Da Firenze ad Auckland. La storia della restauratrice Carolina Izzo

“Ah! Sei italiana, vivi ad Auckland e lavori nel mondo dell’arte? Devi assolutamente conoscere Carolina Izzo! È una pioniera del restauro qui in Nuova Zelanda. Contattala, dille che ti mando io.”

Queste le parole di Matthew Nache, direttore di una famosa galleria d’arte a Gisborne (NZ), quando l’ho incontrato per la prima volta alla fiera Sydney Contemporary lo scorso settembre.

E così, seguendo il consiglio di Matt, ho iniziato a cercare su Google un modo per contattare Carolina. A dire la verità, è stato piuttosto facile: Carolina è conosciutissima qui in Nuova Zelanda e il sito web del suo laboratorio di restauro, Studio Izzo, è apparso subito tra i primi risultati del browser. Ricordo di averle mandato un messaggio su LinkedIn, a cui lei ha risposto quasi subito suggerendo di sentirci telefonicamente.

Quando l’ho chiamata, dopo essermi timidamente presentata le ho detto: “Il mondo dell’arte qui è talmente ristretto che le uniche due italiane che ci lavorano dovevano conoscersi prima o dopo, era solo questione di tempo!”. Ci siamo fatte una risata e, molto generosamente, mi ha invitata presso Studio Izzo, situato nell’elegante quartiere Parnell, a due passi dal centro città. 

Non ero mai stata all’interno di un laboratorio di restauro prima di quel momento, lo confesso. Quando sono arrivata, Carolina e due sue dipendenti, le restauratrici Giulia Scott (figlia di Carolina) e Sinem Acar, mi hanno accolta a braccia aperte. Con la coda dell’occhio ho subito notato una mole notevole di opere d’arte in fase di restauro. Sembrava di stare in un museo: ero circondata da lavori di alcuni dei più grandi artisti neozelandesi (indigeni e non) di sempre tra cui Sandy Adsett, Gordon Walters, Don Binney e perfino Gottfried Lindauer, il famoso ritrattista dei Māori. Ho scoperto, quindi, che Carolina collabora con la maggior parte delle istituzioni culturali del Paese, come il Museum of New Zealand Te Papa Tongarewa, con numerose gallerie commerciali come Michael Lett, e con case d’asta come l’International Art Centre.

La domanda allora sorge spontanea: ma come ha fatto una restauratrice italiana a trasferirsi dall’altra parte del mondo e ad avere così tanto successo nella sua disciplina? Sono felice di condividere con i lettori di Artuu la storia di Carolina, la quale si è gentilmente prestata a rispondere alle mie domande. Le risposte ripercorrono la sua storia personale e professionale, e sono accompagnate da dei consigli preziosi per chiunque voglia approcciarsi al mondo del restauro oggi.

Qual è stato il tuo percorso di studi? Di cosa ti occupavi in Italia?

Mi sono diplomata all’Istituto per l’Arte e il Restauro a Palazzo Spinelli (Firenze) nel 1981. Dopo pochi mesi, in compagnia di un collega, ho raggiunto l’Irpinia in provincia di Avellino per aiutare come volontaria nel recupero di quanto era rimasto dal terremoto del novembre 1980. Sono rimasta in quei luoghi per ben 5 anni, lavorando per conto della Soprintendenza di Salerno e Avellino come restauratrice. Vivevo all’interno della Certosa di Padula, dove ho svolto prima attività di recupero e poi mi sono dedicata all’insegnamento. 

Successivamente, ho raggiunto Napoli dove ho continuato a lavorare come restauratrice per la Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici ed altri enti pubblici e privati. Per sedici anni sono rimasta nel territorio napoletano, unendo all’incessante lavoro di recupero quello di madre e moglie. 

Quando e perché ti sei trasferita in Nuova Zelanda?

Nel 1989 ho incontrato un architetto neozelandese con cui condivido lo stesso tetto da 34 anni. Dopo 12 anni di vita insieme a Napoli abbiamo deciso di raggiungere la Nuova Zelanda, considerandola un Paese ideale per far crescere i nostri tre bambini. Ci siamo trasferiti a Maggio del 2001.

Giulia Scott al lavoro su un dipinto di Don Binney Courtesy Studio Izzo

Quali esperienze di lavoro hai fatto in Nuova Zelanda? Come sei arrivata ad aprire Studio Izzo?

All’inizio mi occupavo della famiglia a tempo pieno, fino a quando il Museo Nazionale Te Papa Tongarewa di Wellington mi ha proposto di occuparmi della loro collezione museale. Mi sono trovata così a lavorare di nuovo a tempo pieno e grata per l’opportunità di conoscere l’arte neozelandese nell’istituzione culturale più importante del Paese. Il Museo, infatti, è stato la fonte primaria della mia crescita in campo professionale e intellettuale. Dopo sei anni e mezzo però ho avvertito la necessità di ritornare ad essere il manager di me stessa e, nonostante i tentativi di dissuadermi da parte di colleghi, nel 2008 ho coraggiosamente lasciato il Museo per aprire il primo studio multidisciplinare nella capitale. 

Ho partecipato a molti progetti, continuando sempre ad aggiornarmi in materia, e ho rappresentato la Nuova Zelanda in diverse conferenze internazionali. Dopo il terremoto che ha devastato Christchurch nel 2011, mi sono trasferita in città per circa due anni dove ho partecipato al restauro dell’Isaac Theatre Royal e di altre opere locali.

Nel 2015 ho aperto un secondo studio ad Auckland dove, per ragioni di lavoro, la famiglia si era trasferita qualche anno prima. Per circa dieci anni, i due studi hanno ospitato collaboratori e giovani laureati italiani ed europei in cerca di esperienza. Dopo le difficoltà causate dalla pandemia e l’obbligo delle ristrutturazioni degli edifici dopo il terremoto del 2013 a Wellington, ho deciso di unificare le risorse in un unico laboratorio ad Auckland.

Con che musei o gallerie lavori più spesso? Ti capita anche di lavorare con privati?

Direi che attualmente riceviamo progetti in maniera bilanciata tra pubblico e privato. Le collezioni universitarie, musei come Sarjeant Gallery, MTG Hawke’s Bay, Te Papa Tongarewa ed altre istituzioni si rivolgono a noi così come privati che hanno bisogno della nostra assistenza nel conservare le loro opere o collezioni.

Quali sono i lavori di restauro di cui vai più fiera?

Qui in Nuova Zelanda certamente il recupero della cupola del teatro a Christchurch, una tappa fondamentale della mia carriera. Il progetto era in collaborazione con colleghi italiani come Lucia Dori, Emanuele Vitulli e Luciano Sostegni, con cui abbiamo vinto l’Interior Awards – Category Craftsmanship 2015. Ispirato all’America’s Cup, il disegno di recupero delle tele dipinte della cupola prevedeva un nuovo supporto in fibra di carbone e, a quel tempo, non avevamo nessun riferimento di simile approccio a livello internazionale. 

Durante i miei vent’anni di attività in Italia, i progetti più importanti sono stati la preparazione delle 29 sale del Palazzo Reale di Napoli in occasione del G7 Summit del 1994 e il restauro di vaste aree della Certosa di S. Martino a Napoli, inclusi i restauri delle opere che oggi fanno parte del nuovo Museo dell’Opera. 

Carolina Izzo in conversazione con lartista tongana Ebonie Chal Fifita sul restauro dellarte nel Pacifico in occasione dellAuckland Heritage Festival 2024

Com’è il mondo del restauro neozelandese rispetto a quello italiano? Hai notato differenze?

In breve, essendo grosse le differenze del numero delle opere presenti nei due paesi, l’approccio al restauro è anche molto diverso. In Nuova Zelanda non esiste ancora una scuola di restauro mentre in Italia ne troviamo anche troppe. Qui, l’intervento sulle opere d’arte è principalmente preventivo, attento a prevenire futuri danni poiché consapevole di specializzazioni nel restauro limitate. In Italia, e parlo della mia esperienza personale, i parametri e le circostanze legate al restauro assumono aspetti diversi e sicuramente più filologici. Nel nostro contesto, a volte dobbiamo difenderci dalla pragmaticità tipica e caratteristica di una forte influenza anglosassone e coloniale. Carolina Izzo in conversazione con l’artista tongana Ebonie Chal Fifita sul restauro dell’arte nel Pacifico in occasione dell’Auckland Heritage Festival 2024. 

Cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere una carriera come restauratore/restauratrice?

Il mestiere del restauratore richiede molta pazienza, una continua e disciplinata attività di aggiornamento, e aggiungerei anche una forma di riverenza verso l’opera. Se la persona pensa di avere questi requisiti, che considero essenziali, allora può iniziare il percorso di formazione. Consiglio vivamente di intraprendere un percorso di studi che consenta l’uso di altre lingue, così da potersi confrontare in futuro con colleghi internazionali. Per lo stesso motivo, consiglio anche di uscire dal contesto italiano per conoscere altre culture, approcci al recupero delle opere diversi e capirne le motivazioni.

Il nostro Studio di Auckland ospita regolarmente diplomati e laureati europei che, una volta tornati a casa, portano con sé un bagaglio di conoscenze di tradizioni e approcci al restauro diversi e che senza dubbio danno un valore aggiunto alla professione.

Ringrazio di cuore Carolina Izzo per aver risposto alle mie domande in modo così generoso e per aver condiviso la sua storia. Spero che quest’intervista sia d’ispirazione per tutti coloro che stanno muovendo i primi passi in un mondo come quello del restauro che, purtroppo, rimane spesso fuori dai riflettori ma che è assolutamente essenziale al funzionamento del sistema e del mercato dell’arte.  

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