A Basilea fino al 18 agosto 2024 una retrospettiva ne celebra carriera e vita privata
Si intitola “Dedications in Lights” e va in scena al Kunstmuseum presentando oltre 30 sue opere, alcune delle quali esposte per la prima volta in Europa. Merito soprattutto del Dan Flavin Estate, non a caso gestito da una delle gallerie d’arte più importanti al mondo: la David Zwirner, che ha fatto faville a poche centinaia di metri di distanza dall’istituzione culturale basileese.
Infatti l’opera più costosa dell’edizione 2024 di Art Basel, il dittico “Sunflowers” di Joan Mitchell, è stata venduta per 20.000.000 di dollari proprio dalla David Zwirner.
Ma torniamo alla retrospettiva su Dan Flavin.
Nato nel 1933 nel Queens, completa la sua formazione come tecnico metereologico, ovvero un operatore che analizza dati sulle condizioni meteo in supporto ai meteorologi. Nel 1957 decide di frequentare per un semestre la Columbia University, dove assiste alle lezioni del famoso storico dell’arte Meyer Schapiro che gli aprono un mondo. Del resto era sempre stato interessato all’arte disegnando, visitando musei e acquistando di tanto in tanto qualche opera.
Così, negli anni successivi, trova lavoro al Solomon R. Guggenheim Museum e poi al MoMA come guardiano e ascensorista. Stringe amicizia con molto artisti, tra cui Sol LeWitt, e conosce sua moglie, Sonja Severdija, impiegata nel medesimo museo. È con lei che, dopo il matrimonio, si trasferisce in una vecchia fabbrica dismessa e inizia a costruire e poi dipingere delle strutture in legno a cui applica delle luci elettriche e poi appende al muro. È il 1961 e la prima opera così realizzata si intitola “icon IV (pure land)” ed è dedicata al fratello morto in giovane età. A maggio dello stesso anno tiene la prima personale alla newyorkese Judson Gallery, ma è solo due anni più tardi che comincia ad essere conosciuto in ambito artistico.
Il lavoro della svolta si intitola “the diagonal of May 25, 1969 (to Costantin Brancusi)”, in mostra a Basilea, ed é realizzato con luci a tubo fluorescenti: neon di dimensioni standard che diventeranno la sua cifra stilistica, parimenti alla dedica che appare nel titolo di moltissimi suoi lavori. Ed è proprio su questo punto che si concentra la mostra al Kunstmuseum: sull’uomo e sull’artista che guarda con profonda gratitudine e ispirazione i grandi della storia dell’arte che lo hanno preceduto o che con lui hanno condiviso una parte del loro percorso poetico. Ecco quindi lavori dedicati a Henry Matisse, Otto Freundlich, la cui arte era stata classificata come degenerata dai Nazisti, Josef Albers, Don Judd, Jasper Johns e molti altri.
Flavin non si è mai definito un artista totalmente appartenente al minimalismo, eppure la sua capacità di estrapolare i colori e renderli in una terza dimensione, grazie alla luce e soprattutto ad un oggetto di uso quotidiano, fanno di lui l’incarnazione per eccellenza della serialità, della riduzione e dell’oggettività.
Insomma i tre principi cardine della corrente.
A tutto ciò si aggiunge la grande capacità di narrazione, o di storytelling come diremmo oggi, dimostrata grazie a poche parole inserite in un titolo che sottendono a dei ragionamenti molto più profondi. Una profondità che spesso il pubblico, ma anche alcuni operatori di settore, non hanno colto subito. Come nel 1975 quando, in occasione della mostra proprio al Kunstmuseum, con alcune opere esposte perfino nella vicina Kunsthalle, l’offerta di donazione dell’installazione site specific “untitled (in memory of Urs Graf)” venne rifiutata dalla commissione del Museo. Per la prima volta in “Dedications in Lights” un’intera sala ripercorre la vicenda espositiva, dimostrando come la dedica del lavoro all’artista rinascimentale Urs Graf, poco conosciuto al di fuori della Svizzera, non sia stata fatta a caso.
Sulla base di molti documenti si può affermare che Dan Flavin scelse proprio alcuni disegni di Graf e li presentò affiancati a dei suoi schizzi. Amava collezionare opere su carta e si ritrovava nello stile, nel temperamento smaliziato e nel carattere decisamente forte dell’incisore svizzero.
Del resto chi la dura la vince: oggi “untlited (in memory of Urs Graf)” è esposta in maniera permanente proprio nel cortile per il quale era stata ideata.