La mostra “Diario Notturno Di sogni, incubi e bestiari immaginari”, a cura di Bartolomeo Pietromarchi con Chiara Bertini e Fanny Borel, è il viaggio visionario e ossessivo di tredici artisti internazionali a Palazzo Ardinghelli, tra sogni e incubi dell’era contemporanea, che proseguirà fino al 3 Marzo 2024. Con il progetto speciale di Giuseppe Stampone in dialogo con le fotografie di Scanno della Collezione Franco e Serena Pomilio realizzate da Henri Cartier-Bresson, Mario Giacomelli, Hilde Lotz-Bauer, Gianni Berengo Gardin, Mimmo Jodice e Ferdinando Scianna.
Correva l’anno 1997 quando Francesca Alfano Miglietti, in arte FAM, esplorava l’arte del cosmo delle mutazioni in relazione a paradigmi culturali e sociali che andavano rapidamente trasformandosi. Identità mutanti è stato un testo chiave che ha descritto realtà frammentarie, innovative comunità virtuali, l’intelligenza artificiale, le metropoli tecnologiche in relazione a esperienze di artisti mondiali come Stelarc o Orlan.
A distanza di quasi trent’anni “Diario Notturno Di sogni, incubi e bestiari immaginari” è una mostra collettiva in cui, partendo da un omaggio a uno dei capolavori letterari di Ennio Flaiano del 1956, vengono presentati lavori di artisti tra i trenta e i quarant’anni che hanno come temi la continuità e la ciclicità delle trasformazioni, la necessità di sfidare i propri limiti e il corpo, la contemporaneità fatta di onirico e incubi, realtà e finzione, in uno scenario multimediale e multiculturale in cui la parola contaminazione è onnipresente, e in fondo non così distante da quello che aveva predetto FAM. Con in più la necessità di trovare un nuovo gusto estetico, condizionato dall’ambiente tecnologico ma desideroso di creare ibridazioni e fusioni tra mondo animale, vegetale, fossile, digitale.
Fin dalle prime battute della mostra, sullo scalone di Palazzo Ardinghelli che conduce al primo piano, siamo introdotti nell’era del mutamento. Ci imbattiamo infatti in una macchina, The Stuffed Shirt Chorus, esattamente una “stira camicie antropomorfa” che vive grazie a una coreografia programmata dall’artista Anna Franceschini attraverso un algoritmo. Fusione tra natura e materiali industriali di scarto sono anche elementi portanti delle opere di Giulia Cenci che in The Oldest e Macello riempiono il luminoso corridoio antistante le eleganti stanze dell’edificio con forme biomorfe inserite in protesi artificiali, organismi artefatti che richiamano il mondo animale e organico. Doveroso un paragone con i versi del poeta Ivano Ferrari tratti da “Macello”: “La carne morta rivive nella sua grande miseria col vento che riporta gli odori ad un ordine sparso. La carne morta è ricamata da quelle sinuose presenze che gli altri chiamano larve”.
Le due sale barocche aprono al visitatore immagini surreali nell’universo poetico di Valerio Nicolai che in dipinti come Castello in corridoio o Poveri fichi, crea architetture di atmosfera enigmatica, o nelle sculture della serie Yet Another Unrealistic Standard di Caterina De Nicola in cui manichini, simbolo dello stereotipo di perfezione del corpo umano, sono ibridati con elementi scultorei di critica rispetto a una società che impone canoni estetici e modelli conformi.
Il tema della metamorfosi riprende nella stanza attigua, nel mondo marino e liquido di Bea Bonafini e il suo tessuto dipinto, realizzato con materiali di scarto di industrie tessili, I Carry You Inside Me, scheletro di una balena che indaga ambienti naturali e la scultura Draco Piscis di Agnes Questionmark, creatura marina mutevole che rappresenta l’altra faccia dell’artista, in un’ottica di rigenerazione continua. Il richiamo alla fluidità è indubbiamente anche nei confronti della modernità liquida di cui parla Z. Bauman, come passaggio alla postmodernità in cui l’uomo diviene consumatore ed escluso dalla società se non in linea con standard comuni.
Ecco dunque le pitture di Guglielmo Castelli, che rimandano a un immaginario solitario o il bestiario di Thomas Braida che mescola fantascienza e tradizioni popolari verso la dimensione del sogno. Nel salone centrale il collettivo Numero Cromatico presenta un’opera interattiva fruibile, Resterai con me per tutta la notte, ideata e realizzata in occasione della mostra, quasi una giostra di riflessione, una tenda di notevoli dimensioni sulla quale si delineano ottanta “pittogrammi antropomorfi”, simboli ancestrali, simili a proiezioni dell’inconscio personale e collettivo. A guidare lo spettatore oltre il centro del percorso è una voce, quella di Ludwig di Diego Marcon, un bimbo biondo chiuso in un gesto ossessivo e ripetitivo, che canta un musical d’ambientazione romantica tedesca di fine ottocento e si lamenta di una disperazione esistenziale assolutamente anomala per la sua età.
Sbalzato da una parte all’altra, come su una nave, all’ombra di un cerino, rimanda alla fiaba di H. C. Andersen “La piccola fiammiferaia” che sta a ricordarci come la sofferenza e la violenza riguardino anche il mondo infantile. Ancora una splendida video animazione di Wangechi Mutu, artista che nella sua poetica mette in crisi le categorie della cultura occidentale rispetto al resto del mondo. The End of Eating Everything è una riflessione sulla natura violentata dall’uomo, sullo sfruttamento delle risorse della terra che ha le sembianze della cantautrice e produttrice statunitense Santigold, trasformata in una mostruosa Medusa che si nutre di uccelli meccanici, così come nel capolavoro di Alfred Hitchcock l’invasione di uccelli rappresentava la ribellione all’uomo. Scenari inquietanti e subconscio collettivo sono evidenti nel lavoro immersivo Counterfeit Poasts di Jon Rafman e nell’installazione su dischi di carta dipinti di Alice Visentin, in cui la narrazione unisce immagini e parole con riferimenti alla letteratura, alla filosofia, all’antropologia.
La chiusura della mostra è affidata nuovamente all’artista Anna Franceschini che presenta tre sculture cinetiche sulla contaminazione uomo macchina, sfidando le tradizionali definizioni di corporeità e identità. Il percorso si impreziosisce anche grazie a un progetto speciale, realizzato appositamente per l’esposizione, da Giuseppe Stampone che reinterpreta, in un dialogo metafisico e surreale, fatto di una nuova narrazione, alcuni luoghi significativi di Scanno, incantevole località del territorio abruzzese, attraverso disegni su carta e su legno, in dialogo con le fotografie della collezione Franco e Serena Pomilio che trattano usi e costumi popolari soprattutto femminili, la vita quotidiana del borgo fatto di vicoli e mestieri, resi noti da grandissimi fotografi tra cui Henri Cartier-Bresson, Mario Giacomelli, Hilde Lotz- Bauer, Gianni Berengo Gardin, Mimmo Jodice e Ferdinando Scianna.