa. In tal senso è un percorso borderline quello di Federico Guida, che alla tradizione cristiana, sovrappone le trasgressioni dell’informale e dell’iperrealismo.
Nato a Milano nel 1969, Guida porta negli spazi del Complesso Monumentale di San Potito a Napoli, 6 croci di legno dipinte, di grandi dimensioni. La mostra Arbor, curata da Mimmo Di Marzio in occasione della quarta edizione degli Art Days, promossa dalla fondazione no profit THE BANK ets – Istituto per gli Studi sulla Pittura Contemporanea, occupa le 6 cappelle laterali della chiesa a navata singola.
Il contesto è maestoso, una chiesa dei primi del Seicento non sconsacrata, ma momentaneamente interdetta al rito cattolico, inserita in un complesso che comprendeva un chiostro panoramico e un monastero, entrambi divenuti possedimento dell’arma dei carabinieri. Nelle cappelle, insieme ai dipinti seicenteschi, tra gli altri Luca Giordano e Andrea Vaccaro, 6 grandi strutture a forma di croce cristiana, in cui convivono trascendenza e umanità in una continua ricerca di equilibrio tra verticalità spirituale e orizzontalità materiale.
Ogni installazione è composta da dipinti ad olio su lino applicati sul legno e assumono una valenza fortemente concettuale, che intreccia i valori del sacro e del profano. Arbor perché le croci indagano, si legge dal comunicato, la simbologia dell’albero genealogico, ma probabilmente si potrebbe anche pensare che il peso stesso del legno di queste grandi strutture, assuma un valore simbolico che è poi quello, universalmente riconosciuto, del peso della croce che il Cristo avrebbe trasportato sul Golgota e sulla quale poi verrà ucciso.
Federico Guida sembra volerci far sentire proprio questo peso, o meglio questa presenza, che ci piaccia o no la presenza della morte, del distacco, si suppone, dell’anima dal corpo. Da orizzontale a verticale, è proprio quello il momento che cerca di fissare nella sua pittura.
La croce lignea dipinta, utilizzato dalla Chiesa Cristiana, ha sempre rappresentato uno dei principali oggetti di dissuasione delle masse, utile a indottrinare le masse incolte, incapaci di leggere i Testi Sacri. Penso sicuramente a Cimabue e Giotto, ma anche a Giunta Pisano e a chi verrà dopo, Duccio di Buoninsegna, Simone di Filippo detto proprio dei Crocifissi come tanti maestri dell’epoca, perché specializzato in questo tipo di committenza ben pagata e che aveva molto mercato tra Duecento e Quattrocento.
In queste croci lignee contemporanee dipinte tra il 2019 e il 2022, si percepisce a primo impatto, a causa della forma inconfondibile, l’imposizione di un messaggio, ma poi avviene che ci si soffermi ad osservare il racconto. Ed è subito chiaro che siamo ai limiti del fairplay guardando quella carcassa sventrata in Croce #5, ma nonostante il carattere certamente profano delle croci in mostra, Guida non vede la sua pittura come dissacrante, anche se accetta questa lettura.
Un episodio ha influenzato la sua pittura, come l’allontanamento dell’io dal corpo in seguito ad una caduta in un profondo burrone, durante un’escursione in un bosco. Effettivamente i suoi dipinti in esposizione, sono pieni di riferimenti al momento esatto in cui il corpo sembra perdere i sensi per poi spegnersi, la sofferenza del Cristo in agonia, ad un passo dalla morte carnale, mentre perde copiosamente sangue in Croce #4.
Il leggero distacco dell’anima dal corpo in Croce #2 , ma anche il peso della nascita in Croce #8, rappresentata con un bambino bello grosso mentre viene messo in vita da una Madonna che offre ai fruitori un close up del proprio sesso nel momento in cui termina l’ultima spinta. In quest’ultimo dipinto, la posa del neonato avvolto dalla placenta e dal cordone ombelicale vuole richiamare la natività e contemporaneamente la deposizione del Cristo, con quel sudario bianco su cui poggia quel corpo neonato apparentemente esanime, privo di energia vitale, come nella deposizione, anticipando dal primo momento di vita il proprio destino, come un memento mori.
Il discorso spirituale è forte, ma iconograficamente questo dipinto è fortemente dissacrante e non può non esserlo su quella croce e in quel contesto. E tutto ciò non è per forza un male. Le parti liminali di ciascuna croce racchiudono una serie di dettagli, esplosioni gassose, forme e oggetti simboloci. In questi spazi si intuisce l’appartenenza al suo tempo, laddove non inserisce forme riconoscibili la materia pittorica, Guida gioca con colle, glitter, colori fluo o campiture vuote, tutto molto materico e astratto.
Curioso notare come in Croce #3 avvenga il contrario. Al centro della croce un movimento materico astratto, privo di figura, agli estremi della croce viene invece relegata la figura umana come esplosa, in piccoli frammenti, materia destinata a disperdersi nello spazio, consumandosi nel tempo.
La mostra Arbor di Federico Guida è aperta al pubblico dal 24 ottobre al 7 novembre.