Scorre libero l’acquarello nelle sue opere, come un fiume che segue il suo corso, crea rigagnoli d’acqua colorata assorbiti dalla porosità della carta nepalese. Davide Benati è l’artista di queste creazioni così leggere e dal linguaggio estremamente poetico, in mostra a Palazzo da Mosto fino al 2 marzo 2025. Encantadas, il titolo della personale, deve il suo nome dall’omonima serie pittorica realizzata da Benati negli ultimi anni.
Il curatore Walter Guadagnini, in collaborazione con Silvia Cavalchi, presenta a Reggio Emilia una serie di opere storiche e numerosi inediti, articolando un discorso che attraversa l’intera esperienza creativa dell’artista, ormai cinquantennale. “Da anni seguo con attenzione il lavoro di Davide Benati e ritengo che questa mostra rappresenti un’occasione fondamentale per tracciare un percorso completo della sua ricerca artistica”, racconta Guadagnini.
I lavori esposti tra gli spazi quattrocenteschi del palazzo, sono tutti di grande formato e come ogni opera di Benati, diventano sensibilmente delicati allo sguardo.
Nato a Reggio Emilia nel 1949, presenta oggi con più di cinquant’anni di carriera alle spalle, una bellissima esposizione a casa sua, nella città natale. Anche Milano diventa molto importante per il suo successo professionale, dove ricopre le cattedre di Anatomia e di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Il 1972 è il suo anno d’esordio con una mostra personale presso la galleria milanese Il Giorno ma è negli anni Ottanta che si arricchisce di esposizioni personali e collettive, di particolare rilievo e prestigio, sia a livello nazionale che internazionale. Di grande interesse è la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1982, con la sezione Aperto 82, dove tornerà anche nel 1990 con una sala personale.
L’acquarello è la tecnica prediletta dall’artista che qualche volta, come lui stesso afferma, tradisce a favore del colore ad olio che permette una copertura molto più densa e materica, come nell’opera intitolata Segreta. In questo caso Benati necessitava di un fondo più corposo rispetto al solito, che l’acquarello non gli permetteva di rendere. Realizzata nel 1998, si tratta dell’immagine di una porta riccamente decorata da bassorilievi che circondano e ornano l’ingresso. Realizzata con la tecnica della xilografia il portale risalta su un intenso fondo rosso scuro che sembra quasi invitarci a entrare, varcando la soglia di un altro mondo.
Pennelli cinesi carici d’acqua diffondono il colore su due sottilissimi strati di carta nepalese che l’artista recupera da Katmandu. È una vera storia d’amore quella tra Davide Benati e la “sua” carta orientale così particolare, che nasce e viene portata avanti già durante il suo primo viaggio nella capitale. Realizzati in fibra di corteccia di Lokta, una pianta che cresce sulle pendici dell’Himalaya fino a 4000 metri d’altezza, questi fogli sono da sempre il supporto di ogni sua opera. Nei suoi primi lavori, quelli degli anni Settanta e dell’inizio degli anni Ottanta, la carta è addirittura l’unica base della pittura. Per esempio Blues del 1980, è un lenzuolo volante, leggiadro, che si dispiega nell’aria.
La prima parte della mostra, al piano terra del palazzo, è dedicata a questi primi lavori che non coinvolgono l’uso della tela. Le opere più mature prevedono invece sostegni più solidi sui quali l’artista incolla due strati della famosa carta, questo per via della sottigliezza del materiale e su cui poi procede con la pittura, il vero e proprio atto creativo. La grande assorbenza della carta si comporta nella stessa maniera dell’affresco: continua a “bere” permettendo infinite modifiche. Da considerare è anche, se non soprattutto, la molteplice stratificazione dei colori e dei soggetti nelle sue opere.
Un caso esemplare è quello di Aire, un acquarello e carta nepalese su tela, realizzato nel 2015 e composto da più di duecento strati che si sovrappongono e mescolano tra loro, creando un’intensa profondità nell’unità dell’insieme. Il processo di produzione è quindi estremamente lungo, le opere si prendono il loro respiro, Benati non ha fretta, il percorso di un’opera è come quello di una vita, lungo, lento e fatto di attese.
I soggetti che rappresenta si ispirano sempre al mondo naturale, dal quale trae ispirazione nelle forme. I colori invece cambiano rispetto al reale, trasformando in altro la rappresentazione. “Le mie forme, assolutamente nitide, hanno una componente di astrazione: in sostanza, sono forme apparentemente riconoscibili ma di questa riconoscibilità è presente solamente un simulacro, se non proprio un fantasma. Molti pensano che io dipinga dei fiori, mentre in sostanza io dipingo delle forme che possono essere vagamente riconducibili a ciò che visivamente potremmo definire fiore.” Così Benati racconta a Sandro Parmiggiani il suo modo di fare arte, definendosi più avanti come un pittore astratto.Innegabile è la vicinanza di Benati all’arte orientale, sia per la tecnica e i materiali che per lo stile pittorico minimalista e basato sulla sottrazione e la semplicità. I vuoti assumono più importanza dei pieni. Esattamente come Van Gogh prima di lui, affascinato dalla moda del giapponismo, anche Davide Benati è stato stregato dalla magia dell’arte orientale, che ha poi trasformato e fatto sua.