Milano a fine estate è bellissima. L’aria finalmente fresca invoglia alle chiacchiere da Caffè, ed è proprio così che abbiamo incontrato Chiara Gatti, storica dell’arte, critica, curatrice e giornalista. Laureata in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Milano,Chiara ha collaborato con numerose testate giornalistiche, tra cui il quotidiano “La Repubblica”, per cui ha scritto articoli, recensioni e approfondimenti dedicati all’arte moderna e contemporanea.
Nota anche per il suo impegno nel campo dell’educazione artistica, dove esplora temi legati all’evoluzione dell’arte contemporanea, all’arte femminile e ai movimenti culturali, la sua voce critica è apprezzata per la capacità di rendere accessibili e coinvolgenti anche i temi più complessi, con uno stile chiaro e appassionato che unisce rigore accademico e divulgazione.
Dal febbraio 2022, Chiara è direttrice del MAN di Nuoro, e in questa intervista ci racconta con entusiasmo l’inizio della sua avventura alla guida del museo, iniziata dopo anni di collaborazioni precedenti. Da allora, Gatti ha portato avanti un progetto ambizioso, caratterizzato da mostre che intrecciano il passato e il presente, e che affrontano temi di grande attualità come la percezione, la guerra e il rapporto tra uomo e natura. Sotto la sua direzione, il MAN si è distinto come un’istituzione che collega il territorio sardo con le dinamiche globali, promuovendo un dialogo culturale aperto e innovativo.
Dal febbraio 2022 è direttrice del MAN di Nuoro, come è iniziata questa avventura?
Ormai festeggio quasi tre anni, però è un bel ricordo. Avevo iniziato a collaborare con il MAN già nel 2015 per la mostra di Giacometti e poi sono tornata per la mostra dedicata alle futuriste italiane. E questo mi ha convinto a partecipare al concorso per direttrice, ho presentato un progetto che stiamo portando avanti insieme allo staff del museo, un progetto punteggiato di mostre dedicate al rapporto tra antico e contemporaneo e sui grandi temi di attualità.
Qual era il suo obiettivo quando ha accettato l’incarico di direttrice?
Era un obiettivo comune a tanti altri musei italiani, si usciva dalla pandemia, per cui il museo aveva passato un periodo molto complesso e bisognava lavorare sul “ritornare nei musei” per farlo rinascere. Per cui abbiamo pensato subito a dei progetti di grande coinvolgimento, forse anche un po’ in anticipo, sul tema dell’inclusività.
E come vi siete mossi?
Abbiamo cominciato a lavorare su un programma che portasse il pubblico ad abitare il museo, a riflettere sulle tematiche in modo comune e condiviso, per cui abbiamo lavorato prima su una mostra dedicata al tema della percezione, inganno e illusione o verità dei fatti, che era un tema anche molto pandemico, visto che avevamo trasportato le nostre vite nel mondo virtuale.
Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina abbiamo portato un omaggio a Guernica raccontando la storia dell’esposizione in Italia nel 1953, a Palazzo Reale di Milano. Siamo stati anche i primi ad anticipare l’anno Picassiano, cercando di creare un coinvolgimento delle coscienze, di scuotimento, di sensibilizzazione nei confronti di un tema che ci toccava molto da vicino, che era appunto quello della guerra in Europa. Quindi, sempre con un piede nella realtà, nell’attualità, ma attraverso la mediazione, il filtro dell’arte e della poesia.
Il MAN è un museo unico nel suo genere in Sardegna, qual è l’idea che lo caratterizza?
Fin da quando è nato, con Cristiana Collu, ha sempre portato avanti una duplice prospettiva, quella che guarda al territorio, dato che è il museo di riferimento in Sardegna, ma anche quella che guarda ai temi universali. Abbiamo continuato in questo modo, lavorando sulla sua doppia identità che si fa anche in quattro, perché adesso parliamo di territorio, temi universali e internazionalità, ma anche di antichità e modernità, di locale e globale.
Il museo è un’antenna, una sorta di parabola che riceve le indicazioni, le notizie, l’eco degli eventi del mondo contemporaneo, ma deve farsene anche interprete e deve in un certo senso anche portare a una riflessione condivisa, per cui sicuramente è un testimone del suo tempo.
In questo momento è in corso la mostra Diorama. Generation Earth, che sarà visitabile sino al 10 novembre, una sorta di linea di continuità con quella che si è svolta l’anno scorso e che si intitolava Sensorama?
Sì, è un altro episodio di questa serie che noi dedichiamo, come dicevo prima, a tematiche di attualità. Sensorama parlava di sfasamento della percezione, qui invece stiamo lavorando su un tema che affrontiamo tutti i giorni che è quello del rapporto fra uomo e mondo naturale. All’indomani di tutti quei nuovi vocaboli che contraddistinguono il dizionario dei lemmi attuali, per cui antropocene, ibridazione, interspecismo, solarpunk, tutto quello che riguarda una nuova idea di biosfera.
In Diorama artisti internazionali hanno interpretato il rapporto fra umano e mondo naturale così come è oggi. C’è un rapporto che parte dalla mimesi ma che arriva anche alla modificazione, all’alterazione e alla ricreazione attraverso l’intelligenza artificiale. La mostra cerca di suggerire al pubblico nuovi scenari possibili, filtrando la realtà che ci circonda con la poesia dell’arte, quindi non letta in modo distopico, ansiogeno, catastrofico, ma con una visione positiva che possa essere formativa e anche confortante davanti a situazioni che allo stato attuale possono anche essere molto inquietanti, visto quello che si dice di clima e di problematiche ambientali, ma anche dell’utilizzo stesso dell’intelligenza artificiale con tutte le derive che potrebbe generare. L’idea è quella di creare un equilibrio, suggerirlo in mostra, ma anche alle nostre coscienze.
Ci può anticipare qualcosa sulle esposizioni e sui progetti futuri?
Questo è un anno tutto dedicato al tema uomo-mondo naturale, per cui andremo su questa stessa linea di continuità con tre personali importanti.
Una dedicata a Christiane Löhr, che è una grandissima artista e interprete del mondo naturale e della sua poesia, per cui riesce a rielaborare delle sculture attraverso l’utilizzo di elementi della natura, che sono fili d’erba o crini di cavallo, piccoli semi ritrovati nei campi, per cui fa questo lavoro di recupero e di racconto della natura. Accanto a lei ci saranno altre due personali, di Una Szeeman, figlia del grande Harald Szeeman, che è un’artista e scultrice di grande potenza, sempre impegnata sul tema della natura, e poi Alessandro Biggio, protagonista della scena dell’arte contemporanea in Sardegna con una riflessione molto personale sui tempi della natura, sull’evoluzione della generazione e sul decadimento degli elementi naturali che ritornano alla polvere della terra.
L’8 ottobre a Milano a Palazzo Reale verrà inaugurata una mostra dedicata a Enrico Baj, grande artista milanese, e da lei curata. Vuole anticiparci qualcosa?
Si celebrano i cento anni dalla nascita, questa mostra è un omaggio, quindi, a questo grande artista, che rappresenta anche uno spaccato della storia di Milano, dal secondo dopoguerra in avanti, di cui lui è stato interprete e assolutamente protagonista. Sarà un’antologica che, oltre a contemplare alcuni capolavori come l’Apocalisse o i funerali dell’Anarchico Pinelli, che non si vedevano da molti anni soprattutto a Milano, attraversando un po’ tutta la sua produzione, per cui dagli ultracorpi, ai Meccano, ovviamente alle Dame ai Generali, i masterpiece, i cliché della sua produzione. È un artista che ha segnato tantissimo il panorama di quegli anni, la nascita del movimento nucleare, ma anche con gli spazialisti, con Lucio Fontana, poi anche con Piero Manzoni, con i grandi movimenti internazionali pensiamo al surrealismo. Aveva creato intorno a sé una maglia ricchissima anche di letteratura, da Umberto Eco a Italo Calvino, per cui è un grandissimo racconto, è una sorta di apocalisse nella sua arte.
Un’ultima anticipazione sul Man?
Abbiamo dei progetti importanti per l’anno prossimo, che sarà dedicato al tema delle isole e degli idoli tutto l’anno. Isola nelle sue varie declinazioni, isola fisica, isola geografica, ma anche dal punto di vista sia antropologico che sociologico.
La Sardegna è proprio il posto giusto dove fare una ricerca del genere. Il MAN è come un faro che avvicina l’Isola al continente.