Dimenticate la mostra come sequenza di opere da ammirare in silenzio: Transitum di Fabrizio Cotognini alla BUILDING GALLERY non si guarda, si attraversa. ร una camera delle meraviglie verticale, un rituale iniziatico che si snoda su tre piani e oltre, in cui ogni passo รจ una soglia, ogni opera un enigma da decifrare, ogni dettaglio una chiamata al pensiero. Cotognini non espone, invoca. Fa parlare i materiali, convoca fantasmi, rimescola immagini arcaiche e le costringe a prendere posizione nel nostro presente confuso. Il risultato รจ un mondo che pulsa in controluce, un lessico visivo fatto di bronzo, inchiostro, carta nera e oro zecchino, che non cerca mai di essere attuale ma finisce per esserlo piรน di tutto quello che vediamo oggi.
Cโรจ qualcosa di estremamente fisico nel modo in cui le opere si distribuiscono nello spazio: stormi di uccellini in microfusione si posano su davanzali, terrazze e vetrate, come se avessero trovato il loro nido tra i volumi architettonici della galleria. Si intitolano Hybridatio Mundi, e giร dal nome si capisce che qui la natura non รจ semplice ornamento, ma soggetto pensante. Sono loro i messaggeri tra cielo e terra, tra sacro e profano, tra ciรฒ che resta e ciรฒ che cambia. Sono il simbolo della trasformazione, che poi รจ la vera ossessione di questa mostra: trasformazione come viaggio, come processo alchemico, come trasfigurazione del sรฉ e della materia, come dinamica tra vita e morte, tra identitร fissa e identitร fluida, tra memoria e immaginazione. Nulla in Transitum รจ statico. Tutto muta, tutto si rigenera, tutto si stratifica.

Ogni sala รจ un capitolo, ma nessuna รจ chiusa su sรฉ stessa. Le opere si parlano, si osservano da una stanza allโaltra, come se si conoscessero da secoli. E forse รจ davvero cosรฌ, visto che molte di esse nascono da incisioni antiche del XVIII secolo, rianimate dallโintervento grafico e pittorico dellโartista. Sono distopie, nel senso piรน nobile del termine: visioni che prendono lโarmonia classica dellโarchitettura e la sporcano con inserti contemporanei, simboli della nostra bulimia estetica, del nostro feticismo tecnologico, della mercificazione visiva che ci circonda. Ma Cotognini non giudica: osserva. E con unโironia sottile ci mette davanti uno specchio deformante in cui riconosciamo tutto il nostro presente.

E poi ci sono le identitร che si moltiplicano, che si sovrappongono, che sfuggono. Who is Christian Rosenkreutz? non รจ una domanda retorica, ma un grido silenzioso dentro un ciclo di ritratti in cui ogni volto รจ una possibilitร , un tentativo, una maschera che non mente. Emerge la figura dellโAndrogino, dellโessere doppio, fluido, mobile. ร una riflessione sullโidentitร che parte dallโesoterismo ma arriva dritta alle questioni piรน urgenti della contemporaneitร : chi siamo quando non siamo piรน uno? Quando ci scopriamo attraversati da altri, da epoche, da simboli, da sistemi di credenze che si contraddicono tra loro? Non ci sono risposte, e va bene cosรฌ.
Al piano terra, un dialogo quasi organico tra arte e architettura prende forma tra lโopera Alveare e La Casa dellโArte: il primo รจ un oggetto vivo, compatto, generativo; il secondo un plastico 3D della stessa galleria, che si offre come luogo di attraversamento, opificio immaginifico, dispositivo di nutrimento culturale. ร come se BUILDING diventasse parte stessa dellโopera, inglobata in quel processo di trasformazione che Cotognini mette in moto e non lascia piรน fermare.
Il teatro prende possesso del primo piano come unโombra maestosa: Parsifal, i cavalieri del Graal, i riferimenti a Wagner, alle strutture del teatro del passato, si sovrappongono a figure simboliche, a incisioni modificate, a reliquie finte e vere. Cโรจ una teatralitร misterica in queste sale, qualcosa che ricorda il sogno lucido, dove tutto รจ visione ma ogni visione lascia un segno. Salvator Rosa viene evocato come un nume tutelare, mentre le figure dei Dodici Cavalieri diventano icone residuali di un mondo che lotta per non svanire. La memoria qui non รจ nostalgia, ma carburante: serve per attraversare i secoli, per ripensare il presente con gli strumenti del mito.

Il secondo piano, infine, รจ dedicato a ciรฒ che non si vede subito: alla memoria profonda, alla macchina dello sguardo, alla visione come esperienza interiore. Le due installazioni dedicate ad Athanasius Kircher non sono solo omaggi, ma veri e propri esercizi spirituali. Una testa di filosofo da cui nasce una costellazione, unโanamorfosi che mostra lo stesso volto in due etร diverse, due โsรฉโ che si rincorrono nella stessa carne. ร una riflessione sulla percezione, ma anche sullโeterno ritorno, sul tempo che non si lascia misurare in modo lineare.
E poi, come se tutto questo non bastasse, la mostra si espande nella Galleria Moshe Tabibnia, dove il cigno diventa figura centrale, simbolo di rigenerazione e purezza, incarnazione dellโiperboreo e dellโirraggiungibile. Lโopera LโIperboreo, fusione a grandezza naturale posata su due teschi, รจ potente come una visione da sogno. ร una fine e un inizio insieme. ร il transito stesso, il passaggio da una condizione a unโaltra, da un tempo allโaltro, da unโidentitร a una moltitudine.
Transitum non รจ una mostra che si guarda con distacco. ร una mostra che ti attraversa, che ti modifica, che ti costringe a rimettere insieme i pezzi. ร un dispositivo poetico, filosofico, esistenziale. E Cotognini, senza mai gridare, ci dice che trasformarsi non รจ una perdita, ma un modo di restare vivi.