È iniziata la Fashion Week, e Milano si riempie di iniziative, di sfilate, di feste. E anche di mostre dedicate al rapporto col mondo della moda. Tra queste, spicca “Fashion Vik – The Other Side of the Beauty”, ospitata da oggi (fino al 14 ottobre) presso Galleria Vik Milano, l’hotel-galleria d’arte più vasto d’Italia, le cui stanze si affacciano tutte sul maestoso spettacolo di Galleria Vittorio Emanuele, che riunisce una decina di artisti contemporanei per affrontare il rapporto contraddittorio, di amore e a volte di lotta, spesso di vicendevole cannibalismo, tra l’immaginario degli artisti e quello del sistema-moda. Oggi, infatti, il linguaggio della moda si è ormai da tempo diffuso in ogni settore della società, permeando la pubblicità, i costumi e i comportamenti individuali con la sua estetica e il suo linguaggio; e anche l’arte non ne è immune, fin dai tempi delle collaborazioni di grandi artisti come Salvador Dalì con Elsa Schiapparelli, al connubio tra molti artisti delle avanguardie storiche con stilisti e case di moda, ai vestiti antineutrali dei futuristi fino ad Andy Warhol. Spesso, è stata la moda ad appropriarsi di idee dall’arte, mentre in altri casi è stata l’arte a trarre ispirazione dalla moda. Negli ultimi anni, un numero sempre maggiore di artisti contemporanei ha guardato alla moda come a un terreno di confronto giocoso e diverito.
Ecco allora, nella curiosa e anticonvenzionale raccolta della Fashion Vik milanese, in felice contrasto ma anche in divertita e giocosa complicità con la Fashion Week che impazza in tutta la città, rivelarsi gli sguardi di alcuni tra i più significativi artisti, italiani e internazionali, su un “altro lato”, meno convenzionale e conosciuto, della bellezza femminile. Si comincia dalle bellssime fotografie dell’artista cinese Ziqian Liu (è sua la foto di copertina della mostra), che utilizza l’autoritratto per rappresentare un universo ispirato a una grande armonia ed equilibrio formale, attraverso l’accostamento con fiori, frutti, elementi naturali e giochi di specchi che offrono un senso di astrazione e di leggerezza. “Scelgo l’autoritratto”, ha detto l’artista, “perché in una società in cui passiamo molto tempo a comunicare con gli altri, credo sia necessario passare del tempo soli con se stessi. Adoro”, ha detto ancora l’artista, “i momenti in cui riesco a sentirmi respirare”. Un lavoro, dunque, di grande intimità, quasi di autoanalisi e di scoperta di sé e del proprio corpo attraverso lo scatto fotografico, che diviene quasi un rito, tra l’estetico e lo psicanalitico.
Ancora autoritratti e sguardi con le raffintissime foto della moldava Giulia Soul, che esplora invece il mondo femminile con racconti dal sapore onirico e dal carattere intimista: i temi trattati dall’artista moldava sono infatti la sessualità, la libertà, il corpo, l’identità femminile, attraverso un profondo legame con la natura (entrambe le artiste sono esposte in collaborazione della Galleria Paola Sosio di Milano).
Ancora volti e corpi femminili nei bellissimi e inediti acquerelli della pittrice giapponese Tomoko Nagao, nei quali si mescolano, come ha scritto la critica Chiara Gatti (appena nominata direttrice del MAN di Nuoro), “miti e riti di paesi lontani, leggende arcaiche e moderne fantasie”, in un universo surreale popolato da creature fantastiche come donne-pesce, bambine a forma di polpo o con le orecchie da gatto, fenicotteri rosa con stivali rossi, donne-pavone che fanno la ruota, bambine che nascono da gusci d’uovo o che dormono in baccelli. Depositaria di un immaginario artistico delicato e onirico, negli ultimi, delicati acquerelli presentati in mostra Tomoko Nagao crea, come scrive ancora Chiara Gatti, “abbinamenti improbabili, accoppiamenti bizzarri, ibridazioni e clonazioni”, come “pretesti narrativi per scuotere le coscienze con la tenerezza del sogno. Il disegno e l’acquerello sono infatti carezze e sussurri per stillare ipotesi di felicità”.
Ancora figure femminili dall’aria misteriosa e arcaica popolano invece i quadri di Elena Trailina, pittrice russa naturalizzata italiana (autrice, assieme al marito Alex Folla, del grande affresco che campeggia nella hall al primo piano dell’hotel-galleria d’arte), scambiandosi misteriosi segreti in un tripudio di foglie d’oro lavorate a punzone, retaggio della tradizione delle antiche icone ortodosse. L’opera fa parte della serie “Gossip”, che esplora come le chiacchiere e i pettegolezzi possano influenzare profondamente le persone, modificando percezioni ed emozioni. Perché “le parole, come il vento, seminano i loro semi velenosi”, spiega l’artista. Il metodo della foglia oro punzonato, ispirata alle aureole dei santi nelle icone bizantine, riflette la luce in modo suggestivo, creando un contrasto tra la superficialità del pettegolezzo (che anche nel mondo della moda, come in quello dei media, è oggi imperante per la sua capacità di pervasione in ogni anfratto della quotidianità), e la profondità simbolica dell’arte. Una curiosità: i dipinti di quesra serie sono tutti arricchiti da un leggero profumo di oli essenziali, rendendo l’esperienza visiva anche sensoriale, proprio come avviene in molti settori legati al mondo del beauty e della moda.
Non potevano mancare le fotografie dell’artista e modella ucraina Iva Varvarchuk, già protagonista di primo piano di servizi di moda con copertine per importanti giornali italiani e internazionali e collaborazioni con marchi importanti come Gucci, e da qualche tempo artista che utilizza la propria immagine per fotografie dal taglio irriverente e straniante, in cui lei stessa si mette in situazioni bizzarre e atipiche, utilizzando maschere, cibo e materiali di recupero per costruirsi un’identità non convenzionale e fuori dal comune, per cercare di rovesciare e decostruire i canoni della bellezza e dello stile come vengono intesi tradizionalmente. “Un’artista fuori dalle regole”, ha scritto il giornalista culturale Marco Mottolese, attento critico del costume e dei meccanismi più reconditi della società dei media, definendola “artista clochard” che “scova, nei luoghi più impensati, ciò che il mondo rifiuta: vestiti, pupazzi, stracci, giocattoli – magari menomati – tutte cose che giungono, secondo chi li ha possedute, a fine vita e che lei, recuperandole – come vediamo fare a volte dagli apolidi che girano per le nostre strade – in realtà poi depura, disinfetta, pulisce con la massima attenzione, per farle diventare costumi da bagno, pupazzi, oggetti mostruosi oppure delicati, indumenti fantascientifici (penso a Barbarella, di Roger Vadim, con la mitica Jane Fonda) che entrano nella sua prospettiva per fare da comprimari – o comparse – nel set in cui Iva regna soprattutto perché, in questo caso, è lei stessa a decidere come muoversi sul set”.
Ma non solo di sguardi femminili è fatta la “contro-moda” di “Fashion Vik”: ecco infatti il light box dell’artista e già grafico di successo (ha lavorato per i più grandi marchi) Stefano Banfi, milanese, che traduce con un approccio stilizzato la rappresentazione di una “dea” contemporanea, ispirata ai vasi coi volti dei “mori” della tradizione siciliana.
Ecco poi le fotografie del bravissimo fotografo Nicola Vinci, tra gli artisti più promettenti della scena artistica italiana fin dagli anni Novanta utilizzando la fotografia, che con una forte carica di inquietudine crea scene misteriose e intime dalla forte carica teatrale, in bilico tra quotidianità e racconto famigliare o generazionale. I suoi sono lavori che, col loro carico d’inquietudine e di mistero, di detto e di non detto, di apparentemente svelato e di volutamente sottaciuto dietro le trame di una serie infinita di gesti trattenuti, di sguardi attoniti e di complesse geometrie di oggetti quotidiani (un fiore, un bicchiere, una mela, una sigaretta), agiscono nell’inconscio culturale ed emotivo dello spettatore, andando a minare sottilmente, ma non per questo meno profondamente, certezze acquisite e memorie visuali condivise.
Ed ecco l’unico artista che ha creato per l’occasione dei veri e propri “accessori moda”: Dario Arcidiacono, disegnatore strarodinario dallo stile e dalla poetica fortemente originali, basati su una ripresa, colta e ricercata, delle tecniche del fumetto e del cinema di animazione classici, con uno sguardo all’immaginario underground, alle illustrazioni horror e del cinema di serie Zeta, e alle culture giovanili degli anni Sessanta e Settanta: che, per questa mostra, ha creato una serie di borse in edizione limitata, che riproducono le sue figure surreali, sospese tra sciamanesimo contemporaneo, fumetto e grafica pulp-punk.
Infine, ecco i lavori di un pittore già molto conosciuto e apprezzato nella nuova scena neopop italiana, dalle ascendenze vagamente liberty e déco, Max Ferrigno, nato a Casale Monferrato ma da anni residente a Palermo, che trasforma una ragazza di oggi in una Santa Rosalia contemporanea: l’opera che presenta in mostra fa parte infatti di un ciclo recente, realizzato dall’artista sulla base di un reportage fotografico con una giovane modella palermitana, attrice e danzatrice nella scuola di Emma Dante, che incarna la giovane Rosalia Sinibaldi, che sarebbe diventata Santa Rosalia, prima della sua svolta mistica, su uno sfondo floreale tipicamente liberty.
Anche in questo caso, l’elemento straniante è molto presente, non solo con un lavoro di “decostruzione” del quadro, realizzato in ceramica e poi volutamente “spezzato” e ricomposto in mille frammenti, quasi a ricordarci la fragilità del nostro immaginario di oggi, ma anche con un acquerello che riproduce le gambe di una giovane ragazza di oggi… bellissima ma disabile, perché dotata di una gamba artificiale. Anche la bellezza, ci dice Max Ferrigno, oggi può prendere strade inaspettate.