Un quadro di Piet Mondrian è stato al centro di una clamorosa scoperta: per 77 anni sarebbe stato appeso al contrario. Non tutti sono d’accordo, tra questi lo storico dell’arte Roberto Concas che ci spiega il perché in questa intervista.
🖼️ For the last 77 years Piet Mondrian's famous artwork ‘New York City I’ has been hanging upside down. It will probably remain an ‘everlasting mystery’ how it came to that, said the curator of an upcoming Mondrian exhibition pic.twitter.com/8osuuzth3e
— Reuters (@Reuters) October 28, 2022
Ma come si guarda un quadro?
In molti, visitatori di musei per piacere o per gita scolastica, se lo saranno domandati.
La domanda è lecita, le risposte non sempre univoche…
Forse, se lo saranno chiesti anche le centinaia di migliaia di visitatori del Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen a Düsseldorf, guardando le opere di Piet Mondrian, padre del Neoplasticismo.
Infatti il mondo dell’arte nelle ultime settimane è stato scosso da una notizia: il capolavoro di Mondrian “New York City 1 (unfinished)” del 1941, esposto al MoMA di New York e ora conservato al Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen a Düsseldorf sarebbe stato appeso al contrario per oltre 70 anni.
Il condizionale è d’obbligo, nonostante la conferma della storica dell’arte Susanne Meyer-Büser, curatrice di una mostra dedicata a Mondrian che ha affermato: «Sono sicura al cento per cento che il quadro è appeso al contrario».
LA SCOPERTA
Tutto parte nel 2021, quando l’artista italiano Francesco Visalli comunica al museo di Düsseldorf che, a seguito di una verifica su fotografie d’epoca, il quadro è appeso al contrario.
Le fotografie scattate nel 1944 all’interno dello studio dell’artista, poco tempo dopo la morte di Mondrian, sono state pubblicate sulla rivista americana di lifestyle Town and Country e ritenute prova inconfutabile della scoperta di Visalli: il quadro di Mondrian “New York City 1 (unfinished)” è appeso al contrario.
Partendo da questa scoperta e tornando alla domanda che ci siamo fatti all’inizio “Come si guarda un quando?”, abbiamo chiesto a Roberto Concas, Storico dell’arte e voce autorevole di Semiotica dell’arte, se la vicenda può dirsi chiusa o meno.
L’INTERVISTA A ROBERTO CONCAS
Roberto Concas cosa ne pensa di questo scoop sull’opera di Mondrian “New York City 1”, del 1941 esposta rovesciata?
RC: Ogni bene possibile.
Quindi concorda con lo scopritore l’artista Francesco Visalli?
RC: Assolutamente no!
Come no?
RC: Distinguiamo i problemi. Da una parte c’è lo scoop, che promuove l’arte e senza volerlo, la semiotica dell’arte, una materia ancora giovane che ritengo invece importantissima. Dall’altra viene proposta un’ipotesi che non ha alcun fondamento scientifico!
Ma l’autore sostiene di avere una prova inconfutabile: la fotografia della modella scattata nello studio di Mondrian con lo sfondo dell’opera rovesciata…
RC: Rovesciata dice bene!!
Perdoni rovesciata rispetto alla sua esposizione nel museo Collezione d’arte del Nordreno-Vestfalia di Düsseldorf.
RC: Si tratta di un problema spazio-tempo e contesto, ma andiamo con ordine.
Come prima cosa la foto con la modella in posa è “come una rondine che non fa primavera”, dovremo anche poter ipotizzare che il fotografo potrebbe aver girato l’opera perché a lui serviva uno sfondo più intenso, meglio equilibrato e allineato con il volto.
Ma il fotografo era Harry Holtzman, un amico e stretto collaboratore di Mondrian.
RC: Verissimo e non solo, Harry Holtzman era anche lui un’artista che si avvicinava nello stile a Mondrian e, una volta diventati amici, Holtzman si adoperò persino per far arrivare a New York Mondrian nel 1940 dopo l’attacco a Londra dei nazisti diventando, infine, il curatore testamentario di Mondrian.
Difficile quindi pensare che possa aver ruotato un’opera del suo grande amico?
RC: Difficile certo, seppure non impossibile.
Però è sempre necessario pensare con distacco agli eventi, alle esigenze del momento, accade un’infinità di volte negli apparati iconografici, nelle scene dei film, nei libri, come nell’arte, che alcune immagini siano specchiate.
Dott. Concas così andiamo al limite.
RC: Quando serve è utile andarci. Bisogna notare che si tratta comunque di una fotografia in posa e non già una istantanea durante un vernissage o uno studio visit.
Holtzman aveva in quel momento le chiavi dello studio di Mondrian, e davanti a sé la straordinaria modella svedese Lisa Birgitta Bernstone coniugata Fonssagrives che appariva nelle copertine di Life, Town & Country, Vanit Fair, Vogue, fotografata dai più noti fotografi del tempo come George Hoyningen-Huene, Man Ray, Horst, Erwin Blumenfeld, George Platt Lynes, Richard Avedon, Edgar de Evia ed il francese Fernand Fonssagrives che Lisa sposò nel 1935.
Molto interessante, ma forse non risolve…
RC: Penso che “l’occasione possa fare l’uomo (artista) ladro” e Holtzman si trovava in quel momento davanti alla più rinomata top model del tempo.
Un momento unico e forse irripetibile!
Lo studio di Mondrian era per Holtzman una location, prestigiosa, carica di significato quanto si vuole ma, in quel momento, era solo un set per riprese fotografiche.
Nel set, come fotografo, Holtzman prepara le luci, così come lo sfondo, e l’opera di Mondrian era uno sfondo, una citazione.
Piuttosto, l’opera originale, fotograficamente parlando, nella parte alta potrebbe essere sembrata, dal punto di vista della composizione, meno “completa”, con linee più rade che diventavano evanescenti.
Viceversa, nella foto le linee dell’opera rovesciata stabiliscono, a destra, il confine alto e prospettico della composizione fotografica richiamando l’attenzione, più in basso, sul volto della modella.
Holtzman da fotografo-artista, doveva risolvere la sua foto usando scena, luci e sfondo, solo ed esclusivamente per il suo scatto.
Ribadisco che non si tratta di uno studio visit e neppure di una foto da vernissage, ma di una posa con una modella. E chi vince secondo lei l’opera o la modella?
Ci sono altri elementi significativi?
Prima di andare avanti, vorrei ricordare che la cosiddetta prova documentaria, come lo è anche una fotografia, non significa certezza del fatto, anzi spesso il documento è solo un atto originario che certifica il falso.
Vogliamo discutere della famosissima foto di Joe Rosenthal con la bandiera americana issata dai soldati sul monte Suribachi il 23 febbraio 1945?
E le altre prove?
RC: Le altre prove sono nella Semiotica dell’Arte, davanti ai nostri occhi e l’opera, nell’ipotesi rovesciata di Visalli, “non funziona”.
Prima di rispondere a questa intervista, ho semioticamente analizzato moltissime opere di Mondrian e nessuna, dico nessuna, mostra una chiusura ottica-semantica, nella parte alta delle opere, mentre nella soluzione di Visalli la stessa parte alta dell’opera appare come una sorta di pesante trave, una serranda, che preclude la lettura completa dell’opera.
Tutte le opere di Mondrian, come le altre degli altri artisti occidentali, sono composte e si leggono partendo dal centro per poi salire in alto verso sinistra, scorrendo poi l’opera come un testo, da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso a destra dove usciamo dal racconto.
Inoltre, l’artista lascia sempre uno spazio fisico-semantico per consentire allo spettatore un ingresso e un percorso all’interno dell’opera, per partecipare al racconto.
Si compie in questo modo una lettura in senso orario, naturale e abituale come leggere un libro, un testo oppure vedere un tempio, una chiesa, un paesaggio.
Impossibile pensare che una parte del “testo” sia precluso alla lettura, come risulterebbe nell’ipotesi di Visalli, un’opera che diventa opprimente, schiacciata dal peso delle linee orizzontali e semanticamente chiusa in alto e proprio sulla parte destra.
Rimettendo l’opera così come è stata esposta, le linee più fitte diventano più semplicemente dei “gradini” che conducono lo spettatore all’interno dell’opera, gradini dai quali si avvia la lettura in senso orario.
Solo un percorso naturale, conosciuto e abitualmente frequentato dalla mente umana, può consentire la visione e l’apprezzamento delle opere d’arte che hanno, proprio come un testo, una propria forma, una grammatica e una sintassi.
E, per favore, non mi si parli di “creatività dell’artista”.
Inoltre, bisogna notare che l’ultima linea verticale a destra, nell’opera esposta, è di colore giallo, seguita dagli spazi bianchi, larghi quanto la linea gialla; sono colori che non ostacolano l’uscita visiva-emotiva e semantica dall’opera, viceversa nell’opera ipotizzata da Visalli l’ultima riga verticale sarebbe rossa, seguita da una sottile linea di spazi bianchi, diventando un ostacolo ottico-semantico quasi insuperabile.
Il rosso ferma chiunque!
Ma secondo lei Mondrian componeva le sue opere pensando a tutti questi dettagli?
RC: Possibile, anzi certo, viceversa non sarebbe mai diventato un grande artista.
Non a caso la sua produzione di opere con linee e rettangoli è sterminata, ognuna è per lui una esperienza di varianti millimetriche. Nell’opera in questione Mondrian impiega un totale di 24 linee, le blu sono otticamente e semanticamente le più “pesanti”, le rosse determinano la scansione perlopiù verticale, mentre le gialle, in numero complessivo maggiore “aprono” il percorso.
Combinarle insieme è l’arte di Mondrian.
Ma tutte le opere d’arte si leggono in questo modo?
Si, tutte quelle realizzate dagli Occidentali. Poi la società “romantica” del XIX e XX secolo ha visto “il sentimento della bellezza”, ma questa è un’altra storia!
Immagine di copertina: Analisi opera Piet Mondrian a cura di Roberto Concas