L’artista e designer milanese grazie al suo approccio innovativo è considerato come una delle figure di maggiore spicco del movimento.
Artista, designer e scrittore milanese, Bruno Munari è stata una figura cruciale nella nascita e nello sviluppo del movimento dell’Arte Cinetica e Programmata.
Con i suoi particolari effetti ottici e giochi di colori e forme, la corrente artistica nasce in Europa negli anni Sessanta, diffondendosi poi negli Stati Uniti sotto il nome di Op Art (o Optical Art).
Protagonista nelle opere cinetiche è il movimento, che può essere reale o virtuale e che disorienta l’osservatore spostandone il punto di vista. In alcune opere, colori, forme geometriche, pattern visivi e contrasti creano effetti ottici che danno l’idea di movimento, disorientando lo spettatore.
Nonostante le differenze formali e i mezzi espressivi utilizzati, l’obiettivo comune che caratterizza l’arte cinetica è il rapporto attivo fra opera e pubblico, coinvolto non solo sul piano formale, emozionale e sentimentale, ma anche su quello psicologico e percettivo: l’opera va oltre il quadro, all’insegna di un nuovo tipo di rapporto tra arte e tecnologia.
Gli esponenti dell’arte cinetica programmano il risultato dell’opera sul pubblico costruendola in modo razionale, poiché alla base della creazione di un’opera c’è il concetto di “percezione”. L’artista diviene quindi un tecnico che interpreta la realtà e i fenomeni visivi in senso scientifico e metodico, non più soggettivo.
Ad esempio, quando Julio Le Parc, esponente sudamericano del movimento artistico dell’arte cinetica, spiegava al pubblico il funzionamento delle sue opere, lo faceva indossando una tuta da operaio, trasformandosi in una figura innovativa: artista, tecnico, progettista, designer.
Viaggiando ancora più indietro nel tempo, sono numerosi i primi esperimenti artistici in cui è centrale il movimento: nel 1913 Marcel Duchamp ha dato vita alla sua famosissima Ruota di Bicicletta, il primo ready made della storia che si distingue dai successivi proprio per l’elemento dinamico; Naum Gabo ha invece creato la Costruzione spaziale cinetica e László Moholy-Nagy, noto artista del Bauhaus, nel 1930 ha cercato di frammentare il fascio luminoso prodotto da alcune lampadine inserite nella scultura cinetica Modulatore di Luce-Spazio.
In questo senso, Bruno Munari è considerato come uno dei precursori del movimento grazie alle sue celebri Macchine Inutili che risalgono al 1933, degli apparecchi che non sono efficienti, poiché non producono nulla, ma interagiscono con lo spettatore e con il tempo.
L’artista, dopo essersi interessato a lungo del Futurismo – di cui sempre risentirà – sposta la sua attenzione verso forme, colori, movimento e luce, diventando uno degli esponenti di spicco dell’arte cinetica e programmata.
Nel corso della sua carriera, Bruno Munari ha sempre cercato di includere nelle sue opere materiali alternativi e leggeri come la plastica o innovativi come il metallo verniciato.
Nonostante i numerosi esperimenti con luce, spazio e movimento, è nel 1952 che l’artista scrive il Manifesto del Macchinismo, più attuale che mai, in cui paragona le macchine agli esseri viventi, immaginando un futuro in cui l’uomo sarebbe stato loro schiavo e l’unica salvezza per il genere umano sarebbero stati gli artisti.
L’anno successivo, Munari realizza Proiezione di diapositive a luce polarizzata in cui protagonista è la stimolazione visiva dello spettatore, sperimentando nuovi effetti di luce e colori mai visti prima.
Nel 1955, la mostra parigina Le Mouvement alla Galleria Denise René consacra il cinetismo come movimento, raccogliendo tutti gli esperimenti artistici considerati precursori e mettendo in scena opere di Yaacov Agam, Pol Bury, Alexander Calder, Marcel Duchamp, Robert Jacobsen, Jesús-Rafael Soto, Jean Tinguely e Victor Vasarely.
Si susseguono poi una serie di mostre fondamentali per lo sviluppo e l’affermazione del cinetismo come corrente artistica, che vedono protagonisti Bruno Munari e altri esponenti storici. Al 1960 risale la mostra Kinetische Kunst, al Kunstgewerbemuseum di Zurigo, in cui, tra gli altri, espone le sue opere anche Enzo Mari.
L’anno successivo tocca ad Amsterdam, con la mostra Moving Movement allo Stedelijk Museum, che proseguirà al Moderna Museet di Stoccolma e al Louisiana Museum di Copenhagen sotto il titolo di Movement in Art.
Tra il 1961 e il 1973, alla Galerija Suvremene Umjetnosti di Zagabria vengono curate una serie di esposizioni chiamate Nuove Tendenze.
Nel corso di queste mostre, il critico Marko Mestrovic e l’artista italiano Getulio Alviani mettono in scena le opere prodotte dai principali gruppi che nel frattempo avevano preso forma in Europa, come il Gruppo T, formato da Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi e Grazia Varisco ed il Gruppo N con Alberto Biasi, Toni Costa, Ennio Chiggio, Edoardo Landi e Manfredo Massironi.
È in questo periodo che Bruno Munari conia il termine “Arte Programmata”, per descrivere un’opera realizzata sulla base di calcoli, ripetizioni, variazioni di sequenze di forme, colori e pattern visivi, “programmando” l’effetto che l’opera avrà sulla percezione e sulla psicologia dello spettatore.
Il termine viene utilizzato per dare un titolo alla mostra organizzata da Munari e Giorgio Soavi nel 1962 per conto della nota azienda Olivetti. Corredata di un catalogo firmato Umberto Eco, l’esposizione era stata pensata per gli spazi dei negozi Olivetti di Milano, Venezia e Roma, ma in seguito viene allestita in gallerie e istituzioni dall’Europa agli Stati Uniti.
Alla prima esposizione di Milano erano presenti Bruno Munari, Enzo Mari, il Gruppo T e il Gruppo N. Nelle successive edizioni si aggiungono Getulio Alviani ed il gruppo francese GRAV.
Al 1965 risale però quella che è considerata come la più importante esposizione dedicata all’arte Cinetica e Programmata. Dall’enorme successo e dalle sorprendenti dimensioni, The Responsive Eye, al MoMA di New York è ancora oggi una delle mostre più celebri della storia dell’arte, con 123 opere e 180.000 visitatori.
Tra i lavori esposti che sono stati in grado di emozionare il pubblico troviamo superficie a testura vibratile di Alviani e una dinamica visuale di Costa, entrambi di proprietà del MoMA.
Gli anni Sessanta sono stati di certo un periodo di grandi soddisfazioni e riconoscimenti per l’arte cinetica e programmata: la III Biennale di San Marino intitolata Oltre l’Informale assegna il primo premio ex aequo al Gruppo N e al Gruppo Zero, mentre durante la 32esima Biennale di Venezia diverse mostre personali sono state dedicate al Gruppo T e al Gruppo N, ospitando anche Soto, Bury e Alviani.
Nello stesso anno il gruppo francese GRAV partecipa alla Documenta 3 di Kassel e nel 1966 Julio Le Parc vincerà il Gran Premio di Pittura alla 33esima Biennale di Venezia, così come Gianni Colombo nell’edizione del 1968.
Nonostante l’Arte Cinetica e Programmata avesse raggiunto in poco tempo un grande successo internazionale, con l’affermazione di correnti artistiche come la Pop Art e l’Arte Povera ci fu una rapida riduzione dell’interesse verso questa forma d’espressione, e molti critici d’arte iniziarono a considerare l’arte cinetica come un semplice esercizio formale di illusioni ottiche ed effetti visivi.
Una riscoperta del movimento ha avuto luogo negli anni Duemila. La GNAM di Roma nel 2012 ha messo in scena la mostra Arte programmata e cinetica e nello stesso anno Ghosts in the Machine ha avuto luogo al New Museum of Contemporary Arts di New York, seguita l’anno successivo da Percezione e Illusione: Arte Programmata e Cinetica italiana al Museo de Arte Contemporáneo di Buenos Aires.
Cover Photo Credits: Bruno Munari, Superflexy, Studio Farnese 1969, Courtesy of Studio Farnese.