Benvenuto Cellini, Madame d’Étampes e quel Giove superdotato

Questa è la storia di un brutto ceffo, Benvenuto Cellini, che tutti conoscono per la sua fama e quella delle sue opere, e che di tutte le avventure che gli sono capitate, delle relazioni che ha avuto, delle opere straordinarie che nel corso del tempo ha realizzato, così come dei torti subiti e soprattutto che fece subire ad altri, ha diffusamente raccontato nella sua autobiografia.

Dice il Vasari che Cellini “è stato in tutte le sue cose animoso, fiero, vivace, prontissimo e terribilissimo, e persona che ha saputo purtroppo dire il fatto suo con i princìpi, non meno che le mani e l’ingegno”. Era, insomma, uno da cui era meglio guardarsi le spalle, e i molti che ne hanno avuto a che spartire ne hanno purtroppo avuto la controprova.

Benvenuto Cellini Autoritratto

L’episodio che narriamo ha già avuto nel corso dei secoli una discreta eco, per il senso d’ambiguità e per la spavalderia guascone e un po’ cialtrona del personaggio che palesemente ne traspare; e ha in qualche modo a che spartire anche con un’altra storia, la misteriosa morte del Rosso Fiorentino, su cui ci dilungheremo invece più avanti, in un altro dei nostri tranches de vie dedicati agli artisti, perché apre uno squarcio sui litigi, le faide e gli intrighi di corte sotto il regno di Francesco I.

Una donna di carattere

Corneille de Lyon Ritratto di Anne de Pisseleu dHeilly Duchessa dEtampes

La donna di cui vogliamo parlare, e che con Cellini ha avuto a che fare unicamente per antitesi, poiché con tutta evidenza costei aveva in odio il personaggio, la sua arroganza e i suoi modi violenti, si chiama Anne de Pisseleu d’Heilly, nota come duchessa d’Étampes (italianizzata dal Cellini nella sua Vita in Madame de Tampes), damigella di corte di Luisa di Savoia, che fu prima moglie di Filippo V di Spagna e madre del futuro Re Francesco di Valois, del quale la giovane duchessa divenne l’amante all’età di 17 o 18 anni. Era dunque, questa duchessina, donna di carattere e di mondo, e sapeva farsi rispettare a corte, avendo i suoi protegé ed esercitando tutta l’influenza di cui era capace con il Re.

Va detto che Cellini le stette fin da subito antipatico. L’episodio che diede il via all’antipatia della giovane duchessa per il Cellini fu il fatto che l’artista, avendo avuto la commissione d’un’opera da parte del Re, non l’avesse sottoposta prima all’attenzione della duchessa per fargliela approvare. Consapevole del disappunto di Madame d’Étampes, l’artista tentò in seguito di rientrare nelle sue grazie, realizzando un vaso d’argento dorato, sperando che il dono potesse placare il suo disappunto. Tuttavia, quando si presentò a casa della duchessa per consegnare il vaso, fu lasciato per ore ad aspettare fuori dalla porta. Alla fine, frustrato, affamato e scoraggiato, “mandatole divotamente il canchero nel cuore”, l’artista decise di offrire il vaso al cardinale di Loreno, che lo accolse calorosamente e lo ricompensò con cento scudi d’oro. L’episodio, però, peggiorò ulteriormente i rapporti con Madame d’Étampes, che, venuta a conoscenza del dono al cardinale, si infuriò ancora di più.

Jean Clouet Ritratto di Francesco I Re di Francia 1530 ca

Questo, l’antefatto, a cui si deve aggiungere la violenta cacciata di casa, da parte di Cellini, di un uomo che fino a quel momento aveva ospitato, e che era un protetto di Madame; e altri piccoli dispetti che si erano succeduti nel periodo in cui Cellini, insediatosi comodamente a corte, aveva spadroneggiato, facendosi conoscere e riconoscere da tutti come l’uomo impulsivo e arrogante che era – va detto che, a Roma, aveva alle spalle già almeno due omicidi certi, quello di un tale che a sua volta gli aveva ucciso il fratello, e quello di un orefice suo rivale; omicidi che sarebbero costati il carcere a chiunque, ma non a lui, che era protetto dal Papa: e che in carcere ci finì poi, a Castel Sant’Angelo, ma solo perché accusato di aver rubato dei soldi al Papa durante il sacco di Roma: ed è proprio lì che lo scovarono gli emissari di Francesco I quando il Re lo volle con sé a corte.

Un Giove come non se n’è mai visti altri

Francesco Podesti Francesco I nello studio di Benvenuto Cellini 1837

Ma veniamo, dunque, all’episodio-cardine, su cui si basa tutta la leggenda dei rapporti di Cellini con Madame d’Étampes. L’episodio è, come molti altri, raccontato dallo stesso Cellini nella sua vita. Ci narra dunque l’artista che, avendogli il Re commissionato una grande statua d’argento (purtroppo oggi andata perduta), da portare alla Reggia di Fontainebleau, che rappresentava Giove (e doveva, codesta statua, essere solo la prima di dodici, ad uso di “candelieri”, che avrebbero rappresentato i principali dèi dell’Olimpo), finalmente l’artista, dopo che l’ebbe terminata, la portò una sera alla reggia, posizionandola, con tanto di fiaccole e di luci, in modo che il Re potesse ammirarla in tutto il suo splendore (le luci avrebbero infatti fatto rifulgere la lucentezza dell’argento). La scultura doveva essere, in effetti, bellissima, se non addirittura straordinaria: realizzata tutta in lamine d’argento, riccamente decorata (la sola base, riccamente lavorata e dorata, recava in sé altre piccole scene scultoree, come il ratto di Ganimede e Leda e il cigno, mentre i piedi e parte della testa erano in parte dorati), e si vedeva in essa, ci dice il Cellini, “tanta pulitezza”, quale non si sarebbe “mai creduto” e questo non era riuscito ai maestri locali “i quali si pretendevano essere li più valenti uomini del mondo di tal professione”.

L’artista era dunque pronto per ricevere il Re, con il suo stuolo di cortigiani, a vedere il Giove già posizionato all’interno della Galleria, luogo-simbolo per il monarca, ideato e realizzato interamente dal Rosso Fiorentino, che era stato direttore dei lavori (e che da pochi anni era morto, vedremo in un altro racconto in che modo e con che misteri tutt’ora irrisolti), “ornata e ricchissima di pitture di mano di quel mirabile Rosso, nostro fiorentino; e infra le pitture era accomodato moltissime parte di scultura, alcune tonde, altre di basso rilievo”: statue che il Primaticcio, che aveva sostituito il Rosso dopo la sua morte nel condurre i lavori alla Reggia, aveva realizzato in “bronzo”, e che erano, precisa il nostro autore, “le più belle cose tratte da quelle antiche di Roma”; copie, cioè, di statue greche e romane, secondo il gusto dell’epoca, che si alternavano agli affreschi del Rosso sulle pareti.

Un scultura “quasi viva”

Alexandre Evariste Fragonard Francesco I nello studio di Benvenuto Cellini

La statua di Giove apparirà per quello che doveva effettivamente essere: maestosa, splendente, magnificente, quasi “viva”. “Aveva il ditto Giove innella sua mano destra accomodato il suo fulgore in attitudine di volerlo trarre, e nella sinistra gli avevo accomodato il Mondo. Infra le fiamme avevo con molta destrezza commisso un pezzo d’una torcia bianca…”.

Destinato a essere un gigantesco e favoloso candelabro a grandezza naturale, esso recava infatti con sé la sua brava torcia a illuminare l’ambiente circostante, che, essendo anche “alquanto elevata sopra la testa” della figura, permetteva di far rifulgere lo splendore delle cesellature dell’argento e la vividezza delle forme. Tutto questo era per di più potenziato da un congegno introdotto nella base, sorta di scatola dorata con delle ruote, invisibili all’esterno, ma “tanto gentilmente ordinate, che un piccol fanciullo facilmente per tutti i versi sanza una fatica al mondo, mandava innanzi e indietro e volgeva la ditta statua di Giove”: trattavasi, insomma, di una statua mobile, che si poteva spostare per essere più agevolmente ammirata da ogni lato, escamotage che “la faceva parer viva”.

L’arrivo del Re e la presentazione della statua rappresentano una sorta di “scena madre”, studiata dal Cellini fin nei minimi particolari. Va detto che il Re arriverà nella galleria solo a sera avanzata, quasi notte: e questa era stata, secondo il Cellini, una malizia da parte di Madame d’Étampes, che aveva “trattenuto” il Re a bella posta, sperando o che costui, stanco, non volesse più venire, o che, di notte, la scultura risultasse meno bella. Accadde invece che, sempre stando al Cellini, la malizia si trasformerà in un autogol per la duchessa, perché la statua, così riccamente e scenograficamente illuminata dall’alto, faceva “molto più bel vedere” che non avrebbe invece fatto di giorno. Ma ecco dunque l’arrivo del Re: “Veduto entrare il Re, feci ispignere innanzi da quel mio garzone già ditto, Ascanio, che pianamente moveva il bel Giove incontro al Re”, racconterà Cellini. La scena doveva essere impressionante: il colosso che si muoveva “innanzi al Re”, la luce che lo illuminava dall’alto, lo sfulgore degli ori e degli argenti che gettavano riflessi all’intorno. “Questa”, disse il Re, “è molto più bella cosa che mai per nessuno uomo si sia veduta, e io, che pur me ne diletto e ‘ntendo, non n’arei immaginato la centesima parte”.

La trappola di Cellini e l’errore di Madame

Benvenuto Cellini mostra il suo Giove a Francesco I autore sconosciuto

Madame d’Étampes, però, non essendo riuscita nell’operazione di sabotaggio della statua, provò a criticarla, candendo a sua volta nella trappola ordita dal Cellini: poiché questi aveva infatti coperto una parte della statua – quella, propriamente, che ne copriva le pudenda – con un “velo sottilissimo”, una “camicia di stoffa d’oro su sfondo nero,” che aggiungeva un contrasto cromatico rispetto all’argento, utile per mettere in risalto i dettagli luminosi del rilievo, questo permetteva di intravedere la nudità della figura, facendo assumere alla scultura anche una connotazione erotica, in linea con le storie rappresentate sulla base, come il Ratto di Ganimede e Leda. Madame d’Étampes, con gran gusto del Cellini, cade dunque nel tranello, dicendo che la scultura, se pur faceva la sua figura alla luce delle fiaccole, vista di giorno sarebbe parsa senz’altro meno bella, tanto più che lo scultore aveva “messo un velo addosso alla ditta figura, per coprire gli errori”. Era, insomma, un invito allo svelamento della statua, di cui la duchessa non aveva evidentemente compreso appieno le conseguenze.

Caterina Piotti Pirola Ritratto di Benvenuto Cellini incisione su rame da un dipinto di Giorgio Vasari

Detto fatto: il Cellini prende la palla al balzo e – avendo forse già preparato la scena nei minimi dettagli, per umiliare la sua “nemica” – afferra il velo “alzandolo per di sotto, scoprendo quei bei membri genitali”, “e”, aggiunge l’artista nella sua autobiografia, “con un poco di dimostrata istizza, tutto lo stracciai”. La duchessa, sentendosi insultata dal gesto platealmente volgare e provocatorio, per non dire offensivo, del volerle “sbatterle in faccia” i genitali della statua da parte del Cellini, “pensò che io gli avessi scoperto quella parte per proprio ischerno”.

La scena doveva essere quella di una commedia degli equivoci, con un po’ di piccante. La duchessa, rossa in volto, volta sdegnosamente il capo. Cellini prova a dir qualcosa. Il Re, stizzito, ma forse ridendo un poco sotto i baffi, intima a Cellini di tacere: “Benvenuto, io ti taglio la parola; sí che sta cheto, e arai piú tesoro che tu non desideri, l’un mille”; e volse i tacchi “dicendo forte, per darmi animo, aver cavato di Italia il maggior uomo che nascessi mai, pieno di tante professione”. E così finì di fatto l’avventura di Cellini in terra di Francia, giacché, questo di sbattere in faccia i genitali alla preferita del Re, non era cosa dopotutto che si potessere far passare impunemente.

Le puntate precedenti degli aneddoti sulle vite degli artisti le potete trovare qua:

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