Art Brut: urgenza creativa e spontanea meraviglia nell’arte degli outsiders al Mude

Il concetto di Art Brut, teorizzato dall’artista e teorico francese Jean Dubuffet è una categoria relativamente recente, che ancora oggi entra a fatica nelle narrazioni della storia dell’arte ufficiale. 

Solo negli anni Duemila questo tipo di espressione artistica ha trovato una sua istituzionalizzazione e un suo posto nel sistema dell’arte. Forse perché si tratta di un’arte “grezza” e “pura” che, secondo l’accezione del suo inventore Dubuffet, non è l’arte dei folli e dei pazzi, ma l’arte realizzata dagli autodidatti, coloro che non hanno frequentato alcuna scuola d’arte e non hanno avuto una preparazione di tipo accademico, e che sono totalmente indifferenti alla ricezione critica della loro produzione artistica.

ph Carlotta Coppo

Originalità e individualità sono due elementi particolarmente significativi in questo tipo di espressione artistica. Per questo motivo le produzioni artistiche di persone che soffrono di malattie mentali e i disegni dei carcerati costituiscono un nucleo importante di quella che Dubuffet ha definito l’Art Brut (ma che non coincide esclusivamente con l’arte dei folli). Dubuffet sosteneva, infatti che “nell’arte, l’abituale e il familiare vanno mescolati con il meraviglioso. Dove c’è solo l’abituale non c’è arte, dove c’è solo il meraviglioso si ha un puro effetto di magia che non ci tocca. In un’opera d’arte piace trovare insieme il molto reale e il molto strano (strettamente legati)”. Assieme ad originalità e individualità, spontaneità e meraviglia sono dunque elementi essenziali e indispensabili per caratterizzare l’espressione Art Brut. 

Jean Dubuffet, nella Parigi postbellica, iniziò a collezionare opere di artisti non professionisti e autodidatti, spesso ai margini della società, che con la loro arte riuscivano ad andare oltre le convenzioni, raccontando sé stessi e il mondo attraverso l’illustrazione di idee non convenzionali e di originali mondi di fantasia. 

Questi artisti, che creavano per sé stessi, senza alcuna pretesa di essere compresi o collezionati, utilizzavano spesso materiali e materie prime che casualmente avevano sottomano e servendosi così, inconsciamente, di mezzi artistici nuovi, non tradizionali e non codificati, fuori dagli schemi.

ph Carlotta Coppo

La mostra “Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider”, aperta al Mudec (Museo delle Culture) fino al 16 febbraio 2025, porta in Italia un progetto espositivo dedicato alla potenza espressiva e “senza filtri culturali” dell’Art Brut, in collaborazione con la Collection de l’Art Brut di Losanna, nata dal nucleo storico raccolto da Jean Dubuffet e donato alla Città di Losanna nel 1971. Diverse le sezioni espositive, che addentrano il visitatore nelle molteplici forme di creatività dell’Art Brut. 

Una prima sezione introduce nella vita e nelle opere del francese Jean Dubuffet (1901-1985) pittore, scultore, scrittore e musicista che coltivava un’ossessione radicale per la creazione libera dalle norme e dai precetti della cultura artistica, che considerava asfissianti. Le sue opere sono testimonianza di un’aderenza all’arte informale come volontà di sperimentare oltre i tradizionali principi formali e costruttivi della rappresentazione astratta o figurativa, per aprire nuove strade materiche, segniche o gestuali, come nel caso degli oli su tela Le Géologue (1950) e Terres radieuses (1953). 

Una parte documentale, fotografica e bibliografica, costituita da libri, disegni di bambini, graffiti fotografati, tatuaggi di detenuti, oggetti di arte popolare (documentata anche in mostra) rende testimonianza delle costanti ricerche di Dubuffet per chiarire il suo concetto di “Art Brut” e per prendere le distanze dal concetto di “arte primitiva” o addirittura dalla definizione di “arte degl’insani”. 

ph Carlotta Coppo

Dalla seconda sezione, in poi, inizia il viaggio nella raccolta storica di Dubuffet, poi donata nel 1971 alla Collection de l’Art Brut di Losanna, che presenta numerosi lavori di artisti outsider, suddivisi in particolari aree tematiche.

All’inizio del percorso sono ospitate le opere delle figure più importanti e storiche dell’Art Brut, la cui poetica è imprescindibile da un’attenta conoscenza delle loro vite e del vissuto personale.

Aloïse Corbaz, internata in un ospedale psichiatrico, inizia a disegnare e a scrivere segretamente, utilizzando materiali alternativi come succhi di petali di fiori, foglie schiacciate, dentifricio. La sua opera è una cosmogonia personale, popolata da figure principesche ed eroine ambientate in festività natalizie o pasquali. 

ph Carlotta Coppo

Carlo Zinelli realizza gouache con figure umane stilizzate e dettagli anatomici, un vero e proprio viaggio nella sua mente complessa e affascinante. Il suo stile distintivo consiste in una ripetizione e accumulazione di sagome e figure con impercettibili cambiamenti della prospettiva e della scala. Ricorrono dettagli stilizzati di elementi anatomici come piedi, braccia, organi sessuali.

Adolf Wölfli, autore di un’opera colossale, con 25.000 pagine di composizioni grafiche a pastello, collage, creazioni letterarie e partiture musicali, è un grande colorista e ideatore di partiture floreali simmetriche e ossessivamente ripetitive.

Gaston Dufour, la cui vita si caratterizza per ricorrenti internamenti in ospedale psichiatrico, nasconde nelle fodere dei suoi vestiti disegni, realizzati a grafite sui margini di giornali, raffiguranti creature mostruose. Tra i suoi soggetti ricorrenti, un animale proteiforme che egli chiama “rinoceronte” e un personaggio simile a un Pulcinella. 

ph Carlotta Coppo

Nella terza sezione viene presentato un insieme di opere provenienti dai cinque continenti il cui focus è legato alla tematica delle credenze, intesa in un senso molto più ampio della sola dimensione religiosa, coinvolgendo, assieme alle credenze personali, le mitologie individuali o collettive. 

Charles Boussion, conosciuto col soprannome di “Cako”, all’età di cinquant’anni, dopo un incidente, comincia a dipingere ed elabora un proprio mondo figurativo basato sulle icone tradizionali e in generale sulla pittura bizantina, servendosi di ogni tipo di pennarelli e di evidenziatori per realizzare sontuose decorazioni che ricordano l’oreficeria moresca o l’arte della miniatura. 

Il fortissimo interesse per l’occulto stimola la sessantenne Marie Bouttier – durante momenti di trance medianica – a realizzare disegni automatici a matita che ritraggono strane creature dalla forma indistinta, in cui fogliame e vari motivi vegetali si confondono e si trasformano in insetti, pesci o larve. 

Giovanni Battista Podestà, profondamente segnato dalla religione cattolica, è pervaso da una visione manichea dell’esistenza e, con le sue sculture multicolori e altorilievi in pasta di gesso, colla e segatura, denuncia la corruzione sociale. Nelle sue opere inserisce vari motivi simbolici, popolari e religiosi tratti dal Medioevo, che è per lui un riferimento non solo iconografico ma ideologico.

Madge Gill affida la responsabilità del proprio lavoro artistico a un’entità altra, lasciando che la sua mano venga guidata da ciò che gli spiriti le dettano. Realizza numerose opere, anche di una decina di metri, il cui motivo ricorrente è una figura femminile con grandi occhi rotondi e un cappello, circondata da forme geometriche, vortici e spirali. 

L’ultima sezione presenta le molteplici rappresentazioni della tematica del corpo, e i significati che queste hanno per gli autori d’Art Brut. 

ph Carlotta Coppo

I lavori della artista cinese Guo Fengyi, realizzati su fogli di carta di riso, sono creati in uno stato di meditazione: la donna si veste interamente di rosso, il colore della serenità e della felicità e dichiara di essere ispirata da Buddha. Le figure, metà umane e metà vegetali, sono aggrovigliate in una rete di linee sottilissime, simili a ricami. Guo Fengyi è stata anche una medium che curava malati e prediceva il futuro.

Nelle opere di Giovanni Bosco si rintracciano parti del corpo umano come il cuore, un braccio, una gamba, polmoni, talora accompagnate dall’ossatura e dalla muscolatura, disposte con un senso innato della composizione. 

Sylvain Fusco, ricoverato in un ospedale psichiatrico, evoca il corpo dal punto di vista dell’erotismo e del piacere carnale, con la rappresentazione di sessi femminili giganteschi e anatomicamente ambigui. Disegna sulle pareti dell’ospedale donne nude e formose, con la bocca a forma di cuore. 

ph Carlotta Coppo

Infine, Angelo Meani recupera le stoviglie rotte che i grandi magazzini gli mettono a disposizione e con esse realizza maschere colorate dalle apparenze tribali.

Dopo un florilegio di opere e artisti outsiders, ci si potrebbe domandare se ancora oggi è possibile ritrovare l’urgenza creativa e la spontanea meraviglia dell’Art Brut nelle forme artistiche della contemporaneità. 

La mia risposta personale è che questa creatività così immediata e originale, scevra di rimandi e di echi visuali già detti, che lascia spazio all’invenzione, la si può ancora ritrovare in alcune produzioni di autori e artisti che utilizzano gli strumenti e i tools dell’Intelligenza Artificiale per generare immagini automatizzate, immagini generative, immagini di sintesi, dalle apparenze fantastiche e artificiose, che rimandano a mondi surreali a metà tra realtà e fantasia.

Un mondo di immagini non codificate che attualmente sono fruibili sono in rete, in una condizione outsider, ma che non è escluso che in futuro si possano appropriare di una dimensione fisica diversa, così come oggi la mostra “Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider” intende dare voce alle diverse forme di cultura e di arte nel mondo, anche quelle non convenzionali, per accendere un faro sulla libertà dell’arte e sulle espressioni artistiche dei cinque continenti.

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