Se siete stanchi delle solite cene di Natale, con i tortellini in brodo che sanno di poco e i parenti che sbadigliano sulle cartelle della tombola, fatevi ispirare da Salvador Dalí. Lui e sua moglie Gala a Natale non ci pensavano nemmeno ad addobbare abeti nella loro casa-labirinto di Port Lligat, ci mancherebbe: lasciavano la costa spagnola e se ne andavano dove c’era la vita. Uno dei loro locali preferiti per il cenone del 24 era Maxim, a Parigi, città nella quale conservavano due suite adiacenti – la 106 e la 108 – perennemente prenotate all’Hotel Le Meurice. E lì, da Maxim, solitamente si presentavano in doppia coppia.
All’inizio degli anni Settanta, il grande amore di Gala era Jeff Fenholt. Come darle torto? Lunghi capelli biondi, sexy come il demonio e angelico come il Jesus Christ Superstar che interpretava a Brodway, Jeff aveva una cinquantina d’anni meno di lei ed era un magnifico trofeo da portarsi al braccio, ancora più interessante delle pellicce che lei si buttava con noncuranza sulle spalle e dei gioielli che il marito – innamoratissimo – acquistava per lei a camionate. I suoi occhi verdi non smettevano di lanciare lampi malandrini nemmeno quando erano annebbiati dagli stupefacenti, e perché scintillassero ancora di più, Gala non risparmiava regali costosi. A volte strategicamente situati in qualcuna delle sue case – giusto perché il biondo Jeff avesse voglia di trascorrervi sempre più tempo – come il pianoforte a coda Bechstein che aveva sistemato nel salone al primo piano del suo castello di Púbol. (Io credo comunque che anche Jeff, a modo suo, amasse quella sfinge senza età: quando lei è mancata lui si è buttato nei Black Sabbath come se fosse la Legione Straniera).
Salvador, in quelle occasioni, curava il look fino al parossismo e di solito si permetteva anche lui una pelliccia, preferibilmente maculata (la contraddizione col fatto che allevassero un ocelot domestico è stridente, ma del resto lui a Gala aveva regalato, tra le altre cose, un cavallo imbalsamato) dalla quale occhieggiavano giacche a colori sgargianti. Al suo braccio, splendida, eterea, di un’eleganza da schiantare una regina, c’era Amanda Lear: la frangia bionda a rendere ancora più enigmatico quel viso dai lineamenti perfetti; spesso pochissimo vestita nonostante le temperature siberiane e tuttavia mai volgare.
Dalí, si sa, non era geloso e amava guardare. Così mentre lui e Amanda se la spassavano tra calembour e battute sagaci, gli altri due flirtavano platealmente tra un bicchiere di Dom Pérignon e una tartina seppellita dal caviale, per poi continuare i festeggiamenti lontano da occhi indiscreti. Mentre i paparazzi, schiacciati come falene contro le finestre, cercavano di strappare una foto del quartetto più scandaloso di sempre.