La Cittadella degli Archivi di Milano accoglie Tempo Attratto – Temperatura Emotiva, la mostra personale di Federico Ferrarini, visitabile dal 1° aprile al 1° giugno 2025. Promosso da Isorropia Homegallery e Galleria Ferrero Arte Contemporanea, il progetto rientra nella rassegna I Marmi della Scala, organizzata per la Milano Art Week. In collaborazione con il Politecnico di Milano, una sezione della mostra approfondisce il restauro del Teatro alla Scala curato da Mario Botta, con documenti selezionati dagli studenti.
Federico Ferrarini scolpisce il tempo nella materia, incide nello spazio tracce di una memoria che non si conserva, ma resiste. Il suo lavoro non è costruzione, ma frattura; non è modellazione, ma erosione. Le sue sculture non sono oggetti statici, ma campi di forze, collisioni tra passato e futuro. Il marmo non è superficie liscia e rassicurante, ma una compressione di energia, una tensione trattenuta sul punto di esplodere. Il suo lavoro si inserisce in un percorso che richiama la brutalità segnica di Alberto Burri, la monumentalità di Richard Serra, la tensione gravitazionale di Eduardo Chillida, ma con una consapevolezza diversa: la pietra non è solo materiale, è archivio geologico, un sedimento di tempo che può essere scavato, spezzato, ma mai cancellato.
L’opera centrale della mostra, Tempo Attratto, è una scultura orbitale di tre metri di diametro, composta da cinque blocchi di marmo Rosso Verona, scolpiti direttamente in cava e connessi da tondini metallici a frammenti provenienti dal restauro del Teatro alla Scala. Qui il marmo non è più un oggetto da contemplare, ma un territorio di tensione, un campo di battaglia tra il materiale grezzo e la struttura artificiale. Non è casuale il riferimento alla pietra della Scala: Ferrarini non usa semplicemente un materiale storico, ma lo trasforma in una memoria viva, in un frammento che continua a esercitare la sua pressione nel presente. Il marmo non è passato, è un tempo che si accumula senza mai esaurirsi.
Accanto all’installazione, una serie di sculture approfondisce la relazione tra materia e tempo. Stonestar presenta superfici segnate da traiettorie concentriche, evocando mappe stellari e schemi cosmici, come se la pietra fosse un atlante del cielo, un codice segreto inciso nella materia. Futurefossile è un blocco scavato, una frattura sospesa tra natura e rovina, un portale inattivo, un reperto di un’epoca futura in attesa di essere decifrato. Cosmic Landscape, un blocco autoportante di marmo brasiliano, sfida la gravità, un frammento di universo che sembra espandersi oltre i propri confini. In ognuna di queste opere il marmo non è più un materiale inerte, ma una sostanza in continua trasformazione, un archivio che trattiene e rilascia memoria.
Alla scultura si affianca la pittura, in un’indagine che supera la materia per esplorare la percezione del vuoto. Monolith Planet è una tela monumentale, un’esplorazione della profondità attraverso pigmenti minerali che generano un’illusione tridimensionale, come se la superficie si aprisse su una dimensione sconosciuta. Qui Ferrarini si avvicina alla ricerca di Mark Rothko, dove il colore non è più rappresentazione, ma una vibrazione interna, una tensione che pulsa sulla tela. La serie su carta Temperatura Emotiva esaspera questa ricerca: il nero assoluto è un campo di forze, attraversato da segni rossi che non sono pennellate, ma ferite aperte, lacerazioni della superficie che evocano il gesto primordiale e viscerale di Cy Twombly. Ogni segno è un residuo di impatto, una traccia di energia che persiste, un frammento di un evento già accaduto ma mai esaurito.
Beatrice Marciani, museologa della Gallerie dell’Accademia di Venezia, descrive questa mostra come un’esperienza che non concede tregua: “Alla Cittadella degli Archivi il tempo non si conserva, si incide. La memoria non è accumulazione, ma stratificazione di traumi, pressioni, tensioni irrisolte. Ferrarini non modella la pietra, la seziona; non la leviga, ma la lacera. Ogni sua opera è una frattura nella linearità del tempo, un’onda d’urto che continua a propagarsi”.
La scelta della Cittadella degli Archivi come sede della mostra non è casuale. Questo luogo, con i suoi 70 km di documenti, è un archivio meccanizzato, un enorme deposito di storie, di eventi, di passaggi amministrativi e politici. Ma l’archivio non è solo conservazione, è anche un campo di tensione tra ciò che viene registrato e ciò che sfugge alla documentazione. La mostra di Ferrarini si innesta in questo contesto ribaltandone la funzione: invece di custodire, il suo archivio di pietra rilascia energia, mette in crisi l’idea stessa di memoria come deposito inerte, la trasforma in una pressione che preme sul presente.