Roma ha finalmente sciolto le riserve. Dopo settimane di attesa e una rosa di 44 candidati, la direzione del MACRO – Museo d’Arte Contemporanea di Roma è stata affidata a Cristiana Perrella (l’avevamo intervistata qui in occasione del progetto Conciliazione 5). E non si tratta di una nomina di compromesso o di gestione: è una scelta precisa, politica nel senso più alto del termine, che dice molto della direzione che la città intende prendere sul piano culturale.
“Un profilo di grande esperienza”, come ha sottolineato il sindaco Roberto Gualtieri, ma anche un nome che ha saputo costruirsi credibilità internazionale senza perdere il radicamento con il territorio. Dalla direzione del Centro Pecci di Prato alla British School at Rome, passando per PANORAMA L’Aquila e il Milano Design Film Festival, Perrella ha sempre dimostrato un’attenzione particolare alla costruzione di visioni ampie, capaci di mettere in relazione la ricerca artistica con le urgenze del presente.
La sua nomina arriva in un momento in cui Roma ha bisogno di risposte chiare sul ruolo delle istituzioni culturali. Non solo contenitori di mostre, ma laboratori di senso, luoghi capaci di espandere il pensiero, come ha ricordato la stessa Perrella nel suo primo intervento pubblico da direttrice. E il MACRO – che negli ultimi cinque anni sotto la guida di Luca Lo Pinto è diventato uno dei musei più radicali d’Europa – rappresenta oggi la sfida più affascinante ma anche più esigente nel panorama italiano. Raccogliere l’eredità di Lo Pinto non significa ripetere, ma metabolizzare un metodo, farne struttura, aprirlo a nuove direzioni.
“Accogliente e radicale, generoso e all’avanguardia”: è con questa formula che Perrella ha descritto il museo che vorrebbe. E in un sistema museale spesso impantanato tra burocrazie e mancanza di visione, questa è già di per sé una presa di posizione. Un museo che pone domande, che non semplifica, che non rincorre le mode, ma che cerca di rendere l’arte contemporanea significativa e vicina per un pubblico quanto più ampio possibile.
Dietro la sua nomina c’è anche un messaggio chiaro sulla volontà politica di rafforzare l’asse tra le istituzioni culturali di Roma: MACRO, Palazzo Esposizioni, Mattatoio e Museo delle Periferie saranno chiamati a collaborare, a pensarsi come una rete più che come entità autonome. Massimiliano Smeriglio, assessore alla Cultura, ha parlato di una “visione condivisa per rafforzare l’arte contemporanea a Roma”, e non è un caso che il primo evento in calendario sotto la nuova direzione – il Festival delle Accademie e degli Istituti di Cultura stranieri, curato da Saverio Verini – parta già il 27 maggio.
La partita, ora, si gioca su due fronti: da un lato la continuità con l’impostazione curatoriale sperimentale e anticonvenzionale del MACRO degli ultimi anni; dall’altro, l’allargamento del campo a pubblici nuovi, a forme ibride di produzione culturale, a un’articolazione del discorso che non sacrifichi la complessità sull’altare dell’intrattenimento. Perrella, da questo punto di vista, sembra avere le antenne ben puntate sul presente: il suo percorso è quello di una professionista che ha saputo muoversi tra pratiche artistiche, riflessione teorica e strategie istituzionali. La sua esperienza al museo Pecci lo dimostra: apertura ai linguaggi contemporanei, attenzione al territorio, ma anche forte legame con una visione curatoriale chiara e definita.
In un momento in cui il dibattito sull’identità dei musei pubblici è più vivo che mai – tra chi li vuole “aperti” a tutto e chi li immagina come roccaforti di senso – Cristiana Perrella sembra offrire una terza via: un museo che non abdica alla propria funzione critica, ma che la esercita non per élite autoreferenziali, bensì per chi è disposto a lasciarsi interrogare. Non si tratta solo di mostrare opere, ma di costruire contesti, generare domande, offrire strumenti.
Roma ci prova. E questa volta lo fa davvero. Con una scelta che riconosce la complessità del presente e affida la guida di uno dei suoi luoghi simbolici a una figura che ha dimostrato, negli anni, di saper trattare l’arte come un linguaggio vivo. Il MACRO riparte. E lo fa bruciando piano, ma con lucidità.