In occasione della mostra Ocra dei miei ieri di Alissa Marchenko, BIANCHIZARDIN e That’Contemporary incontrano l’azienda Chartreuse
Gli elementi vegetali sono un comune denominatore nella pratica di Alissa Marchenko (Alisa Temchenko, Kiev, 1989), e per la storica azienda Chartreuse. Sono 130 tra piante e erbe utilizzate, esattamente come un tempo per produrre liquore pregiatissimo, ma anche tisane. L’Elixir di piante aromatiche e medicinali, degustato durante la serata, insieme ai biscotti prodotti dall’artista con un’antica ricetta di famiglia, si intrecciano con il racconto della sua ricerca. Perché sono ancora spighe, fili d’erba, piccoli fiori i materiali da lei utilizzati per realizzare le sue sculture arboree.
La storia della prima ha origini antichissime che risalgono ai primi manoscritti del ‘600 indicanti un elisir di lunga vita, consegnati ai monaci Certosini, come spiega Gianfranco Pola. La storia dell’artista è invece più recente, ma attinge anch’essa alla natura per realizzare le sue opere. Lavori che intersecano geografie diverse, contesti storici e questioni a oggi aperte (come i conflitti interiori e quelli esterni), e che sono soggetti a un principio di trasformazione.
La galleria BIANCHIZARDIN in collaborazione con THAT’S CONTEMPORARY, si propongono di creare dialoghi inattesi a partire proprio dall’arte. L’evento zero, destinato a un pubblico di professionisti e collezionisti, sarà presto aperto a tutti attraverso una serie di appuntamenti. L’occasione nasce dalla recente mostra tra maggio e giugno Ocra dei miei ieri, di Marchenko organizzata dalla galleria, in un appartamento milanese, in collaborazione con il collezionista Giulio Raffaele (Silent Art Explorer).
Nel testo di sala è proprio il collezionista che racconta del suo incontro con l’artista, e della volontà di sostenere il suo ultimo progetto. Un progetto che all’epoca di quell’incontro era ancora ignoto. “Cosa succede se distruggo ciò che ho creato prima?”, si domanda l’artista. Sono sette le sculture da lei realizzate attraverso un procedimento di raccolta dei materiali vegetali, di manipolazione degli stessi quando sono ancora freschi, e di essicazione. Trame intessute con quei fili, che diventano delicate sculture che formano sfere di varie dimensioni, eleganti nell’aspetto, fragili in quell’intricato groviglio in cui sono ritrovare tutte le storie passate e gli spazi abitati (Ucraina, Polonia, Italia), “Cosa posso raccontare del mio passato?”, si domanda l’artista.
Partendo da questi interrogativi Marchenko riduce in polvere le sue opere, con l’utilizzo di un mortaio, o come scrive il curatore della mostra nell’appartamento milanese, Domenico De Chirico “non già per dar rilevanza all’assenza di esse ma per indagare in maniera viscerale – fino all’atomo – la mutabilità della materia che con il tempo, saggiamente inteso come durata, evolve di pari passo con l’atto creativo”. L’artista schiaccia, pesta e tritura le erbe. Cancella visivamente il passato, che recupera attraverso la memoria.
Il composto mischiato all’acqua si riduce in pigmento (come mostra il video che documento il processo di distruzione). E con quel composto Marchenko realizza disegni su carta, in cui il colore risultato di quell’operazione, segna i confini di quelle sculture. Restituisce le linee incurvate e le cavità originarie, tratti delicati nella robustezza delle immagini. Lavora attraverso una modalità di sottrazione dell’oggetto di studio, per affidarsi e fidarsi alla sola memoria.
Il disegno rappresenta la reminiscenza di una pratica accademica molto tradizionale, su cui poggia la formazione di Marchenko. Si ritrovano gli aspetti principali di tale formazione nel suo lavoro, come ci racconta: “lo studio dal vivo delle opere, e quello della memoria”.
I disegni sono infatti il risultato di annotazioni visive e di evocazioni emotive. Documentazione di storie che si sovrappongono “della realtà di ieri, ma oggi rimane come un fantasma, un segno…”. Una pratica quasi meditativa che recupera una ritualità fatta di piccoli gesti, che si sviluppa tra camminamenti quotidiani, contesti geografici e storici. Una modalità che rimanda alle antiche tradizioni di Chartreuse, ancora a oggi segrete.