E’ partita da un piccolo spazio espositivo al centro di Nuoro per arrivare, oggi, ad essere conosciuta a livello nazionale. Stiamo parlando di Chiara Manca, giovane gallerista e già curatrice dell’Archivio Maria Lei, che nel 2018 ha aperto mancaspazio, con l’intento di rilanciare la cultura sarda e non solo. Oggi Chiara propone un programma culturale affascinante e variegato, collabora con artisti internazionali e partecipa alle fiere più importanti: un sogno romantico che si è avverato grazie alla sua intraprendenza e visione.
Conosciamo meglio lei e la sua galleria, in questo Gallery Focus molto speciale.
Mancaspazio, un nome che sembra quasi una sfida, in una città come Nuoro che a partire dal MAN è entrata alla ribalta sulla scena artistica europea. Raccontaci l’inizio di questo tuo progetto e come si inserisce all’interno del territorio.
Sono stata il curatore dell’Archivio Maria Lai per cinque anni, ad un certo punto, per quanto fossi estremamente felice del mio lavoro, ho sentito il bisogno di iniziare a collaborare con artisti viventi, con il contemporaneo sardo. Nello stesso periodo è scomparsa Sandra Piras, la gallerista della Chironi 88 di Nuoro che per anni mi ha insegnato il mestiere. Le due cose insieme hanno portato a questa scelta. Ho sempre pensato che l’arte contemporanea e l’artigianato artistico sardo potessero vivere insieme, che non sia necessario che vadano su binari paralleli e quindi oltre la continua ricerca negli studi d’artista ho sempre visitato anche laboratori artigiani. Questo mi permette di rimanere in contatto con una parte veramente importante della produzione sarda e con moltissime realtà in tutta l’Isola.
Espongo principalmente artisti e artigiani sardi, ma sempre più spesso cerco il dialogo con le opere di artisti che vivono e lavorano nel resto d’Italia e all’estero. Credo sia necessaria un’apertura, soprattutto per i collezionisti che seguono il nostro lavoro.
Hai un/una gallerista a cui ti sei ispirata?
Sicuramente Sandra Piras, ma oggi guardo al lavoro di decine di gallerie, sia per la scelta degli artisti, per la comunicazione o gli allestimenti. Studio continuamente i lavori di chi ha più esperienza di me su un determinato argomento. I social, come le riviste specializzate o i viaggi mi permettono di vedere una quantità di immagini infinite e anche così trovo l’ispirazione.
Come selezioni gli artisti e come decidi la programmazione culturale?
Seleziono sempre a mio gusto, o per la curiosità di lavorare con una determinata persona. Le mostre hanno sempre dietro un progetto, non siamo una galleria di esposizione e vendita. Ogni mostra ha un catalogo, ha una curatela, uno studio che richiede mesi di impegno sia da parte mia che da parte degli artisti. Lavoro con persone da cui penso di poter imparare, che stimolano la mia curiosità, che hanno un’idea o un progetto da raccontare. La programmazione la faccio una volta all’anno in base a questo e alla disponibilità degli artisti. Difficilmente posso accettare richieste dagli artisti che arrivano tramite mail o social media, ma anche perché, per quanto non sembrasse, soprattutto all’inizio, c’è un senso nelle scelte espositive e deve rimanere tale.
Hai organizzato e curato nel tuo spazio tantissime mostre. Come riesci ad avere un ricambio così serrato?
Ho bisogno di uno stimolo costante, di vedere il risultato della ricerca che porto avanti concretizzato. Tutto questo si può fare solo con un team di lavoro coeso e professionale. Ogni persona che lavora con noi ha un compito, si coordina con gli altri in maniera autonoma e porta avanti il progetto con lo scopo comune di fare sempre al meglio delle nostre possibilità. Due fotografi, una social media manager, uno stampatore, il corniciaio, l’accoglienza e le visite guidate, la grafica e la web designer e web content. Tutti lavoriamo per l’artista e su quell’artista nello stesso momento. Questo permette un ricambio serrato e anche di migliorare ogni giorno.
Parliamo anche di business: come fa una piccola galleria proveniente da una piccola città a sostenersi finanziariamente? Chi sono i tuoi collezionisti?
Ho collezionisti da ogni parte del mondo, il luogo fisico oggi non è più così importante. È importante comunicare quello che facciamo nel modo più serio e capillare possibile. Le fiere aiutano molto da questo punto di vista, ci permettono di mostrare un patrimonio contemporaneo ad un pubblico variegato, ma sempre interessato all’arte. Ovviamente ho un piccolo gruppo di collezionisti in Sardegna e sono contenta che negli anni mancaspazio sia diventato un punto di riferimento per loro, sia per il contemporaneo che per artisti più storicizzati. Da mancaspazio compra il notaio, l’avvocato, il dipendente statale, il libero professionista. Non abbiamo un target, abbiamo persone che si affidano a noi per scegliere le opere che desiderano vedere ogni giorno a casa loro. Creare un rapporto di conoscenza e fiducia con chi sceglie di acquistare da noi è la cosa fondamentale.
L’allestimento che hai creato per la fiera Roma Arte in Nuvola è sulla bocca di tutti… un alveare ispirato al libro “Miele Amaro” di Salvatore Cambosu, che ha anche vinto il prestigioso premio “The Best”. Come ti è venuta l’ispirazione?
Dopo il “successo pubblico” della Wunderkammer dello scorso anno a Roma Arte in Nuvola ho avuto una battuta d’arresto creativa nel pensare a cosa avrei proposto quest’anno.
Nel 2024 ricorre l’anniversario della prima edizione di Miele Amaro di Cambosu, che per me rappresenta il racconto più interessante e intelligente che sia mai stato scritto sulla Sardegna insieme a Sardegna quasi un continente di Marcello Serra ovviamente. Avevo in mente la mostra da mancaspazio, con una serie di documenti d’archivio anche che ho raccolto negli anni su Cambosu e su Miele Amaro (sono comunque un’archivista) ma le pareti grige dello spazio non sono funzionali all’alveare dorato. Quindi ho pensato di realizzare il progetto alla Nuvola, su pareti bianche e di raccontare l’Isola e l’arte sarda a Roma. C’è un profondo legame fra Cambosu, Maria Lai, l’alveare, Sandra Piras e io ho semplicemente seguito il filo della mia base culturale, curatoriale e della mia ricerca sul territorio, chiamando artisti con cui collaboro da anni e che sapevo avrebbero capito e sposato il progetto.
Rimaniamo sempre in tema fiere: quanto sono importanti per una galleria emergente?
Dal mio punto di vista sono fondamentali. Sia per raccontare l’arte sarda, che esiste, per quanto sia aldilà del mare, sia per raccontare al grande pubblico il mio progetto di galleria e la ricerca che faccio come curatore. Lo scambio di idee, di immagini e di contatti che si ha in fiera è impossibile averlo rimanendo a Nuoro o comunque in Sardegna. Sono il nostro affaccio concreto sul mondo.
Per questo partecipiamo a quattro fiere all’anno ora. Tre anni fa, era solo una e nei primi due anni di attività, non avevo neanche pensato di farlo.
Prossimi progetti?
Sarò fra i curatori di una Biennale d’arte sarda e sento molto la responsabilità di questo impegno. Quest’anno da mancaspazio presenteremo meno mostre, sicuramente le personali di Antonello Cuccu, di Crisa e di Gabriella Locci, che posso anticipare e stiamo preparando altri due progetti per due fiere da qua a marzo.