“Augmented Intelligence”: l’arte generata dall’AI all’asta da Christie’s tra innovazione, mercato e controversie. Il parere degli esperti (pt 2)

Dal 20 febbraio al 5 marzo 2025, Christie’s ospiterà “Augmented Intelligence”, la prima asta (tutta online) dedicata esclusivamente ad opere d’arte realizzate con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. L’evento, che verra accompagnato da una mostra “fisica” al Rockefeller Center di New York, presenterà oltre 20 opere di artisti pionieri dell’IA come Harold Cohen e figure contemporanee come Refik Anadol, Claire Silver, Holly Herndon & Mat Dryhurst, Pindar Van Arman e Alexander Reben.

Le opere in vendita spaziano dalle prime sperimentazioni degli anni ’60 fino alle creazioni più recenti, includendo robotica, GAN, esperienze interattive, dipinti, sculture, stampe e opere digitali. Tuttavia, l’asta ha generato non poche controversie: più di 6.000 creativi hanno firmato una petizione per chiedere l’annullamento dell’evento, denunciando l’uso non autorizzato di opere protette da copyright per l’addestramento dei modelli di IA. Christie’s ha risposto sostenendo che gran parte delle opere in asta sono state create con input diretti dagli stessi artisti e che non ci sia nessuna violazione. L’artista Refik Anadol, pionere dell’AI Art ha commentato come questa petizione sia frutto di una “pigrizia critica e di una isteria da giorno-del-giudizio”. É anche notizia di questi giorni l’acquisizione da parte del Getty Museum della prima opera AI Generated, ovvero Cristian en el Amor de Calle (2024) del fotografo Matías Sauter Morera.

Per capire meglio l’importanza (e la controversia) di questo evento, abbiamo voluto sentire il parere di professionisti, artisti ed esperti del settore e di alcuni artisti digitali, i quali ci hanno fornito interessanti osservazioni non solo sull’asta ma anche sull’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in ambito artistico/creativo (trovate qui la prima parte).

Iniziamo con Pindar Van Arman, uno degli artisti coinvolti nell’asta, il quale commenta ” penso che il fascino per l’AI Art derivi da un desiderio antico di vedere il puro dispiegarsi della creazione senza la barriera del sé. In passato l’uomo si è avvicinato a questo attraverso le muse, gli oracolo, il subconscio, il caso, e ora attraverso la prospettiva di una mente artificiale. L’IA non è ancora senziente, ma l’AI Art e i sistemi autonomi ci danno un modo per esplorare la natura dell’emergenza. Ciò su cui mi concentro nel mio lavoro è il momento della forma che emerge dal nulla, la soglia in cui l’informazione si trasforma in immaginazione.”

Un altro artista digitale nostrano, Andrea Meregalli (che abbiamo intervistato qui), si chiede “Serviva davvero un sigillo istituzionale per confermare una dinamica già in atto? Pare di sì. Ora, almeno, possiamo voltare pagina e riconoscere che l’AI, come ogni altra tecnologia adottata dall’arte nel corso della storia, non sostituisce l’artista.

“È sempre l’essere umano a guidare il processo: la macchina suggerisce, accelera, ma il senso dell’opera nasce dall’intenzione e dalla manipolazione dell’artista”, afferma Andrea Meregalli, sottolineando il ruolo centrale dell’artista. L’intelligenza artificiale è solo uno strumento: il significato nasce dall’atto intenzionale di piegare la tecnologia alla propria espressione, perché “l’arte non si limita a usare strumenti, li piega al proprio volere, ne forza i limiti, li sfrutta per spostare il confine del possibile”.

Meregalli affronta il dibattito sull’AI nell’arte con una posizione netta: “l’idea che l’uso dell’AI nell’arte fosse ancora una questione aperta era già anacronistica”. L’arte ha sempre trasformato i mezzi più diversi in linguaggi espressivi, come dimostra l’esempio di Piero Manzoni. Bisogna quindi superare le sterili discussioni sul mezzo e a concentrarsi sul valore della ricerca: “possiamo (forse) lasciarci alle spalle questo dibattito sterile e concentrarci su ciò che davvero conta: sperimentare, sovvertire, ridefinire e ampliare i confini dell’arte.

Per Meregalli è anche particolarmente importante la formazione degli operatori del settore: “serve cultura e conoscenza. E prima ancora che da parte del pubblico, ne servirebbe da parte degli addetti ai lavori”. Meregalli avverte del pericolo di confinare il campo dell’AI artistica a un ambito tecnico, popolato solo da “nerd informatici”, privandolo di quella tensione creativa che solo gli artisti possono portare: “questo campo […] dovrebbe essere un territorio di esplorazione artistica a tutti gli effetti”.

“Chi valorizza l’arte? I musei o le case d’asta? Tecnicamente i primi, ma ultimamente, almeno per il pubblico più generico, le cose si stanno confondendo”, osserva invece il gallerista Deodato Salafia, mettendo in luce uno slittamento nel sistema dell’arte. Secondo Salafia, il processo tradizionale — con i musei a legittimare e le case d’asta a mediare il mercato secondario — si è ribaltato. Lo dimostra l’esperienza del boom degli NFT: “sono state le case d’asta – più che i musei – a determinarne l’impennata”, fornendo una legittimazione economica che si è poi rivelata effimera: “la frenesia del guadagno generò un’agitazione economica che si trasformò in una cocente fregatura”.

Salafia si chiede se, con l’intelligenza artificiale, “la storia si ripeterà”, paventando il rischio che il mercato, ancora una volta, prevalga sul valore culturale: “È corretto che il mercato sia il punto di partenza per validare le nuove avanguardie? A mio avviso, questo approccio non è corretto”. L’autore critica l’inversione della catena del valore, evidenziando come oggi siano “le case d’asta [a] appropriarsi del ruolo di validatori dell’arte, anticipando la legittimazione che un tempo spettava ai musei”. Questa dinamica, afferma, porta a cercare il valore prima del senso, con il rischio di ripetere gli errori del passato.

Interessante è il richiamo alla teoria economica dell’arte: “Siamo all’opposto di quanto espongono i ricercatori Tyler Cowen e Alexander Tabarrok in ‘An Economic Theory of Avant-Garde and Popular Art, or High and Low Culture (ne avevamo parlato qui). Salafia sposa l’idea che le avanguardie necessitino di tempo e libertà creativa, lontano dalle pressioni del mercato: “le avanguardie hanno bisogno di stare lontano dai soldi, per almeno un pochino”.

In questa prospettiva, l’appello ai collezionisti è chiaro: “Cari collezionisti: godiamoci lo spettacolo, lasciamo lavorare gli artisti verso una ricerca di senso, sosteniamoli, ci sarà tempo per speculare”. Non è l’intelligenza artificiale il vero tema, ma la speculazione che distorce il percorso artistico: “L’intelligenza artificiale, a mio avviso, è un non-tema. Salafia si dichiara aperto all’evoluzione creativa, ma mette in guardia sui danni della speculazione: “le speculazioni fanno male all’arte e in particolare alle avanguardie”.

Keke Golden Breath i Acrylic and oil on linen 19 710 x 23⅗ in 50 × 60 cm Executed in 2025 ii JPEG 8000 x 6613 pixels minted on 4 February 2025 Estimate $15000 20000 Offered in Augmented Intelligence from 20 February to 5 March 2025 at Christies Online

D’altro canto, Ed Newton-Rex, compositore, founder di Fairly Trained e uno dei principali sostenitori della lettera contro Christie’s, punta il dito contro il sistema che legittima pratiche discutibili: “non do la colpa agli artisti per questo: stanno semplicemente usando prodotti che le aziende di AI hanno messo sul mercato, scrive su Twitter. Per Newton-Rex Il bersaglio principale è Christie’s, accusata di “condonare questi modelli aiutando a vendere queste opere per decine o centinaia di migliaia di dollari”, nonostante derivino da modelli di intelligenza artificiale allenati su opere altrui, denunciando apertamente la conseguenza di questa pratica: “i modelli portano direttamente all’impoverimento di tanti artisti da cui hanno rubato”.

La sua critica è particolarmente severa verso la giustificazione comunemente avanzata dalle aziende di AI, ovvero che l’impatto su ogni singolo artista sia trascurabile: “I sostenitori dell’AI amano difendere lo sfruttamento di massa delle opere protette da copyright dicendo che il contributo di ciascun artista è insignificante nel dataset”. Newton-Rex respinge con forza questa logica, paragonandola a una rapina in banca: “Immaginate una rapina: in banca, ognuno ha depositato 10 dollari. I ladri rubano tutto, 80 miliardi. Dovremmo perdonarli perché ciascuno ha perso solo 10 dollari? Ovviamente no”. Conclude con fermezza: “Il fatto che si stia rubando a un enorme numero di persone non significa che il furto sia giustificabile.

Il dissenso di Newton-Rex non è solo teorico: è una questione di principio che lo ha portato a lasciare il proprio ruolo di responsabile del team Audio presso Stability AI: “Mi sono dimesso dalla mia posizione alla Stability AI, perché non condivido l’opinione dell’azienda secondo cui l’addestramento dei modelli AI generativi su opere protette da copyright rientri nel ‘fair use’”. Pur riconoscendo che all’interno dell’azienda vi siano “molte persone attente e riflessive su questi temi” e apprezzando il lavoro svolto per creare “un prodotto di generazione musicale AI all’avanguardia, addestrato su dati autorizzati e condividendo i ricavi con i detentori dei diritti”, la sua posizione è chiara: non è riuscito a cambiare la linea aziendale sul concetto di fair use.

Newton-Rex critica apertamente la posizione espressa da Stability AI nella sua risposta all’Ufficio del Copyright degli Stati Uniti: “Crediamo che lo sviluppo dell’AI sia un uso accettabile, trasformativo e socialmente utile dei contenuti esistenti, protetto dal fair use”. Secondo l’autore, questa visione ignora un principio fondamentale del concetto di fair use: “Uno dei fattori per stabilire il fair use è ‘l’effetto dell’uso sul potenziale mercato o sul valore dell’opera protetta da copyright’”. Ma gli attuali modelli generativi “possono chiaramente creare opere che competono con quelle su cui sono stati addestrati”, rendendo insostenibile la tesi del fair use.

Newton-Rex va oltre la questione legale per toccare un nodo etico: “Anche mettendo da parte l’argomento del fair use, per me questo è sbagliato”. Trova inaccettabile che “aziende miliardarie utilizzino senza permesso le opere dei creatori per addestrare modelli in grado di generare contenuti che competono con gli originali”, minando l’economia stessa delle arti creative, fondata sulla tutela del copyright.

Tuttavia, Ed Newton-Rex non è contrario alla generative AI in sé: “Sono un sostenitore dell’AI generativa. Avrà molti benefici, ed è per questo che ci lavoro da 13 anni”. Ma precisa: “Posso sostenere solo un’AI generativa che non sfrutti i creatori addestrando modelli sulle loro opere senza autorizzazione”.

Harold Cohen 1928 2016 Untitled i23 3758 1987 Ink on paper Paper size 22¼ x 30 in 565 x 762 cm Estimate $10000 15000 Offered in Augmented Intelligence from 20 February to 5 March 2025 at Christies Online

Anche John Russo, CEO di Maddox Gallery, interviene con toni critici sul ruolo dell’intelligenza artificiale nell’arte: “Questo non è progresso. Non è un momento storico per la creatività. È solo l’evoluzione successiva di uno schema che abbiamo già visto. Russo vede nell’attuale entusiasmo per l’AI una ripetizione di dinamiche già note, come nel caso degli NFT: “Lo abbiamo visto con gli NFT, quando il mondo dell’arte è stato travolto da una frenesia di scimmie pixelate e bolle speculative, tutto in nome dell’’innovazione’”. E cita anche l’esempio di Ai-Da, il robot artista: “Lo abbiamo visto con Ai-Da, il robot che ‘dipinge’ senza creare, celebrato non per l’arte, ma per la novità”.

Il cuore della sua critica è rivolto alle case d’asta, in particolare Christie’s: “E ora eccoci di nuovo qui: le case d’asta ancora una volta scambiano l’attenzione per merito artistico, i titoli sui giornali per la storia”. Per Russo, il problema è etico: “Se un artista copiasse migliaia di dipinti, li mescolasse e vendesse il risultato, lo chiameremmo plagio. Ma quando lo fa una macchina, lo chiamiamo progresso?”. L’asta di Christie’s, secondo lui, non è solo una vendita, ma una legittimazione: “Questa asta non è solo un’altra vendita: è un’approvazione. È Christie’s, una delle istituzioni più influenti del mondo dell’arte, che mette il suo sigillo su un processo fondamentalmente sfruttatore”.

Infine, lancia un monito sul futuro dell’arte stessa: “Se continuiamo su questa strada—se continuiamo a scambiare l’hype per la storia, il codice per la creatività— non staremo solo ridefinendo l’arte. La staremo sostituendo. Il suo scenario finale è amaro e inquietante: “E quando accadrà, quando lo spettacolo svanirà, quando i titoli dei giornali si spegneranno, cosa ci resterà?”. La sua risposta è netta: “Una galleria vuota. Un’industria senz’anima. E una generazione di artisti che si chiede perché abbiamo permesso che accadesse”.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Artuu Newsletter

Scelti per te

Lo Storyboard come medium nella nuova mostra alla Fondazione Prada

Fondazione Prada lo racconta con la mostra “A Kind of Language” portando lo spettatore dietro le quinte di un viaggio che percorre la storia del cinema, dalla fine degli anni Venti ad oggi, dalle origini dello storyboard

Seguici su Instagram ogni giorno