Mentre Bologna, complice una giornata luminosa, apparecchia una edizione di Art City impreziosita di mostre interessanti, tra i corridoi della fiera, più che di quotazioni e di artisti, si parla del tema del giorno: la cocente delusione del Decreto Cultura, approvato ieri alla Camera e di prossima discussione in Senato, in cui non c’è traccia della tanto necessaria contrazione delle aliquote IVA sulle importazioni e transazioni relative alle opere d’arte.
Breve riassunto della faccenda: da anni, addetti ai lavori, galleristi, direttori di musei, artisti, curatori, chiedono una revisione dell’IVA ordinaria, che in Italia, nel settore del mercato dell’arte, è fissata al 22%. Se un tempo (molto tempo fa) la cifra era in linea con quella di altri Paesi in Europa, ora le cose stanno molto diversamente: con attenzione strategica per il settore, altri Paesi hanno fatto scelte lungimiranti.
In Germania, ad esempio, le aliquote sono al 7%, in Francia addirittura al 5.5% . Il divario con il nostro Paese è enorme e mette i galleristi in grande difficoltà rispetto ai “vicini di casa” europei (favorendo peraltro le transazioni in nero). Ieri, il duro comunicato del Gruppo Apollo, che riunisce i principali operatori del settore e rappresenta l’industria dell’arte in Italia, recitava così: “Esprimiamo forte disappunto, per non dire sconcerto, per la mancata riduzione delle aliquote IVA sulle importazioni e le transazioni relative alle opere d’arte. Per il nostro settore questo è il colpo di grazia. Di fatto l’Italia uscirà dal mercato internazionale, perché non le sarà più concesso competere con i paesi europei”.
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Un disappunto rilevato anche dal direttore di Arte Fiera Simone Menegoi mentre Nicola Ricciardi, direttore di Miart, ribadisce: “Il Gruppo Apollo aveva molto ben lavorato per fare capire al governo l’importanza di un provvedimento di taglio dell’IVA. Questa negligenza mi spaventa e non lo dico solo da direttore di una fiera ma anche da curatore e da docente: tutto il comparto ha bisogno di sostegno mentre si ha la sensazione che il mercato dell’arte sia percepito come un “gioco per ricchi tra ricchi”, dimenticando il lavoro culturale che molte gallerie fanno sui loro territorio, sostenendo anche i giovani talenti“.
Olimpia Isidori, art advisor che opera soprattutto con collezionisti stranieri, ammette che all’estero c’è parecchio sconcerto circa la gestione del mercato dell’arte nel nostro Paese, percepito come confuso e poco affidabile. E se l gallerista Marco Poggiali si dice deluso perché c’erano state troppe aspettative a tal proposito (“ma si continua a lavorare come prima, anzi meglio di prima, per cercare di colmare il divario coi nostri competitors stranieri”), decani del settore come Raffaella Cortese, dell’omonima galleria, o Mario Cristiani, di Galleria Continua, non nascondono il loro disappunto. “Manca una strategia di sistema – dice Cristiani – il governo dovrebbe capire che in questo modo a essere penalizzati sono soprattutto gli artisti italiani che con questa tassazione, difficilmente riescono ad essere ben rappresentati all’estero e quindi presenti nei musei”. Cortese conclude: “Sono almeno trent’anni che ci battiamo per una tassazione più equa, ma sembra che questa questione non interessi a nessuno: forse siamo troppo pochi, forse non portiamo voti, non saprei. Trovo scandaloso che in Europa ci siano discrepanze tali e tutto ciò che posso rilevare è che, almeno fino ad oggi, non c’è stata la volontà di occuparsi seriamente del nostro settore”.