Dal D-Day all’Indocina: tutta l’epopea di Robert Capa a Cagliari

Normandia, Omaha Beach, alba del 6 giugno 1944, esattamente ottanta anni fa. Un giovane ragazzo dai capelli corvini, poco più che trentenne, si appresta a scendere da uno dei convogli del primo contingente alleato. Le mani gli tremano, un po’ per le fredde acque della Manica, un po’ per la paura, un po’ per la consapevolezza di essere il primo giornalista che riesce a sbarcare in quella spiaggia durante il D-Day, insieme ad altre 160 mila soldati, nell’invasione anfibia più grande della storia.

Robert Capa © International Center of Photography US troops assault Omaha Beach during the D Day landings first assault Normandy France June 6th 1944 <em>© Robert Capa © International Center of Photography | Magnum Photos<em>

Il ragazzo, con la sua Leica, ha il compito di testimoniare quei momenti fondamentali per la storia mondiale, e un brivido adrenalinico gli corre lungo la schiena: è quella la sua dipendenza, che lo ha portato e lo porterà al centro di 5 guerre e conflitti, fino alla morte.

<em>© Robert Capa © International Center of Photography | Magnum Photos<em>

Il ragazzo è Robert Capa, e in quella spiaggia riesce a scattare 144 foto, di cui solo 11 si salveranno (pare per un errore nello sviluppo dei negativi), passate alla storia come le “Magnificent Eleven”. Sono immagini rutilanti, superfici che esprimono tutta l’energia ansiosa e l’agitazione di quel momento, e che oggi costituiscono l’intro della nuova retrospettiva “Robert Capa. Le fotografie 1932-1954”, curata da Marco Minuz e ospitata fino al 6 ottobre 2024 al Palazzo di Città a Cagliari. Organizzata call’Amministrazione Comunale di Cagliari – Assessorato alla Cultura, in collaborazione con Silvana Editoriale e con il contributo della Fondazione di Sardegna, l’esposizione, grazie anche all’agenzia Magnum Photos di Parigi, riunisce 110 fotografie che comprendono tutta l’attività fotogiornalistica di Capa.

Nato Endre Ernö Friedmann nel 1913 a Budapest, sin da giovane dimostra un’indole ribelle, anche contro il suo stesso nome: Endre vuole costruirsi la sua identità a partire da zero, l’Ungheria gli sta stretta, ha bisogno di essere un cittadino del mondo, di viaggiare, di essere in prima linea per capire chi è. Ecco allora che, già a 18 anni nel 1931, costretto all’esilio per aver protestato contro il regime ungherese, si trasferisce a Berlino (celebre è il suo reportage sulla conferenza di Lev Trotsky a Copenhagen), e poi a Parigi nel 1933. Affascinato dal mio americano, in poco tempo impara l’inglese e costruisce quel suo “personal branding” che lo accompagnerà per tutte la vita, e farà di lui una vera e propria leggenda.

Robert Capa Lev Trotsky a Copenhagen 1932 <em>© Robert Capa © International Center of Photography | Magnum Photos<em>

Endre scompare dai suoi documenti: lui ora è Robert Capa (in riferimento al regista Frank Capra), fotoreporter americano che cerca di vendere le sue fotografie e alla ricerca dei primi contratti. Sempre a Parigi conosce gli amici che saranno insieme a lui per tutta la sua breve vita, ovvero i fotografi André Kertész, David Seymour “Chim” e Henri Cartier-Bresson, ma soprattutto il suo primo amore, nonché manager, Gerda Pohorylle (nota come Gerda Taro, anch’essa fotografa).

<em>© Robert Capa © International Center of Photography | Magnum Photos<em><br>

Nel 1936 la sua prima esperienza al fronte: Capa si reca in Spagna per documentare la guerra civile per le riviste di grande tiratura come “Life” e “Weekly Illustrator”. Ad appena 23 anni, la sua fotografia è una presa diretta e senza filtri sulla sofferenza e la tragedia delle popolazioni in guerra che diventano maschere di un dolore universale e quasi teatrale. L’esempio di questo approccio è l’iconica fotografia del miliziano morente, colto proprio nell’istante in cui viene colpito a morte. Immagine autentica o accurata messinscena? Impossibile stabilirlo oggi, dato che il negativo è andato perso. Ma anche questo fa parte della personalità quasi “mitologica” di Capa.

ph Giorgio Marturana

E’ proprio dalla Spagna che inizia quella “dipendenza” di cui parlavamo all’inizio dell’articolo: l’adrenalina di trovarsi al fronte nel cuore dei conflitti. E così si susseguono i suoi reportage, dal conflitto Cina-Giappone del 1938, passando per la seconda guerra mondiale (Nord Africa, Italia, Germania e Francia, con lo sbarco delle truppe in Normandia) e gli inizi del conflitto arabo-israeliano del 1948-50, fino all’ultimo viaggio in Indocina, dove muore il 25 maggio 1954 a causa di una mina antiuomo.

ph Giorgio Marturana

L’esposizione cagliaritana, seppure partendo dallo sbarco in Normandia, segue l’ordine cronologico delle vicende di Capa attraverso stanze tematiche che richiamano i conflitti, ma anche delle vicende meno conosciute come il “Diario Russo” del 1946, un progetto realizzato in collaborazione con John Steinbeck. L’evoluzione di Capa è graduale: passa dalla descrizione quasi “pornografica” della sofferenza ad un approccio quasi più “antropologico”, ovvero focalizzato sulla realtà quotidiana, per divenire davvero testimone di istanti di vita che caratterizzano una certa persona in un determinato momento geografico-storico.

“Ama la gente e faglielo capire”

E’ stata questa la sua reale mission, più che compiacersi con la bravura nell’utilizzo del mezzo fotografico. Sì, perché Capa è stato anche e soprattutto un ritrattista, sia quando si tratta di popolazioni in guerra sia che si tratti di Hollywood. In mostra troviamo infatti le fotografie fatte all’amante Ingrid Bergman durante le riprese del film di Hitchcock Notorious, ma anche altri personaggi a lui vicini, da Picasso, passando per Hemingway, Henri Matisse e Steinback, giusto per citarne alcuni. E’ così che Robert Capa è penetrato nella cultura dell’epoca, affinando una capacità di sintesi di situazioni, sguardi e personalità complesse.

La sua breve vita è stata quasi leggendaria ed è terminata troppo presto, a 41 anni, a causa di quella sua costante voglia di raccontare la verità, di esserci di fronte, a meno di un passo.

“Se non hai fatto una buona fotografia, vuol dire che non ti sei avvicinato a sufficienza alla realtà”

Le sue parole risultano quasi beffarde, ma chissà se quel 25 maggio 1954 a Thai-Binh avesse fatto un passo indietro: forse staremmo commentando ed ammirando altre immagini e fotografie che purtroppo il destino ci ha tolto.

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