Danilo Bucchi, “ho sempre usato il segno come una ritrattistica interiore”

Danilo Bucchi, nato a Roma nel 1978, ha sviluppato fin dalla più tenera età un profondo e sentito interesse per il mondo dell’arte. Negli anni ha avviato un lungo percorso di ricerca e di sperimentazione che lo ha via via portato a creare uno stile chiaramente riconoscibile e personale, caratterizzato da un astrattismo di fondo.

Nelle sue opere non è raro notare linee sinuose e forme fluide, spesso con inchiostro nero su fondo bianco, peculiarità che conferisce ai suoi lavori un contrasto visivo molto forte. Non manca, inoltre, di studiare in maniera quasi scientifica le forme e lo spazio che va a rappresentare. La sua formazione è stata influenzata da varie correnti, prime tra tutte quella astratta e quella minimalista, senza disdegnare il mondo della grafica e del disegno. Durante tutta la sua carriera si è sempre mostrato attratto da quel complesso universo che regola le relazioni umane e dal tema che ci accomuna tutti: la precarietà della nostra esistenza.

In occasione del suo nuovo progetto “ Oltretutto” esposto al MAXXI di Roma il 19 giugno u.s, come apertura della stagione estiva del museo romano, Bucchi, si riconferma come “artista dell’anima”. Questa volta, però, lo fa per mezzo di un linguaggio diverso dal consueto: la fotografia. 

Jasmine Trinca, OLTRETUTTO courtesy Danilo Bucchi

“Oltretutto” si configura come un vero e proprio collage di immagini di personaggi, famosi e non, che l’artista ha incontrato durante la sua esistenza. Ogni fotografia è accompagnata da un disegno che i soggetti ritratti hanno creato come espressione estemporanea e vera di sé. Il progetto è stato arricchito dalla collaborazione con il curatore, Achille Bonito Oliva.

Virginia Raffaele, OLTRETUTTO, courtesy Danilo Bucchi

Nel cortile del Maxxi, un grande schermo proietta immagine dopo immagine, ritratto dopo ritratto. La straordinaria lente di Bucchi ci fa scorgere fin da subito le emozioni, gli stati d’animo e gli sguardi dei soggetti ritratti. Tutti hanno qualcosa da comunicare, qualcosa che prima dello scatto era rimasta sopita e appena impercettibile. L’atmosfera è carica di significato. Lo spettatore è affascinato, lo scorrere delle immagini lo paralizza, lo tiene lì; viene trascinato in un turbinio di emozioni contrastanti. Lo fa sentire parte integrante di un mondo che ci riguarda tutti e ci culla nella sua imperfezione.

Noi abbiamo incontrato Danilo Bucchi e abbiamo fatto con lui una piacevole chiacchierata.

Erano dieci anni che stavi sviluppando questo progetto, come ti è venuta l’idea di focalizzarti sul ritratto  e di farne poi una pubblicazione?

Io lavoro da sempre al metodo della fotografia e la ritrattistica è una cosa che mi ha sempre interessato. Ho sempre usato il segno, che in un certo senso è una ritrattistica interiore. Poi in un momento difficile della mia vita, dovevo fotografare una persona che sapevo che da lì a poco avrei perso e il  solo ritratto non mi bastava. La persona di cui parlo era mia madre. Ho capito che sapevo tutto di lei ma mi è venuta spontanea una domanda “io non so che disegni fa mia madre”. Lei ha disegnato dei fiori. E così ho scoperto che questa donna era piena di fiori dentro. Ho capito che fosse giusto andare oltre al ritratto; il ritratto è lo specchio dell’anima ma i disegni lo arricchiscono. Mi sono accorto di quanto le persone assomigliano ai disegni che hanno fatto. Sono dei veri e propri autoritratti. Io li chiamo ritratti dell’inconscio.

OLTRETUTTO courtesy Danilo Bucchi

E a proposito del fatto che sono presenti sia personaggi famosi che persone “comuni” cosa mi dici? Che poi per me è anche sbagliato definirle “ comuni”.

Infatti. Sono d’accordo. Sono tutti amici, il fatto che alcuni siano famosi e altri no, è un caso. Sono le persone che ho incontrato nella mia esistenza. 

Forse alla base del tuo lavoro c’è anche l’intento che non importa il lavoro che facciamo o la celebrità che abbiamo, perché, alle fine, siamo tutti uguali.

Esatto. Infatti se ci fai caso nel libro non è specificata la professione. Ci sono solo i nomi sotto ad ogni ritratto. Questo significa proprio che siamo tutti uguali. Quello che conta è altro. Era proprio questo il senso del mio lavoro: Fare emergere l’interiorità, la verità, l’essenza di ognuno.

Alessandro Borghi, OLTRETUTTO, courtesy Danilo Bucchi

Hai collaborato tante volte con Achille Bonito Oliva, com’è stato collaborare con lui da fotografo piuttosto che da pittore?

Gli ho presentato il progetto e lui se ne è appassionato subito. Ha voluto darmi una mano. Ha scommesso su di me, mi ha dato fiducia come fotografo.  Infatti ho sicuramente spiazzato tutti. Le persone mi chiedono addirittura se ho cambiato in maniera irreversibile il mio stile e se mai tornerò alla pittura. Certo, non l’ho mai abbandonata. Ogni artista ha un amore parallelo a quello ufficiale, il mio è sempre stata la fotografia. La pittura è un linguaggio totalizzante, lascia pochissimo spazio ad altre discipline. Io l’ho lasciato libero per la fotografia. Per questo ci ho messo tanti anni. Lo facevo nei momenti “morti”. Piano piano. Senza darmi una scadenza. Poi è nato quello che vedi. 

Questa “storia” ci fa capire come, anche in un momento terribile come può essere quello in cui perdiamo la persona che ci ha generato, ci sia sempre spazio per la bellezza, per scoprire qualcosa di noi che prima non riuscivamo a scorgere. Come diceva Fabrizio de Andrè in Via del Campo “ dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori…”.

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