Qualche anno fa gli NFT facevano sobbalzare il mondo del mercato post-covid creando una bolla che portò, nell’isteria collettiva generale, a vendere opere immateriali per diversi milioni di dollari. Tuttavia gli investitori – si sa – preferiscono ancora le buone vecchie opere analogiche, da appendere alle pareti. E il pregiudizio, inevitabilmente, è ancora più aspro se si tratta dell’arte generata dall’intelligenza artificiale. Ma qualcosa sta cambiando, e l’asta Augmented Intelligence di Christie’s potrebbe esserne il segnale.
Conclusasi lo scorso 5 marzo con un incasso totale di 728.784 dollari, l’asta – che aveva sollevato l’indignazione di numerosi artisti e addetti ai lavori (umani) – ha superato di gran lunga le aspettative. Un apparente successo che non si era mai visto per opere di questo genere. Ma cosa ha fatto davvero la differenza questa volta? Ma soprattutto, dovremmo interpretare questo risultato come una “rivoluzione” o come un’eccezione che conferma la regola?
Tra le opere battute, spicca Machine Hallucinations – ISS Dreams – A di Refik Anadol, un’opera generativa dinamica basata su dati della Stazione Spaziale Internazionale, raccolti da satelliti disseminati nell’atmosfera, alla quale viene associato uno schermo di 140 x 240 cm. Con una vendita a 277.200 dollari, ben oltre la stima iniziale di 150.000-200.000 dollari, l’opera ha confermato la posizione di Anadol come uno degli artisti più quotati della scena. Ma distinguiamo i veri exploit dalle semplici buone vendite: il mercato di Anadol è consolidato, e il risultato non può essere letto come un’indicazione che l’arte generata dall’intelligenza artificiale stia rivoluzionando il sistema, ma solo che alcuni nomi ben posizionati stanno guadagnando terreno.

Anche Embedding Study 1 & 2 di Holly Herndon & Mat Dryhurst, presente alla Whitney Biennial del 2024, ha registrato un ottimo risultato, raggiungendo i 94.500 dollari e superando la stima massima. Latent Character Arithmetic: King – Male + Female = “Queen” di Gene Kogan, che sperimenta con la combinazione dei caratteri cinesi e associa all’NFT anche un’opera fisica, ha toccato i 12.600 dollari. Interessanti anche i risultati di Brendan Dawes che con “Altarpiece: The Divinity”, venduta per 10.710 dollari, associa l’NFT ad una stampa su Hahnemühle: un’opera unica divisa in 3 pannelli di circa 83 x 180 cm; Scott Eaton invece ottiene ben 16.380 dollari (su una stima di 8-12 mila), con Human Allocation of Space, una scultura in bronzo generata da un AI che traduce i suoi disegni in opere tridimensionali; infine “Golden Breath”, opera creata all’AI Entity Keke, accompagnata da un acrilico e olio su tela grande 50×60 cm e venduta per 21,420 dollari (stima 15-20 mila).
Un risultato discreto, che di certo supera le aspettative, ma non rivoluzionario.

L’NFT Daughter di Claire Silver ha segnato un altro successo, passando di mano per ben 44.100 dollari, una cifra che supera la stima più bassa (ma senza eccedere quella più alta). Tuttavia, nonostante questi risultati positivi, nessun nome nuovo ha veramente scosso il mercato. Il successo è andato a chi già aveva una presenza nel circuito dell’arte, mentre le proposte più sperimentali non hanno trovato lo stesso riscontro.
Se il mercato sta premiando alcuni artisti che utilizzano l’intelligenza artificiale, non significa che tutti abbiano trovato acquirenti. L’invenduto Siamese Cycle in Absurdism è interessante perché l’autore, BOTTO, non è un artista in senso tradizionale, ma un’entità generativa, alimentata da votazioni comunitarie. La sua mancata vendita suggerisce che il pubblico non sia ancora pronto ad accettare un’opera creata interamente da un’entità decentralizzata.
Lo stesso vale per i lavori di Jake Elwes e Pinder Van Arman, che sperimentano con il ruolo dell’IA nella creazione, ma non hanno convinto gli acquirenti. Il segnale è chiaro: non basta che un’opera sia generata da un’IA, deve avere una dimensione estetica e concettuale forte (o una figura già affermata alle spalle). L’idea dell’IA come semplice “generatore di immagini” – del tipo text-to-image, per intenderci – non è sufficiente per attrarre investimenti seri, ma è necessario un valore aggiunto estetico e concettuale.

Degna di nota, tuttavia, è la varietà dei formati: si spazia da opere esclusivamente digitali, come l’NFT di Claire Silver, a installazioni “fisiche” basate su dati e algoritmi, come quella di Refik Anadol. Una diversificazione suggerisce che il collezionismo dell’arte IA non si è ancora del tutto emancipato dall’elemento materiale. Infatti, l’elemento “phygital” – la combinazione tra il digitale e il fisico – sembra aver giocato un ruolo chiave nel successo delle opere più quotate. Un NFT legato a un’opera concreta appare più appetibile rispetto a un’opera esclusivamente virtuale, mitigando la percezione di intangibilità che ha penalizzato il mercato degli NFT negli ultimi anni. Questo suggerisce che il mercato non sia ancora pronto ad accettare un’opera esclusivamente digitale come un bene di lusso durevole e da collezione.
Quindi, siamo di fronte a una vera rivoluzione o ad un aggiustamento del mercato? L’arte generata dall’IA sta trovando una sua collocazione più definita, ma non sembra ancora aver prodotto un “shock” paragonabile all’introduzione della fotografia o dell’arte concettuale. Di conseguenza, pur riconoscendo il suo valore, il mercato non è disposto a ribaltare le gerarchie artistiche tradizionali: il mondo dell’arte accoglie l’IA, ma alle sue condizioni.