L’incisione è un’arte che unisce precisione tecnica e ricerca espressiva, capace di elaborare un suo “storytelling” che nasce dal segno e della sottrazione. La quarta edizione della Biennale di Incisione Italiana di Olzai, nel nuorese, rappresenta uno dei pochi, se non l’unico, lavoro di selezione e di documentazione di quest’arte in Italia, dove tecniche classiche come la xilografia e l’acquaforte accanto a nuove sperimentazioni artistiche.
Con la direzione artistica di Enrico Piras, la Biennale ospitata nella storica Casa Mesina-Cardia, aperta fino al 31 marzo. seleziona 36 artisti ormai riconosciuti in ambito nazionale e internazionale, valorizzando sia il patrimonio storico che le proposte più audaci e innovative.
In questa intervista, la curatrice Chiara Manca approfondisce il percorso espositivo e le scelte curatoriali, illustrando come la Biennale rifletta le diverse anime dell’incisione contemporanea, in dialogo costante tra passato e presente.
L’incisione è una tecnica con una lunga tradizione, ma questa Biennale punta molto anche sulla sperimentazione. In che modo gli artisti di questa edizione stanno innovando il linguaggio incisorio? Ci sono esempi particolarmente significativi?
Nelle edizioni precedenti della Biennale si è dato molto spazio agli xilografi e agli acquafortisti, quest’anno c’è stata una nuova apertura anche ad altre tecniche e alla tecnica mista. Marco Useli è un esempio di questa nuova rotta e dell’apertura del Direttore Artistico, Enrico Piras, così come Gabriella Locci che ha fatto della sperimentazione di materiali parte integrante della sua poetica artistica.
Ciò che si nota è un ritorno a tecniche molto complesse, come la maniera nera, che richiede tempi molto lunghi di preparazione. Gli artisti selezionati, in molti casi, hanno scelto opere che mostrassero al grande pubblico la grande qualità tecnica di cui sono capaci. Anche per questo curare quest’edizione della Biennale di Olzai è stato molto formativo ed interessante. Qualitativamente è di altissimo livello, ed è evidente sia per i visitatori che per gli addetti ai lavori. In Sardegna la tradizione artistica-incisoria nasce effettivamente con il manuale sull’acquaforte di Felice Melis Marini nel 1916 e da allora decine di artisti si sono cimentati con le varie tecniche. Oggi, come già dagli anni Settanta in realtà, l’incisione è diventata vero e proprio medium artistico, non più tecnica complementare alla pittura e la qualità altissima che mostra la IV Biennale di Olzai è la prova di questa progressione costante. Interessante anche l’apertura verso artisti di altri continenti come Man Zhuang e ad un allievo dell’Accademia di Sassari, Angelo De Santis.

La Biennale ha un forte legame con il territorio di Olzai e con l’eredità artistica di Carmelo Floris. Come si inserisce questa edizione nel dialogo tra la storia dell’incisione sarda e le ricerche contemporanee degli artisti coinvolti?
Gli artisti coinvolti conoscono il lavoro di Carmelo Floris e molti sono già stati presenti in altre edizioni della Biennale. Olzai è preparata ad accogliere anche il contemporaneo, sicuramente grazie anche alla Tre giorni di pittura, sempre curata da Piras, che ha portato nel centro barbaricino molti artisti che hanno vissuto il paese e donato le opere alla Collezione Comunale. In alcuni casi, guardando le opere esposte, sembra di rivedere i temi del primo Novecento, il paesaggio (che diventa contemporaneo, perché mostra immagini che sono legate al presente) la storia antica, la figura femminile, il mondo onirico, l’epica, rivisti in chiave moderna, per riprendere temi attuali. L’astrattismo è presente ed è necessario. È un percorso dal passato al presente.
Quest’anno la mostra include opere di 36 artisti italiani e internazionali. Quali criteri hanno guidato la selezione degli artisti e delle opere? C’è un filo conduttore che lega le diverse proposte espositive?
La selezione degli artisti da invitare è stata fatta dal Direttore Artistico, Enrico Piras. Come lui stesso dice, ha coinvolto incisori di acclarata professionalità, alcuni fra i migliori in Italia, garantendo un’altissima qualità della proposta espositiva. Il filo conduttore della Biennale è sempre e comunque Enrico Piras e la sua ricerca decennale nel campo dell’incisione.

Come hai progettato l’allestimento all’interno di una casa baronale come Casa Mesina-Cardia?
Casa Mesina-Cardia è un luogo caratterizzante e caratterizzato. Ogni opera doveva inserirsi su pareti affrescate con lo stile del primo Novecento. Fra fregi e foglie, geometrie e colori pastello. Ho studiato il luogo e ho lasciato che continuasse a comunicare, senza coprire niente. Il percorso si snoda su due piani, in 8 stanze, nei corridoi che portano alle camere e quindi alle opere realizzate per la IV Biennale ho scelto di esporre le incisioni che Enrico Piras ha realizzato fra gli anni Settanta e gli anni Novanta, oggi parte della Collezione Comunale.
Come se fosse lo stesso ideatore della Biennale, allievo di Carmelo Floris, a guidare i visitatori dal passato al presente. Seguendo il percorso di Piras, si arriva agli incisori che stanno incidendo oggi. Le cornici e le decorazioni affrescate sulle pareti hanno accolto le opere, esaltandole ulteriormente. Ogni artista ha partecipato con due opere, non le ho separate pensando di allestire per tema o tecnica. Tenerle vicine, credo abbia dato ad ognuno lo spazio necessario ad attrarre l’attenzione del visitatore, soprattutto perché i colori sono rari e le dimensioni spesso ridotte, in uno spazio per certi versi “invadente”. Ho isolato nella prima sala le opere con colori molto vividi, volevo che il primo impatto in mostra fosse coinvolgente fin da subito, sia per i bambini che per gli adulti e ovviamente, il colore, aiuta.
Il catalogo della Biennale raccoglie i contributi di figure autorevoli come Nicola Micieli e Chiara Gatti. Quali sono le riflessioni più interessanti emerse dai loro testi e che tipo di valore aggiunto offrono alla comprensione della mostra?
La riflessione di Micieli a catalogo è come una passeggiata fra le opere della Biennale in compagnia degli artisti. Si evince subito la conoscenza profondissima della materia, ma anche il rapporto professionale e personale con alcuni degli artisti in mostra. Il testo di Chiara Gatti, è evidentemente scritto con cognizione di causa, si capisce che gli studi degli incisori e la stamperia sono luoghi che ha frequentato e che frequenta.
Dal suo testo in catalogo ho estrapolato una frase che secondo me racconta benissimo l’approccio propositivo, verso l’incisione contemporanea, di cui oggi ha bisogno chi si rapporta con questo medium: “Il denominatore comune resta, tuttavia, il valore assoluto della traccia, la qualità del segno, del tratteggio, del chiaroscuro generato dal sovrapporsi delle maglie, dall’inspessirsi degli intrecci laddove l’acido affonda e corrode. Se il bianco del foglio acuisce la profondità, il nero aggetta quando la puntasecca lascia residui di inchiostro vellutato. Il vuoto non è mai stato così pieno. Il volume prende corpo nelle barbe, nei neri ovattati del mezzotinto, nella scala infinita dei grigi che variano col variare della pressionedel polso o delle morsure che scavano. L’incisione e una tecnica di scultura in piano. E una pittura fatta solo di linee. È un disegno che graffia per costruire. L’incisione crea per sottrazione. È un ossimoro poetico per solutori abili.”

La collezione di Olzai ospita anche opere contemporanee di artisti come Ottonello, Princivalle e Tanda, molto diverse dal figurativo di Carmelo Floris. Come reagisce la collettività locale a questo tipo di arte più sperimentale?
Enrico Piras, ad Olzai, organizza non solo la Biennale di Incisione Italiana ma anche una manifestazione che ha chiamato “La tre giorni di pittura”. Figlia delle estemporanee che tanto successo hanno avuto, soprattutto negli anni ’80 e ’90, questa manifestazione ha permesso ad Olzai e alla comunità di entrare in contatto diretto con alcuni degli artisti più significativi nel panorama artistico sardo per giorni interi e negli anni. I pittori che hanno partecipato e partecipano alla Tre giorni di pittura, hanno donato decine di opere, nate nel territorio di Olzai e quindi “assorbite” dai fruitori come “proprie”, a prescindere da come è realizzata l’immagine. Per questo Olzai è pronta a ricevere il contemporaneo dei giorni nostri, perché è una comunità che ha approfondito, ha studiato, ha visto, ha capito. Sono opere nate per restare a Olzai.
Qual è la tua visione a lungo termine per il futuro della collezione e della Biennale? Pensi che ci sia spazio per ampliarla ulteriormente con nuove donazioni o collaborazioni artistiche?
Già durante la Biennale di quest’anno sono state acquisite dal Comune 36 opere, altre sono state donate dagli artisti. Ancora, durante la presentazione del catalogo, abbiamo presentato l’ultima donazione ricevuta dal Comune, un quadro di Carmelo Floris che rappresenta il ritratto di Don Giacomo Satta del 1956. Le eredi Angela, Eugenia e Maria Teresa Satta hanno generosamente permesso che l’opera fosse fruibile a tutti i visitatori della Casa Museo Carmelo Floris.
Si sta già lavorando ad un’altra donazione. Credo sia fondamentale rendere ancora più visibile la Collezione Comunale di Olzai, sia per gli studenti, gli addetti ai lavori e i visitatori in generale, è effettivamente un patrimonio storico davvero importante per la Sardegna.